DONNE LONTANE DALLA SCIENZA
O SCIENZA LONTANA DALLE DONNE?


di Barbara Mapelli

 




Tra questi interrogativi contrapposti si muove la mia riflessione perché discutere e prendere in considerazione il secondo - ed è quello che farò - significa dare un significato ben diverso al primo, significa il passaggio da una valutazione di inadeguatezza delle donne rispetto alla scienza, alla possibilità di un pensiero o posizioni critiche, più o meno consapevoli, da parte delle donne nei confronti di questa scienza. Si tratta quindi di un riposizionamento culturale (e non soltanto) cruciale e radicale.

Cercherò di essere più chiara facendo un esempio che traggo da un'altra relazione difficile: donne e politica. Questo esempio non è inopportuno, poiché scienza e politica sono i due ambiti in cui maggiormente assenti sono le donne. E non a caso, perchè sono proprio i due ambiti che si sono strutturati, come culture, stili, comportamenti, valori proprio su questa assenza, che diventa quindi una sorta di profezia che si autoavvera: in politica (nella scienza) le donne sono sempre state assenti, o tenute lontane, quindi è sorta una concezione della politica (della scienza) tutta al maschile, le donne allora si tengono lontane - e tuttora vengono tenute lontane - dalla politica (dalla scienza). Vi è un'estraneità, e ora pensiamo solo alla scienza, a una cultura, a una modalità di fare scienza o di essere nella, o di costruire i saperi e gli obiettivi della, che è così profonda che viene normalmente (ma anche in modo non innocente) interpretata come inadeguatezza (ad es. da Lawrence Summers, rettore della Harvard University che non ha fatto altro che esprimere, e abbastanza rozzamente, quella che è un'opinione comune e diffusa) e autointerpretata dalle stesse donne come inadeguatezza e dunque torno agli interrogativi iniziali e alla necessità del passaggio dal primo al secondo, perché è proprio su questo che si sono mossi la mia ricerca e il mio studio negli anni scorsi.

Avvio la mia riflessione a proposito di quanto ho detto sulla scienza che nasce e cresce nella lontananza femminile con quanto scrive lo storico David Noble "L'identità maschile della scienza non è…un mero costrutto artificioso della storiografia sessista: lungo la più gran parte della sua evoluzione, la cultura della scienza non solo ha escluso le donne, ma è stata definita in sfida alle donne e in loro assenza"
Questo mi convince che anche nell'ambito della scienza dedicarsi solo a una riflessione di pari opportunità (numeri) sia inefficace eppure è ciò che si fa anche in ambito europeo, ma quello che invece sarebbe veramente utile e significativo, riprendere un discorso culturale di critica radicale al pensiero scientifico, nella sua storia tutta maschile, e a quel che ora ha prodotto, non solo per comprendere veramente i perché della lontananza femminile, ma donne e uomini intervenire perché non si continui a uccidere il nostro pianeta, o forse il nostro pianeta sopravviverà, ma senza di noi.

Questo pensiero di critica radicale alla scienza maschile c'è stato e ha prodotto opere e riflessioni di grande valore. E' stata l'epistemologia delle scienziate femministe prevalentemente statunitensi che hanno costruito posizioni radicalmente alternative alla scienza ufficiale, di critica profonda che ha ripercorso tutta la storia della scienza, e sono opere in una certa misura disponibili anche in italiano, grazie all'opera di diffusione nel nostro Paese di Elisabetta Donini. Ma si tratta di lavori di qualche decennio fa, che anche in Italia hanno avuto una modesta risonanza negli anni Ottanta, primi Novanta, mentre ora tutto sembra tacere, o ci sono anche da noi alcuni, pochi lavori di donne testarde (testo di Sara Sesti e Liliana Moro). La difficoltà a diffondere questo pensiero e queste idee ci fa pensare che siamo di fronte a un sistema strutturato di sapere, e anche di potere naturalmente, con delle norme e regole che è complesso attaccare, presenta pareti lisce, inossidabili, su cui la presa è problematica.

