Il gruppo della Università delle donne di Cernusco sul Naviglio ha discusso del libro di Maria Zambrano "Luoghi della Pittura" con Rosella Prezzo, curatrice dell'introduzione e della traduzione. La conversazione ha aperto spunti, squarci Intorno a Maria Zambrano di
Donatella Bassanesi
Maria Zambrano vive a lungo in esilio (in sud America, in Italia, in Svizzera, in Francia). Questa erranza non scelta, ma infine amata come un'educazione ad uscire dal proprio particolare, educa forse ad ascoltare il silenzio, a coltivare (custodire) immagini interne tratte da un'osservazione attenta che cala nel profondo e conserva in luoghi che non sono quelli della memoria razionale. Così la pittura "magia nata dalla solitudine", che "può germogliare solo dalla condizione umana patita fino al limite" (p.64) - "condizione ombrosa", "mistero della nuda esistenza delle tenebre" (p. 72) - è "un fiume temporale che si ferma", "non una forma dello stare, ma del passare, del passare a essere" (p. 56). Figure archetipiche, nodi dell'essere, prossimi e insieme estremamente lontani nella loro assenza, riemergono improvvisamente, si direbbe attraversino un ponte, siano insieme archetipi, nodi, ponte - figure insieme del conflitto e della comunicazione, del coincidere di istante e di tempo. Si tratta di "ciò che si ripresenta, a distanza di tempo e come senza origine, di un fatto che non è chiaro se fosse sogno o realtà, "realtà segreta", "decantazione di ciò che nella realtà vi è di ossessionante, di ossessivo, di non solubile nella coscienza" (p. 53, 54), "viscere della vita personale e storica imprigionate negli anelli del tempo" (p. 52). Perciò le figure delle pitture viste come fantasmi possono rinchiudere "dentro una sorta di circolo magico", e ritornano, potenti e dimenticate, senza corpo ma che hanno bisogno di un corpo a cui aderire ("come lo hanno i colori di aderire a una forma"), riportano al "labirinto, immagine delle viscere e dei tempi intricati" (p. 52), al soprapporsi delle immagini nei tempi dell'istante. La vita lunga di Maria Zambrano si conclude nella propria terra, la Spagna. Ed è una vita che però lei non pensa di poter raccontare: un altro lo potrebbe fare. Farsi dire dall'altro apre uno spazio, un vuoto , e induce una circolarità (che è di parole ed è di silenzi, di saperi e di esperienze). Il vuoto interviene come qualcosa che sta tra l'uno e l'altro. Detto in altri termini: non sono io o tu ad aver detto, pensato, visto la cosa giusta. È tra me e te, in quello spazio tra parola e silenzio (pensieri che vengono in mente e lavorano dentro di noi, desiderio di parlare che rimane silenzio perché si pensa che ormai è passato il tempo), a giocarsi qualcosa che probabilmente non è la verità ma è una cifra di un pensiero che si va formando, un pensiero in farsi, interrogante, mai compiuto e definitivo. E l'angoscia del vuoto, come per un atto creativo, diventa sentire che il 'gesto' si sporge al di là di una identità acquisita e compiuta. Così il momento-tempo fondato sull'ascolto, divenuto gesto creativo, divenuto nome del vuoto, porta verso l'altro. Il nome del vuoto come sapere di essere noi e altro, sapersi poter essere altro lascia un segno, un'eredità trasmissibile, una linea d'ombra, che indica un possibile futuro. C'è una questione, che certamente riguarda Maria Zambrano, ed è il senso del rapporto tra filosofia e pensiero religioso. La matrice religiosa in Maria Zambrano in parte deriva dalla mistica spagnola, ma apre al sacro al di là del cattolicesimo (ci sono pagine violentissime contro il peso politico della chiesa cattolica nella Spagna franchista), è sensibilissima alle religioni medio-orientali (sufismo, islam). Sacro come indistinto (zona d'ombra, in ombra), ciò che non si può esprimere, sfugge alla razionalità, ma è evidente, ed è lì che si gioca la nostra esistenza (non è superato dall'illuminismo della ragione, ce lo portiamo dentro perché è parte di noi: noi siamo fatti anche d'ombra). Sacro come nascita, essere gettati nel mondo (offerti alla luce come una specie di sacrificio ma anche andando verso la luce - per conoscere-conoscerci), ed essere esposti alla vista (a un occhio che guarda dappertutto, persecutorio, presenza divina e paranoia), essere visti prima di poter vedere (e, d'altronde, la mia faccia non la vedo - il volto è dell'altro - è una mancanza, una ferita originaria). L'umiltà
di Maria Zambrano è forza. La pittura
è arte "che fa vedere". La luce della pittura è una luce che ha l'ombra in sé, come quella dell'aurora - quando la luce non si è ancora staccata dalla notte, da quella "placenta d'ombra" da cui noi tutti veniamo. Maria
Zambrano pensa di essere stata ciò che non potuto fare a meno di
essere, e pensa che qualcun altro potrebbe dirle chi è stata.
Insegna
nella scuole serali in Spagna, cerca di dedicarsi interamente alla
politica, rimane tuttavia nell'ambito filosofico, ma con una sensibilità
particolare. La luce della ragione cancellava la sua vita, perciò
dice :"più leggevo più la mia testa si riempiva d'oscurità". Zambrano
Maria
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