Se la difesa della vita ha un sentore di necrofilia

di Lea Melandri

 
Charlotte Salomon

Che la “difesa della vita”, fin dal concepimento, avesse sentore di necrofilia, come strappo violento portato nel corpo vivo che tiene insieme indisgiungibili la madre e il figlio, lo si intuiva. Ma ci voleva il Consiglio regionale della Lombardia, che ha approvato all’unanimità la “sepoltura” di tutti i feti, compresi quelli che provengono da aborti sotto i cinque mesi, perché la confusione tra difesa e offesa, pietà e castigo, amore e odio, rispetto e violazione dell’intimità, prendesse forma in una norma sbandierata dai cattolici integralisti attraverso la stampa come conquista “etica”, “norma rivoluzionaria” in quanto porterebbe inequivocabilmente il feto alla dignità di persona.

La novità, rispetto al decreto del presidente della Repubblica del 1990, che permette ai genitori di chiedere la sepoltura anche prima delle venti settimane, è l’obbligo che d’ora innanzi hanno le Asl di chiedere ai genitori se vogliono provvedere loro stessi al seppellimento. Nel caso di un rifiuto sono le Asl o l’ospedale a provvedere alla tumulazione in una “fossa comune”.

In sostanza, i feti al di sotto delle venti settimane, considerati non più “rifiuti speciali” destinati all’inceneritore, ma “prodotti del concepimento”, saranno trattati come “parti anatomiche riconoscibili” e in quanto tali destinate ad appositi spazi cimiteriali. Che l’approvazione dell’art.1 della Legge 40, che fa del “concepito” un “cittadino”, potesse avere ricadute molto più insidiose che la conseguente messa in discussione della Legge 194 sull’aborto, il movimento delle donne lo ha detto e scritto ripetutamente, lo ha manifestato per le strade di Milano il 14 gennaio 2006, con una partecipazione eccezionale.

Eppure, i consiglieri del centro-sinistra hanno dichiarato candidamente di aver scambiato una questione ideologica di questa portata con un “provvedimento tecnico”. Sul Manifesto (8.2.07), Mario Agostinelli ha scritto di essersi “reso inconsapevolmente colpevole” per non essersi accorto che passava come “pratica amministrativa di rispetto cimiteriale” una grave “ferita ai diritti della donna”. L’attenzione dell’Unione era così concentrata –precisa Agostinelli- nella battaglia contro i ticket, che è passato del tutto inosservato il “pesantissimo risvolto simbolico della norma in votazione”.

Non è difficile credere che la destra abbia agito d’astuzia, “alla chetichella”, per far passare la sua più forte conquista contro la libertà delle donne, mascherandola dietro un innocuo provvedimento burocratico. Ma forse è anche l’occasione per chiedersi se la “distrazione”, la trascuratezza dell’altra parte, non siano, come i lapsus, di per sé rivelatrici della scarsa o nessuna rilevanza che i partiti e la cultura di sinistra nel suo complesso, attribuiscono a tutte le questioni che riguardano il rapporto tra i sessi, riportati continuamente sulla “condizione della donna”, a tutto ciò che attiene alla sessualità, alla maternità, alla salute procreativa, visti come problemi esclusivamente femminili, la zona più oscura ed estranea alle relazioni sociali e agli interessi politici; in altre parole, il segno di una minorità antica, a cui si guarda con timore, protezione, solidarietà, ma senza alcun ripensamento critico, alcun accenno a una corresponsabilità di parte maschile.

A stento ne riconoscono il rilievo quando da destra si alzano gli stendardi dell’ “etica” e dei valori religiosi riconquistati.

Il caso Lombardia ha antecedenti in altre regioni. A Potenza, l’azienda ospedaliera San Carlo ha sottoscritto una convenzione con l’associazione “Difendiamo la vita con Maria” in base alla quale, previo consenso da parte dei genitori, sarà l’associazione stessa incaricata del “seppellimento” dei feti “di presunta età di gestazione inferiore alle 20 settimane”.

Il “movimento per la vita”, nella difficoltà ad attaccare direttamente la Legge 194, che rischierebbe di essere un’azione impopolare, sta ripiegando su un accerchiamento i cui effetti sono facilmente prevedibili, perché improntati alla violenza che le donne subiscono da sempre, a cui molte si sono rassegnate, e a cui altre riescono a dare ancora coperture ideali.

Dietro il paravento della “difesa del diritto del nascituro” si tenta l’ingresso nei consultori, nei reparti ginecologici degli ospedali, per scoraggiare l’interruzione di gravidanza; in nome della “pietà” per la creatura non nata, davanti alla donna che già porta il peso di una gravidanza non voluta, di una sessualità di cui è lei solo a portare le conseguenze, si agita lo spettro della sepoltura -che vuol dire la morte di una persona, di cui è lei responsabile-, o, peggio ancora, il tormento duraturo di un rifiuto che condannerà il feto-bambino alla vergogna della “fossa comune”, di tragica memoria.

L’odio che le gerarchie ecclesiastiche e il cattolicesimo più fanatico dimostrano ogni giorno per le donne, per le libertà che faticosamente si sono conquistate, non poteva concepire una violenza di più sicuro effetto. Omicida e impietosa nei confronti della propria creatura, quale madre può essere più “snaturata”?

Antigone ha sacrificato la sua vita per un legame, come quello fraterno, molto meno forte. I funerali fanno parte di quei riti che si pensa debbano aiutare chi sopravvive ad elaborare il lutto. Ma questi “seppellimenti” evocati ad arte, e non senza implicazioni economiche e commerciali, l’effetto che possono avere è esattamente il contrario: il lutto lo creano e lo caricano pesantemente come una croce, memento di una colpa imperdonabile, sulle spalle delle donne.

Ma non sarà la burocrazia cimiteriale, né la falsa pietà di sepolcri imbiancati, a seppellire la libertà delle donne. Dopo una appassionata discussione, il Laboratorio di Usciamo dal silenzio di Milano, ha dato alla stampa un comunicato in cui, insieme all’invito a partecipare all’assemblea del 13 febbraio, presso la Camera del Lavoro, si legge:

“Non possiamo non cogliere i nessi con ciò che sta accadendo, ancora una volta, sulla vicenda delle unioni civili, nella riproposizione costante di una subalternità alle gerarchie cattoliche in tutti i temi che riguardano il nascere, il morire, le libere relazioni tra le persone… rompere nuovamente il silenzio e dire con chiarezza che nel nostro paese c’è qualcuno che vuole contrastare la pericolosa deriva che la politica sta prendendo rispetto ai temi delle libertà individuali, della laicità dello stato e della libertà femminile.

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 9  febbraio 2007