Vi racconto allora del mio lavoro di ricerca, perché risulta utile al nostro discorso e anche perchè è stato, purtroppo, un unicum nella ricerca a questo proposito. Siamo negli anni Ottanta e leggo le opere delle epistemologhe scienziate americane, mi si illumina tutto un settore di ricerca. Io sono pedagogista, studio in quegli anni l'evoluzione della scolarità femminile, in straordinaria espansione non solo in Italia ma in tutta Europa, e verifico però il permanere problematico della cosiddetta segregazione formativa: anche se le ragazze vanno sempre più a scuola e sempre più all'Università, evitano alcuni percorsi formativi, in particolare quelli tecnico scientifici (e vi assicuro, e chi è nella scuola lo può confermare, che è ancora così) e questo avviene in Italia e, esattamente allo stesso modo, in Europa e non solo. In altri paesi si fanno massicce campagne di orientamento in questa direzione, ma si ottengono risultati più che modesti

La lettura delle critiche femministe alla scienza me ne fa capire il motivo. LE RAGAZZE SI TENGONO LONTANE DA QUEI PERCORSI NON PERCHE' NON SIANO INFORMATE MA PERCHE' RIPERCORRONO PERCORSI DI TRADIZIONALE LONTANANZA FEMMINILE DALLA SCIENZA, SI TENGONO CIOE' LONTANE DA UN MONDO E DA UN SAPERE CHE E' NATO E CRESCIUTO SENZA LE DONNE IN CONTRAPPOSIZIONE ANZI AD OGNI CULTURA FEMMINILE. Ma questo è naturalmente tutto da dimostrare, trovo quindi dei finanziamenti e faccio una ricerca intervistando ragazze di scuola sul loro immaginario scientifico, sulle immagini cioè che hanno della scienza, di ciò che le tiene lontane, e non è forse loro del tutto consapevole (l'immaginario è una soglia) ma lo è divenuto in larga misura proprio nel corso dell'intervista, perché era la prima volta che si dava loro la possibilità di pensarci

Molto di quanto hanno detto queste ragazze era vicino, anche se espresso con più semplicità, alla critica dell'epistemologia femminista, una continuità di pensiero, emozioni e posizioni di fronte alla scienza che ci lasciò stupite: le ragazze partivano da un sentimento personale di inadeguatezza, per poi trasformarlo, seguitando a riflettere con noi, in una critica alla scienza e a come veniva insegnata a scuola, attuando cioè una vera e propria rivoluzione copernicana, spostando il fuoco della critica da sé all'oggetto del sapere, spostandosi, per dirla in politica, da posizioni di assimilazione (non ce la faccio a diventare come loro, ad assimilare QUELLA scienza) a posizioni di critica di genere (non va bene QUELLA scienza).

Vado avanti nella storia: ho passato anni a presentare in giro quella ricerca, che ebbe un modesto successo. Molto tempo dopo, pochissimi anni fa mi chiamano a Bruxelles per presentarla di nuovo, faccio presente che è vecchia, mi viene risposto che è l'unica di questo tipo non solo in Italia. Vado, la presento, riscuoto successo, suscito ancora stupore, critiche o riconoscimenti appassionati.
Questo significa che la nostra ricerca è rimasta tuttora un unicum, che la riflessione e gli interventi, anche in ambito europeo, sono stati soprattutto di p.o., numeri insomma, che sono importanti, ma non si spostano con la rapidità che si vorrebbe, perché non si interviene sui contenuti, sui principi e valori di QUELLA scienza

Ma perchè non si interviene? Perchè è radicale, mette in discussione un sapere consolidato, che si considera OGGETTIVO e come tale lo considerano anche le donne, per la maggiorparte, che fanno scienza, perché è anche il LORO sapere e non vogliono, non sanno discuterlo, mentre sono disposte a parlare di numeri, finchè non mettano in discussione il sapere. Ricordo a questo proposito un tragico 8 marzo all'Università Bicocca…per cui continua la segregazione, la scarsa presenza femminile nella scienza ecc.ecc.
E il professore di Harvard si permette di dire che le donne sono meno adatte alla scienza. Certo a QUELLA scienza, ma voglio argomentare di più.

