La ragione subordinata alla fede, il mondo alla rovescia dei laici
di Lea Melandri


Jaune Quick-to-see Smith

Quando in un Paese, che si proclama laico e democratico, politici e mezzi di informazione invocano, quasi unanimemente, che venga data “libertà di parola” a un’istituzione che dichiaratamente si pone sulla sponda opposta  -in quanto depositaria di una verità assoluta, di “valori fondamentali” che, come ha scritto Navarro-Valls  (La Repubblica 15.1.08), “precedono la politica”, perché “non dipendono da noi”-, i casi sono due: o si è convinti che le proprie istituzioni siano abbastanza forti e temprate storicamente da reggere all’urto della potenza che ne minaccia l’autonomia, oppure si è già fatta propria inconsapevolmente la posizione dell’altro.
Come spiegare altrimenti la sorprendente inversione di rotta che hanno preso le accuse di intolleranza, fine della laicità, chiusura culturale, violenza ideologica, nel momento in cui, a seguito del dissenso espresso da un gruppo di docenti e studenti, il Papa ha deciso di non presenziare all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università La Sapienza?
In modo del tutto speculare, il fronte laico si è trovato a trasferire su di sé le stesse critiche, le stesse accuse, che fino al giorno prima aveva rivolto al pontificato di Benedetto XVI, o, in alcuni casi, a recitare simultaneamente la parte della vittima e dell’aggressore.

Dopo aver deplorato la data infausta, che avrebbe messo fine a un Paese “democratico” e affossato la speranza di vivere in una “Repubblica serenamente laica”, Ezio Mauro (La Repubblica 16.1.08) prosegue dicendo che la Chiesa è tornata a “essere un primo attore in tutte le vicende pubbliche”, “pretende di determinare i comportamenti parlamentari delle personalità politiche cattoliche”, si pone “come una riserva superiore di verità esterna al libero gioco democratico, una sorta di obbligazione religiosa a fondamento delle leggi e delle scelte di un libero Stato”.
Benché si dica convinto che una università di Stato non possa fare del pensiero religioso “la fonte costitutiva del suo sistema culturale ed educativo”, all’Autorità massima che ne è portatrice Ezio Mauro avrebbe voluto che si aprissero le porte nel giorno simbolicamente più significativo del suo percorso interno, quale è l’inaugurazione dell’anno accademico, in modo che i docenti “potessero interloquire, fissare e ribadire l’autonomia dell’insegnamento e della libertà di ricerca”.
E’ come dire che, per essere “tolleranti”, si deve lasciar spazio all’intolleranza, per essere “liberi” lasciarsi espropriare dei luoghi dove la libertà, di pensiero e di parola, è garantita dal dettato costituzionale, oltre che dai regolamenti interni di una istituzione, per essere “laici” cedere la lectio magistralis a un sapere confessionale, cioè a una verità di fede. In altre parole, non è previsto che si possa dissentire, ribellarsi, chiedere che venga messo un limite là dove la libertà di una parte interferisce con quella dell’altra, potendo contare su una innegabile disparità di potere. Nel momento stesso in cui si riconosce che l’interlocutore laico ha subito una “riduzione di dignità”, inspiegabilmente gli si chiede di accettare il dialogo, il confronto.

Guardare il mondo alla rovescia, pensare che la parola del Papa, trasmessa settimanalmente a tutto il mondo e quasi ogni giorno sui teleschermi di casa nostra, abbia bisogno di essere protetta dalla “censura”, dal rischio di passare sotto silenzio, può essere lo scarto di prospettiva che, paradossalmente, restituisce alle cose la giusta proporzione. Diventa preoccupante quando si fa senso comune, visione condivisa, irragionevolezza diffusa.
A questo punto le domande che dobbiamo porci sono altre. Di che pasta è fatto il consenso a una rappresentazione così distante dalla realtà? Perché il Papa appare intoccabile, al di sopra di ogni legge, di ogni civile regola di convivenza, di ogni conquista di libertà?
Perché un sistema medioevale, che subordina la scienza, il diritto, e quindi la politica, al superiore dettato della filosofia e della teologia  -la “coppia gemellare” di saperi a cui San Tommaso d’Aquino aveva affidato “la ricerca sull’essere umano nella sua totalità”, il compito di “tener desta la sensibilità per la verità”, che ha il suo culmine nella fede cristiana-, può essere scambiato oggi per l’espressione più alta della ragione?

