Il gruppo della Università delle donne di Cernusco sul Naviglio ha discusso del libro di Maria Zambrano "Luoghi della Pittura" con Rosella Prezzo, curatrice dell'introduzione e della traduzione. La conversazione ha aperto spunti, squarci

Intorno a Maria Zambrano

di Donatella Bassanesi


Maria Zambrano


La raccolta che prende il titolo Luoghi della pittura riunisce scritti intorno alla pittura. Pittura che è prima di tutto lavoro manuale, come lo è d'altra parte la scultura. Ma qui non si tratta di estrarre un'immagine, di liberarla dalla materia, si tratta piuttosto di mescolare la materia, le terre (la terra). Di questa terrestrità si direbbe permeato il 'discorso' che Maria Zambrano conduce in rapporto all'arte. La terrestrità della materia-colore, di una luce che ha l'ombra in sé, arrende la luce all'ombra: la pittura è il luogo dove la luce trattiene l'ombra.

Maria Zambrano vive a lungo in esilio (in sud America, in Italia, in Svizzera, in Francia). Questa erranza non scelta, ma infine amata come un'educazione ad uscire dal proprio particolare, educa forse ad ascoltare il silenzio, a coltivare (custodire) immagini interne tratte da un'osservazione attenta che cala nel profondo e conserva in luoghi che non sono quelli della memoria razionale. Così la pittura "magia nata dalla solitudine", che "può germogliare solo dalla condizione umana patita fino al limite" (p.64) - "condizione ombrosa", "mistero della nuda esistenza delle tenebre" (p. 72) - è "un fiume temporale che si ferma", "non una forma dello stare, ma del passare, del passare…a essere" (p. 56).

Figure archetipiche, nodi dell'essere, prossimi e insieme estremamente lontani nella loro assenza, riemergono improvvisamente, si direbbe attraversino un ponte, siano insieme archetipi, nodi, ponte - figure insieme del conflitto e della comunicazione, del coincidere di istante e di tempo. Si tratta di "ciò che si ripresenta, a distanza di tempo e come senza origine, di un fatto che non è chiaro se fosse sogno o realtà, "realtà segreta", "decantazione di ciò che nella realtà vi è di ossessionante, di ossessivo, di non solubile nella coscienza" (p. 53, 54), "viscere della vita personale e storica imprigionate negli anelli del tempo" (p. 52).

Perciò le figure delle pitture viste come fantasmi possono rinchiudere "dentro una sorta di circolo magico", e ritornano, potenti e dimenticate, senza corpo ma che hanno bisogno di un corpo a cui aderire ("come lo hanno i colori di aderire a una forma"), riportano al "labirinto, immagine delle viscere e dei tempi intricati" (p. 52), al soprapporsi delle immagini nei tempi dell'istante.

La vita lunga di Maria Zambrano si conclude nella propria terra, la Spagna. Ed è una vita che però lei non pensa di poter raccontare: un altro lo potrebbe fare. Farsi dire dall'altro apre uno spazio, un vuoto , e induce una circolarità (che è di parole ed è di silenzi, di saperi e di esperienze). Il vuoto interviene come qualcosa che sta tra l'uno e l'altro. Detto in altri termini: non sono io o tu ad aver detto, pensato, visto la cosa giusta. È tra me e te, in quello spazio tra parola e silenzio (pensieri che vengono in mente e lavorano dentro di noi, desiderio di parlare che rimane silenzio perché si pensa che ormai è passato il tempo), a giocarsi qualcosa che probabilmente non è la verità ma è una cifra di un pensiero che si va formando, un pensiero in farsi, interrogante, mai compiuto e definitivo. E l'angoscia del vuoto, come per un atto creativo, diventa sentire che il 'gesto' si sporge al di là di una identità acquisita e compiuta. Così il momento-tempo fondato sull'ascolto, divenuto gesto creativo, divenuto nome del vuoto, porta verso l'altro. Il nome del vuoto come sapere di essere noi e altro, sapersi poter essere altro lascia un segno, un'eredità trasmissibile, una linea d'ombra, che indica un possibile futuro.

