Uomo sul lavoro vinco io

Più brave, qualificate e disposte al sacrificio. Ma in poche arrivano al top.
E qualcuno accusa: le donne non comandano perché non vogliono


di Sabina Minardi


 

"Gli uomini lavorano di più. E contribuiscono maggiormente alla ricchezza nazionale". L' ha detto "Enjeux Les Echos", mensile economico francese, che in un numero intitolato "L' économie, une affaire de sexes", basato sul rapporto Ocse "Perspective de l'emploi", ha pesato l'incidenza delle donne sull'economia: nell'egalitaria Francia, contano per il 44,9 per cento. In Svezia, paese modello per le politiche femminili, il contributo in rosa non va oltre il 48,2 per cento. Il lavoro delle italiane vale il 37 per cento.

"L'economia è una questione di sesso", ha scritto il direttore Francois Lengiet: "Le differenze di genere determinano i comportamenti economici e sociali. Uomini e donne non consumano le stesse cose, non lavorano per le stesse ragioni, non hanno gli stessi ritmi".

Falso, hanno replicato gli esperti dei Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo: in tutti i paesi le donne lavorano molto più degli uomini. Persino in Kenya una donna è attiva 676 minuti al giorno contro i 500 dei suoi compatrioti maschi. E anche nei paesi europei, dove la durata del lavoro è ben più bassa, lo scarto resta: 391 minuti al giorno di lavoro femminile, a fronte di 363 minuti di attività maschile. Se poi nel calcolo, aggiungono gli esperti delle Nazioni Unite, si includessero quelle attività domestiche senza retribuzione, e dunque non valutabili economicamente, le donne sarebbero responsabili della larghissima parte del Pil planetario.

La questione "uomini e donne: chi lavora di più, chi lavora meglio" torna ad accendere dibattiti.
E le provocazioni si moltiplicano: l'ultima, qualche giorno fa, l' ha lanciata Lawrence Summers, rettore della Harvard University ed ex ministro di Bill Clinton. Prendendo la parola al Centro nazionale per la ricerca economica di Cambridge, ha esordito dicendo che le donne non hanno le stesse abilità innate degli uomini in molte discipline. "Si guardi alla scarsa propensione per matematica e scienze, ha detto: "E' una questione di biologia. E volete sapere perché le donne non arrivano al top nel campo scientifico? Perché non sono disposte ad applicarsi fino a 80 ore alla settimana".

"Me ne vado prima di vomitare", ha esclamato la biologa del Massachussetts Institute of Technology Nancy Hopkins. Alle docenti che hanno scritto ai giornali, lamentando di sentirsi particolarmente offese, il rettore ha replicato: Mi dispiace che se la siano presa. Ma è interessante, questo vespaio: la dice lunga sul modo che le donne hanno di affrontare il confronto".
"Visioni vecchie, limitate. Superate da un esempio pratico: se metto un'inserzione su un giornale i curriculum migliori che arrivano sono quelli delle ragazze", commenta Paolo Citterio, presidente dell'Associazione nazionale dei direttori di risorse umane G.i.d.p./H.R.D.A.: "Un direttore del personale non può che preferire chi ha ottenuto i risultati più brillanti"

Ma proprio questo è il paradosso sul quale poggia la presenza femminile nel mondo del lavoro: le donne sono più brave a scuola. Più serie all'università. Ma al timone dell'industria, della politica e dell'economia restano gli uomini. Davvero, come sostiene il rettore di Harvard, perché poco portate verso il lavoro duro?

Le premesse dicono il contrario. Secondo la "Relazione sullo stato dell'università 2004" della Crui, la conferenza dei rettori italiani, il numero di ragazze iscritte ai corsi universitari supera quello dei maschi: sono il 55,7 per cento. Nel campo medico sono il doppio degli uomini (16.865 contro 8.649). In ambito giuridico superano i colleghi (1 8.052 i maschi nell'ultimo anno accademico, 22.913 le femmine).

Ma in Italia le donne magistrato sono ancora il 38 per cento della categoria. Solo il 5 per cento, vale a dire 18 su 400, sono presidenti di tribunale o procuratori capo . In Italia c'è un solo giudice costituzionale, su 15 membri; due sole donne tra i 26 membri del Consiglio Superiore della Magistratura.

Perché le donne, messe alla prova sul lavoro, non si dimostrano poi così capaci?
"Ci sono due fattori che le discriminano", aggiunge Citterio: "La competizione con le altre colleghe, non per questioni di lavoro ma sul piano strettamente femminile. E, indubbiamente, ancora, la maternità. Specie in Italia dove le donne restano fuori dal lavoro fino a un anno dopo la nascita del bambino. Altrove non è così: in Svizzera, per esempio, il periodo di maternità dura da uno a tre mesi. .