Nel discorso di Ratzinger, che deve essere risuonato ancora più solenne letto in sua assenza, è detto con chiarezza quali siano la radice e l’albero, la forza propulsiva creatrice e le diramazioni dell’umano: “ Se però la ragione diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana… inaridisce come un albero le cui radici non raggiungano più le acque che gli danno vita… Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e… preoccupata della sua laicità, si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma”.

Dopo il lungo, combattuto percorso, che ha portato alla separazione tra Chiesa e Stato, fede e conoscenza, come è possibile che la fede torni ad essere “forza purificatrice” che aiuta la ragione ad “essere più se stessa”?
Una risposta, o una chiave interpretativa, la offre Giuliano Ferrara, il paladino più acceso di quello che definisce il “Papa della ragione”, nel suo editoriale (Il Foglio 17.1.08). Il merito, che fa di Benedetto XVI un “Papa a disposizione del suo tempo”, è di aver rafforzato “l’identità cristiana  e cattolica nel mondo”, di aver dato “un aiuto insperato a un’epoca di svuotamento tendenziale del vivere e del convivere. Specie in relazione al risveglio del temperamento più fanatico di un certo islamismo radicale”.
Che cosa si debba intendere per “vivere e convivere”, è detto più estesamente da Ritanna Armeni su Liberazione (16.1.08): “Il Papa interviene sulle manifestazioni della vita e della società che toccano aspetti fondanti dei valori religiosi cattolici: la vita, la morte, la pace, la guerra, la scienza, la politica”.
E’ su questa “battaglia di valori”, “iniziata dalla Chiesa, e non solo da essa, sulla Legge 40 e proseguita sui vari terreni, dall’eutanasia alla famiglia e alle unioni civili e ora all’aborto”, che il fronte laico dovrebbe “accettare il confronto”. La ‘lezione’ del Papa alla Sapienza, stando alle dichiarazioni del Rettore, avrebbe dovuto essere “il polo di irradiazione in altri atenei…per la proclamazione e la difesa di alcuni valori…un momento importante di riflessione per credenti e non credenti su problemi etici e civili, quale l’impegno per la moratoria della pena di morte”, e, prevedibilmente, per la moratoria sull’aborto.

Se la violazione più plateale della libertà di ricerca, che ha nell’università il suo luogo più autorevole, non ha registrato se non qualche raro grido di allarme, è perché evidentemente la separazione tra fede e conoscenza è un traguardo ancora lontano dall’Occidente laico e democratico, molto più di quanto lo sia quella tra Chiesa e Stato.
La “confusione” appare oggi più profonda  -sedimento di pregiudizi e paure antiche-, nel momento in cui affiorano alla sfera pubblica esperienze essenziali dell’umano, come la nascita, la morte, la sessualità, la procreazione.
E’ su questo terreno che la “sensibilità etica” va ad appiattirsi dentro quella “sensibilità alla verità”, di cui la Chiesa fa depositario il messaggio cristiano, l’unica “istanza” che, secondo Benedetto XVI, sfugge alle logiche dell’ “interesse” e dell’ “utile”, dentro cui si muovono i partiti e in generale le istituzioni laiche.
Di fronte agli sviluppi imprevedibili di un sapere tecnico-scientifico, che sembra non conoscere limiti, sottoposto alla pressione di potenti interessi economici e politici, non è difficile, per una Autorità apparentemente neutrale e dedita alle cose dello spirito, far balenare il pericolo di una incombente “disumanità”, e convincere le scienze storiche e umanistiche ad accogliere, “criticamente e insieme docilmente”, la sapienza delle grandi tradizioni religiose. In primis, del cattolicesimo.
Si comprende meglio, a questo punto, che cosa abbia aperto, sul fronte laico, un vuoto così grande di ‘ragioni’ proprie: il discredito caduto sulle istituzioni politiche, la resistenza della sinistra a trovare nessi tra vita e politica, la tentazione di un potere in crisi di appoggiarsi alla sua stampella secolare, il ‘sacro’, e a chi se ne fa depositario unico, cioè la religione.
Ma, al centro, come ha visto lucidamente Enzo Mazzi (Il manifesto 16.1.08) c’è la competizione tra culture maschili, “la fede impallidita” e la fiorente ragione scientifica, alleate “per togliersi di mezzo la donna, radicale ostacolo alla cultura del dominio”.

Questo articolo è uscito su Liberazione del 25 gennaio 2008


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