da Liberazione del 15 Dicembre 2004

Il femminismo e le Lecciso, per esempio

di Letizia Paolozzi


Paola Gandolfi



Dove è finito il femminismo? Se lo domanda su questo giornale Lea Melandri. Aggiunge subito dopo: "Per un movimento che è partito dalle problematiche del corpo e della sessualità, non riuscire a parlare dell'invecchiamento, della malattia della morte, dei problemi legati alla cura (di un figlio, un marito, un genitore anziano), del rapporto con le donne straniere che vivono nelle nostre case, è senza dubbio una resa, una sconfitta".

Vero che questo movimento ha ragionato intorno alla sessualità. Non mi pare tuttavia che si sia fermato a coltivare quella scoperta.

C'erano e ci sono gli uomini. Una volta che hanno perso alcuni dei (supposti) diritti o vantaggi o prerogative, bisognava fare i conti con le loro ferite narcisistiche. Ma anche con le modificazioni, le trasformazioni che nelle relazioni tra noi (donne) e loro (maschi) si determinano.

Mi obietterà Lea che lo scenario di guerre presenti (in Iraq) o dimenticate (nel Darfour), di una politica più tribale che razionale (come l'invito a cena con diossina del leader dell'opposizione ucraina, Yushchenko) non depongono a favore del "sesso forte". In uno dei suoi racconti, la scrittrice canadese Alice Munro riassume la questione con efficacia: "Gli uomini, mia cara, non sono persone normali. Te ne accorgerai quando ti sposi".

Però li sposiamo. E con loro abbiamo (o non abbiamo) dei figli. Anche se il femminismo tace sui rapporti con l'uomo. Poco sappiamo delle microguerre in corso; dei conflitti disordinati tra i due sessi.

Dobbiamo ringraziare la "nera" se ci arriva qualcosa degli scontri in corso. Dal delittaccio passionale a quello del marito, fidanzato, amante, che ha sterminato tutta la famiglia perché lei l'ha abbandonato. Tradito. Rinnegato.

A me interessa riflettere sulla cronaca. Offre spunti eccezionali. Anche sul desiderio di una coppia di avere un figlio. E sulle assurdità che mette in campo la legge 40 per rispondere a quel desiderio; per negare ai tanti Luca Coscioni del nostro Paese la possibilità di essere curati.

Intorno a questo nodo, molte femministe si sono impegnate. Ne hanno scritto (noi, nel sito DeA). Un gran numero di uomini e di donne (non necessariamente femministe, non necessariamente di sinistra) hanno firmato il referendum dei Radicali per l'abolizione della legge.

Non capisco dunque il pessimismo di Lea quando osserva che "ci sono gruppi, centri, associazioni della più varia specie che lavorano bene in ambiti specifici, ma mostrano tutta la loro debolezza quando sono costrette a incontrarsi intorno a un fenomeno che le implica tutte, come ad esempio la legge sulla fecondazione assistita".

Probabilmente manca l'energia del femminismo delle origini. Ma certe idee si sono messe in circolo. Tanto che io sarei più ottimista. Perlomeno, non insisterei sulla memoria e i confronti con il passato. Un passato troppo sacralizzato (mi pare sia un vizio che si ritrova pure a sinistra) serve solo a richiamare l'identità, immobilizzandola.

Tutto questo per dire a Lea che, forse, è più importante osservare l'eredità del femminismo. Nella cronaca, appunto. E nella televisione. Che offre spunti inattesi, nonostante la trivialità che serpeggia in alcuni messaggi.

Mi servo della trasmissione Porta a Porta di qualche giorno fa, incentrata sulle gemelle Lecciso. Quello che mi ha colpita era il parterre femminile (Mara Venier, Silvia Giacobini, direttrice di "Chi", Barbara Palombelli, Heather Parisi) e il rapporto, anzi, la relazione positiva (tranne una antipatizzante Antonella Boralevi) con la Lecciso Loredana.

Ognuna ha ripetuto (scegliete voi se per conformismo, per solidarietà reale o per obbedienza a un atteggiamento modello politicamente della solidarietà femminile): Vai avanti (anche se non sai ballare); difendi la tua autonomia. Non ti fare condizionare. Non rinunciare.

Che l'ambaradam della famiglia di Cellino San Marco sia una manfrina organizzata in accordo con Al Bano, marito della Loredana, non cambia il risultato. Anzi, rende il caso ancora più eccezionale. Il cantante dice di volere la moglie a casa ma che lei a casa non ci vuole tornare. Siamo di fronte a una scena sociale, se insieme l'hanno costruita, in cui il marito, il maschio, non può più essere padre-padrone. Dunque, il discorso del femminismo sembrerebbe entrato nelle pratiche di vita. E' un risultato da poco?