C'è una questione, che certamente riguarda Maria Zambrano, ed è il senso del rapporto tra filosofia e pensiero religioso. La matrice religiosa in Maria Zambrano in parte deriva dalla mistica spagnola, ma apre al sacro al di là del cattolicesimo (ci sono pagine violentissime contro il peso politico della chiesa cattolica nella Spagna franchista), è sensibilissima alle religioni medio-orientali (sufismo, islam). Sacro come indistinto (zona d'ombra, in ombra), ciò che non si può esprimere, sfugge alla razionalità, ma è evidente, ed è lì che si gioca la nostra esistenza (non è superato dall'illuminismo della ragione, ce lo portiamo dentro perché è parte di noi: noi siamo fatti anche d'ombra). Sacro come nascita, essere gettati nel mondo (offerti alla luce come una specie di sacrificio ma anche andando verso la luce - per conoscere-conoscerci), ed essere esposti alla vista (a un occhio che guarda dappertutto, persecutorio, presenza divina e paranoia), essere visti prima di poter vedere (e, d'altronde, la mia faccia non la vedo - il volto è dell'altro - è una mancanza, una ferita originaria).

L'umiltà di Maria Zambrano è forza.
Nell'avvicinare la S.Barbara (di una pittore fiammingo esposto al Prado) alla sua nutrice Gregoria (che l'ha vista bambina, ha seguito i suoi passi, capisce quale sarà il suo destino) dà voce e autorevolezza ad una voce domestica opposta alla madre potente e castratrice.
Non è l'umiltà di chi abbassa la testa ma di chi volge lo sguardo verso il basso cercando quelle ombre che gettiamo sotto i piedi, tendiamo a calpestare.

La pittura è arte "che fa vedere".
È ciò in cui si mostra l'enigma della visione, celebra questo enigma. I quadri sono rivelazioni, vederli è un'esperienza: produce un mutamento, fa diversi, non radicalmente diversi, ma capaci di cogliere aspetti che fanno riflettere sull'abitudinario modo di esperire. L'esperienza della pittura è partecipare a un evento: qualcosa si forma nel quadro stesso nel momento stesso in cui lo guardo - con stupore.

La luce della pittura è una luce che ha l'ombra in sé, come quella dell'aurora - quando la luce non si è ancora staccata dalla notte, da quella "placenta d'ombra" da cui noi tutti veniamo.

Maria Zambrano pensa di essere stata ciò che non potuto fare a meno di essere, e pensa che qualcun altro potrebbe dirle chi è stata.
Scrivendo le pagine autobiografiche ricorda che da piccola avrebbe voluto essere una scatola sonora: la musicalità è una sua qualità, si sente il timbro della voce, e la sua voce sembra arrivare da lontano.
E parla in terza persona, indicando così uno scarto, una sfasatura: perché ognuno di noi è intessuto anche della vita e delle parole degli altri, c'è un dialogo, anche intimo anche fantastico, con gli altri, a darci esistenza.


L'impronta dell'erranza è una cifra della sua vita. L'esilio è la sua dimensione dell'essere al mondo.
Lei, tornata in Spagna, dice di amare il suo esilio. Accettazione senza annientamento o risentimento estremo. Condizione che l'ha portata ad andare oltre il proprio particolare, a capire cosa significhi casa, e l'essere al mondo nello sradicamento come dimensione profondamente umana. Immagini, ricordi fanno parte di una arredo interno. L'interiorità diventa luogo dei ricordi, del sapere della sensibilità.

Insegna nella scuole serali in Spagna, cerca di dedicarsi interamente alla politica, rimane tuttavia nell'ambito filosofico, ma con una sensibilità particolare. La luce della ragione cancellava la sua vita, perciò dice :"più leggevo più la mia testa si riempiva d'oscurità".
Il 'timbro' della vita - e l'opacità della vita - portato dentro l'universo filosofico, e le sue tradizioni, sconvolge le carte disciplinari, disorienta.
Scrive, per rispondere a ciò che chiede di essere tratto fuori dal silenzio.

Zambrano Maria
I luoghi della pittura
Medusa Edizioni, 2002
Pagine 140 - euro 16,5