Mahasweta Devi
per ricordare Rosella


di Donatella Bassanesi




Il 14 Dicembre abbiamo voluto ricordare, all'Università delle Donne, Rosella Gaudenzi.
L'abbiamo fatto con letture da un'autrice che lei amava Mahasweta Devi. C'era l'attrice Silvia Gallerano che ha letto frammenti dalla raccolta La preda (Einaudi, 2004), e c'era Anna Nadotti curatrice della postafazione.

Rosella, possiamo dire, fa parte di quelle persone che dalla morte ritornano. Come una presenza.
Ricordo di lei chiaramente la combattività.
E specialmente la dichiarata volontà di disobbedire (ob-udire, che è obbedire, è ascoltare in posizione subalterna, dis-obbedire è dunque non ascoltare in posizione subalterna). Disobbedienza dunque la sua. Non mancanza di ascolto. Al contrario un ascoltare attento, pronto a ribattere. Per mostrare la contraddizione, per ricercare il senso.
Mi colpivano sempre le sue domande: che non sollecitavano risposte, non chiedevano rassicurazioni, piuttosto implicitamente domandavano all'interrogata di interrogarsi.

La sua mancanza (il suo non essere più tra di noi) è stata come quel silenzio che riconduce a sé.
Un ricondursi a sé che comporta dolore, e la paura di quel dolore che è origine (originarsi) cioè separazione, decidersi da. È quel ritorno alla sorgente per dissetarsi (Derida usa la parola désalteré), perché si ha sete (alteré) - lo si può vedere anche come uno spogliarsi (deporre le difese) che è ritrovarsi, altra.

Lei ha portato ancora una volta per ognuna di noi la sua domanda. Ognuna ha visto in lei altra, la sua propria domanda (quella che ci produce inquietudine, a cui non sappiamo rispondere, che ci mette più profondamente in questione).
È stata come una sospensione, come l'aprirsi di un tempo ritrovato, come il comparire improvviso di un riflesso.

I brani scelti per essere recitati dalla raccolta di Mahasweta Devi sono tratti dal racconto Sementi.
È la storia di un campo in cui sono stati sepolti rivoluzionari e contadini salariati ammazzati dal padrone. Campo nel quale si è occultata ingiustizia e i soprusi. Seminato e concimato da quel "concime preziosissimo" darà semi - "e tramutarsi in semi è restare vivi", "una melodia (…) nel cuore. Ostinata e ribelle".
Così, per quella metamorfosi che implica un tempo profondo, che va oltre le singole vite, a cui le singole vite concorrono, alla comunità (a quelli senza potere) è reso il possibile.
Questa risoluzione (nella estrema solitaria sofferenza che ci indica) - una dolorosa speranza che è capace di rendere chi è lontano, per la sua distanza - è la 'nota' che ha suscitato riflessi.
Ha riportato a quel tempo-senza-tempo che è un luogo dell'essere. A quel sentire arcaico nel quale iniziare (arkein) è anche dirigere (dunque farsi carico), ed è anche origine (orao in ge, guardo nella terra).
Si direbbe che questo guardare nella terra è corso nell'aria, ha suscitato immagini, ha fatto emergere ricordi vivi.

Questa, l'altra faccia di Rosella. Che adesso, a distanza, ci compare.
Ci ha reso la gentilezza, ancora una volta, di tornare. Per una dolcezza nascosta e scontrosa, per fedeltà a un progetto di conoscenza, come un amore.