Prima osservazione, più generale: anche alcuni degli uomini più intelligenti diventano del tutto stupidi quando parlano di donne, soprattutto in relazione al sapere e al potere, perché non sanno nulla delle donne, perché ne hanno una gran paura, mi viene sempre in mente a questo proposito Kant.
Seconda osservazione più nel merito. Questo scienziato ha commesso un errore, che è fondativo della nostra cultura, non solo scientifica, ma anche filosofica: ha fatto confusione tra differenza e disuguaglianza. D'altronde è una confusione antica, aristotelica (A e NON A) che non riesce a concepire le differenze se non in termini di gerarchie e quindi disuguaglianze
Quindi per il prof di Harvard poiché le donne sono differenti (da A, dal sapere maschile) nell'approccio scientifico, sono disuguali, cioè meno brave, qualcosa di minore rispetto ad A, insomma il discorso della minorità femminile che è nella logica assimilazionista (le donne più brave sono quelle che più assomigliano all'uomo, quella che un tempo chiamavamo logica emancipazionista o di pari opportunità nella sua accezione più povera, che ha anch'essa il suo valore, ma deve essere accostata al discorso della differenza di genere) e che vale per la scienza, per la politica.

Riconoscere questo errore (ma non lo pretendiamo da lui, anzi non ci interessa) significa riconoscere la possibilità, la necessità, la risorsa della differenza, che è l'unica speranza, io credo, sia per scienza che per la democrazia.
Rimando al volume in cui la pubblicammo (Immagini di cristallo. Desideri femminili e immaginario scientifico) per gli esiti di quella ricerca di cui dicevo, che abbiamo interpretato intrecciando le parole delle studentesse con i contenuti principali della critica alla scienza delle epistemologhe femministe.

Desidero qui solo riassumere le GRANDI QUESTIONI che stanno al fondo del rapporto tra donne e scienza come sono state poste dalla critica femminista e che ho ritrovato nelle parole delle studentesse. Esse dovrebbero contribuire a costruire uno sguardo sulla realtà, che ci aiuti a guardare al mondo, secondo quanto dice Cynthia Enloe, come a 'qualcosa che è stato fatto, perciò può essere rifatto'.
LA PARZIALITA' DEL SOGGETO CHE FA SCIENZA, L'ACCETTAZIONE DEL PUNTO DI VISTA, DEL PARADIGMA SCIENTIFICO COME INTERPRETAZIONE (UNA DELLE POSSIBILI) DELLA REALTA', IL SENSO DEL LIMITE, LA NON NEUTRALITA' DELLA SCIENZA, MA PIUTTOSTO IL SUO COINVOLGIMENTO SOCIALE ED ECONOMICO, LA PERDITA DELL' 'INNOCENZA' O, PER MEGLIO DIRE, L' 'IRRESPONSABILITA' '…

Passando all'ambito educativo, le 'grandi questioni' cui ho solo accennato perché sono note, credo sia opportuno e necessario vengano poste nell'insegnamento delle scienze e il modo migliore è quello di STORICIZZARE E CONTESTUALIZZARE IL SAPERE SCIENTIFICO e il partire dalla questione di fondo dei rapporti TRA GENERE E SCIENZA CONSENTE DI AVVIARE OGNI RIFLESSIONE CHE SVILUPPI SPIRITO CRITICO, COINVOLGIMENTO PERSONALE TRA STUDENTESSE E STUDENTI.

Per quanto riguarda il sapere scientifico,come ogni altro sapere infatti, perché avvenga l'apprendimento, si avvii il processo della conoscenza, è necessario che IL SAPERE DIVENGA IN QUALCHE MODO ESPERIENZA PERSONALE, diventi costitutivo dell'essere della persona, la muti. Gli studenti e le studentesse - ambedue i generi, anche se con accentuazioni differenti - chiedono alla scuola ciò che, almeno quella italiana, prevalentemente non dà: UN LEGAME CON LA VITA CHE AIUTI LA LORO RICERCA DI SENSO, UN LEGAME COL LORO VISSUTO IN CUI, SOLO, SI PUO' INSCRIVERE CIO' CHE APPRENDONO.

