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 Domenica sera, intervistato dal Tg1  -non si sa a quale titolo-, Giuliano Ferrara  apre la sua personale campagna elettorale con l’appello per una “moratoria  sull’aborto”, che spera di far giungere fino alle Nazioni Unite.          Sulla scena pubblica, la ‘crociata’ aperta da Giuliano  Ferrara, e dalle più alte gerarchie della Chiesa, vede protagonisti quasi unici  uomini contro altri uomini, accusatori o difensori di un ‘femminile’ che, in  assenza di voci reali di donne, si colora inevitabilmente a tinte contrastanti:  Bene e Male, Vita e Morte, vittima e aggressore.          La “condizione umana”, che nessuna minaccia di pene è mai  riuscita a cambiare, e che perciò grava come una fatalità sulla vita delle  donne, ha a che fare, secondo Zagrebelsky, con “la crudeltà della natura e  l’ingiustizia della società”, mentre richiama, per il credente, il senso  profondo della maledizione divina: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue  gravidanze”.  Nel discorso di Zagrebelsky, ci sono almeno due passaggi mancanti -ma si potrebbe anche dire ‘rimozioni’-, che possono tuttavia aiutarci a capire perché sia così restia a venire alla coscienza storica una verità evidente: cioè il rapporto della gravidanza con la sessualità, e della sessualità con il dominio maschile -appropriazione del corpo della donna, espropriazione della sessualità femminile, incanalata verso l’obbligo riproduttivo, esaltazione della virilità come potere fecondante. “Questo atto, che nell’eterosessualità appare scontato, un percorso ‘naturale’ e preordinato il cui momento finale e unico orientamento è la penetrazione/eiaculazione/fecondazione, si rivela come uso globale del territorio corporeo femminile, indifferente alle esigenze delle donne, di ciascuna donna…Se un sesso ha più potere dell’altro, non si rifletterà tutto ciò sulla sessualità?” (Paola Tabet, La grande beffa, Rubbettino 2004). L’incitamento verso una sessualità riproduttiva al servizio di un uomo nel matrimonio, eredità di un passato tutt’altro che estinto, non è forse la ragione prima di quel senso di colpa, di quella vergogna che intervengono, come dice Zagrebelsky, nelle “situazioni anormali”, come le gravidanze fuori dal matrimonio, i figli indesiderati all’interno di legami coniugali? L’assenza, quando si parla del problema dell’aborto, dell’unico ‘soggetto’ a cui è stata riconosciuta una sessualità propria –una sessualità riproduttiva-, il potere di imporla anche con la forza, e quindi di provocare gravidanze indesiderate, dovrebbe quanto meno indurre a chiedersi dove è finito l’attore primo di quello che continua ad apparire come un “dramma” con una protagonista unica.         Forse, a leggere attentamente lo scritto di Zagrebelsky, ci  si accorge che in realtà l’uomo c’è: c’è come figlio potenziale, promessa  racchiusa in quel “tu” che “deve ancora diventare persona”, ma che la “tutela  del concepito”, prevista oggi da una legge dello Stato italiano, ha fatto  assurgere a soggetto titolare di diritti, primo tra tutti il “diritto a  nascere”. 
      Il che significa, di conseguenza, che la donna deve portare avanti la  gravidanza, “costi quel che costi”.          L’immaginario che cancella il rapporto uomo-donna,  sovrapponendogli la coppia madre-figlio, deve essere una delle ‘invarianti’ più  coriacee della cultura maschile, se può accostare senza turbamento  l’iconografia cattolica delle Vergini Madri con Bambino allo scenario  ‘irriverente’ delle biotecnologie, che trasferisce lo status di essere umano su  un “fatto scientifico”, isolato in laboratorio –lo zigote-, mentre, come va  ripetendo Barbara Duden, trasforma la donna nell’ “ambiente uterino” in cui  dovrà svolgersi la “crescita fetale”.      Sulla “catena delle violenze”, che pesano sulle donne e che  continuano tutt’oggi a renderne così flebile e sporadico il protagonismo sulla  scena pubblica, manca ancora una parola articolata, estesa a tutti gli aspetti  di un potere che unisce, come scrive Paola Tabet, “sfruttamento economico, oppressione  sessuale, limitazione della conoscenza”.  
 questo articolo è apparso su Liberazione del 1 febbraio 2008 |