Così chiedevano - e torno, per concludere, alla nostra ricerca - anche le studentesse intervistate sul loro 'immaginario della scienza', chiedevano un sapere …una conoscenza che sia complessiva, che diventi anche possibilità per uno sviluppo personale, e anche poi per poter cambiare un modo di pensare. Quindi un modo anche per affrontare la vita quotidiana…(dall'intervista a una studentessa).
Le questioni che ponevo in precedenza e queste ultime cui ho accennato in ambito educativo, si sollevano immediatamente, divengono imprescindibili, se si adotta come cultura, modalità di lettura del reale, dei saperi e delle relazioni la prospettiva di genere. Qui sta il più alto valore di EDUCATIVITA' DELLA TEMATICA DI GENERE, che si applica a ogni sapere, ma è tanto più importante per i SAPERI TECNICO-SCIENTIFICI, come quelli che più sono (o si sono tenuti) LONTANI DALLA VITA, si sono assolutizzati, oggettivati, resi neutrali e quindi SONO LONTANI (E TENGONO LONTANE) LE DONNE.

Vorrei terminare ancora con un grande interrogativo : ma esiste una scienza al femminile? Un'alternativa a quello che ha prodotto (e non è tutto male naturalmente) la scienza maschile? La risposta non può essere naturalmente sì, le donne hanno avuto finora scarsi mezzi, troppi ostacoli per elaborare. Qualcosa esiste, alcune proposte che andrebbero riprese e rilette, soprattutto di attitudine, approccio, forme del fare la scienza che generano anche una serie di riflessioni e problematizzazioni etiche e tutto ciò è urgente anche rispetto ai temi delle Nuove Tecnologie, che se pure non sono solo appartenenti all'ambito scientifico, presentano alcune problematiche di genere molto simili

Voglio terminare, come si dice, con un messaggio di speranza, rifacendomi alle ultime pagine di un testo di una scienziata australiana, Margaret Wertheim (I PANTALONI DI PITAGORA). Rispetto alla domanda se si possa pensare a una scienza al femminile, anche lei dice di non poter rispondere, né di sapere prevedere come e quanto potrebbe cambiare con una presenza massiccia femminile. Afferma però che "le donne possono contribuire a restituirle una valenza etica… all'inizio della sua storia, ai tempi di Pitagora, l'uomo matematico era in primo luogo un individuo morale. Una delle ragioni per cui nel tempo è andato perdendo quel carattere è il fatto di essere rimasto senza compagnia femminile tanto a lungo. Con questo non intendo dire che una maggiore rappresentanza femminile possa trasformare la fisica da un giorno all'altro in una scienza ideale. Ma credo che le donne porterebbero un influsso equilibrante, come del resto avviene ovunque vi sia una loro presenza. I migliori obiettivi, di solito, sono quelli che emergono dai sogni comuni di donne e uomini".

Bibliografia
Luisella Erlicher, Barbara Mapelli, Immagini di cristallo. Desideri femminili e immaginario scientifico, La Tartaruga, Milano 1991
Elisabetta Donini, La nube e il limite, Rosenberg&Sellier, Torino, 1990
Elisabetta Donini, Conversazioni con Evelyn Fox Keller. Una scienziata anomala, Eleuthera, Milano, 1991.

Margaret Wertheim, I pantaloni di Pitagora, Instar libri, Torino, 1996
Sara Sesti e Liliana Moro, Donne di scienza. 55 biografie dall'antichità al 2000, PRISTEM-Università Bocconi, Milano, 2002

 

Intervento in occasione della settima edizione del "Club della scienza", organizzato dall'Assessorato alla Cultura di Sesto San Giovanni nel marzo 2006

 

20- 06- 06