"Le aziende talvolta confessano apertamente di avere preferenza ad assumere maschi", nota Mario Vavassori, presidente di OD&M Consulting (www.odmconsulting.com). "Ammettono di non riuscire a investire sulle donne e sul livello di incertezza legato alla loro maternità. Non dimentichiamo che la nostra struttura produttiva è fatta in larga parte di piccolissime imprese alle quali non si può chiedere molto di più. Probabilmente, la valorizzazione delle competenze femminili potrebbe avvenire in modo più vistoso in grandi aziende, con grossi business: come quelle tecnologiche, con una organizzazione del lavoro dove la presenza fisica continua, in azienda, non è necessaria ". Il risultato?

"L'alea della gravidanza condiziona già il primo stipendio, dice Marisa Montegiove, vicepresidente di Manageritalia Milano e coordinatrice del Gruppo donne dirigenti. "A parità di primo impiego lo stipendio della donna è inferiore di circa il 12 per cento da quello degli uomini".

E il trend non cambia nel tempo: secondo le ultime analisi sulle retribuzioni, elaborate da Od&M, un dirigente ha guadagnato nel 2004 in media 86 mila 283 euro. Una donna dirigente 79 mila 226 euro. E se un impiegato ha in busta paga circa 26 mila euro, una donna arriva al massimo a 21.500 euro (meno 3,3 per cento).

"Io sfaterei decisamente la questione maternità ", dice Maria Cristina Bombelli, coordinatrice del Laboratorio Armonia della Sda Bocconi e autrice di 'La passione e la fatica' (Baldini & Castoldi Dalai): " Ormai le donne hanno imparato a organizzarsi. lo credo che la differenza principale tra uomini e donne sul lavoro sia di natura culturale: il potere è ancora maschile nell'essenza e non si cura di conciliare ritmi di vita con quelli di lavoro. Gli uomini tendono a stare in ufficio molto più del necessario: è una moda tutta italiana, legata ad incombenze familiari che il maschio non vuole assumersi. E che finisce per condizionare anche le donne che lavorano. In più, il potere è omofilo nell'essenza. E attira ciò che è uguale a se stesso. Un contesto di questo tipo produce nelle donne disagio. E si allontano, spesso, dal lavoro per scelta".

Non comandano perché non vogliono?
Secondo un'indagine della società di ricerca Catalyst, il 26 per cento delle donne all'apice degli incarichi manageriali non vuole ulteriori promozioni: per una donna "successo" vuoi dire anche benessere psicologico, tempo per sé, equilibrio tra vita privata e pubblico. Uomini e donne, insomma, sono diversi. e non è detto che al vertice delle priorità femminili ci sia l'affermazione a tutti i costi sul lavoro. "Le donne si chiedono se valga davvero la pena ridurre la sfera privata al minimo, specie in un clima di aggressività totale. Ecco perché in politica la partecipazione è così bassa", aggiunge Bombelli.

Negli Stati Uniti, tra i 435 membri della Camera dei rappresentanti le donne sono 62, tra i cento membri dei senato 14. In Italia, ci sono solo due ministri donna. Tra i 20 presidenti di Regione c'è solo una donna, tra i 103 sindaci dei comuni capoluogo otto. E l'elenco non cambia in altri settori: 197 donne su 5.241 al top dei sistema bancario. Secondo il Censis del 2003 le donne dirigenti sono una su quattro in tutti i settori, compreso il pubblico impiego; una su tre tra i quadri.

Tra le donne coinvolte nella docenza universitaria, le cifre restano scarse: 17.760 su 57.370 (il 31 per cento) nel 2003, il 31 per cento degli associati, il 16 per cento degli ordinari. In valori assoluto, 84 ordinari su cento sono maschi. Fino a uno sconsolante primato: un solo rettore donna.

"Non piangiamoci addosso. E' vero. E' una questione di scelte e di priorità ", dice Alessandra Burke, consigliere d'amministrazione di Burke & Novi, società genovese di intermediazione nel settore nautico. " Svolgo un lavoro maschile, dove essere donna provoca qualche curiosità. Mi sono districata in un contesto difficile: sola, con figli piccoli ho dato al lavoro una disponibilità totale. Un atteggiamento diverso non sarebbe stato serio verso i colleghi maschi. Molte donne non sono disposte ad essere così generose verso il lavoro".

Gli uomini si dedicano totalmente al lavoro, è vero. Ma non si tratta di stabilire chi lavora di più o meglio. E' tempo di fare autocritica da entrambe le parti ", sottolinea Giovanna Porcaro Sabatini, vice-presidente dell'Unionquadri e segretaria nazionale delle Donne quadro: è una questione di obiettivi. Vedo emergere una classe di donne che sa chiaramente ciò che vuole. Che sta cominciando ad associarsi. E che sa fare autocritica rispetto agli errori ".

Primo fra tutti: il non saper chiedere. A sostenerlo, in 'Le donne non chiedono' (Il Sole 24 Ore), Linda Babcock della Carnegie Mellon University e la giornalista Sara Laschever, in un libro che ogni lavoratrice dovrebbe mandare giù a memoria: le donne si aspettano che i loro meriti siano riconosciuti. Sono convinte che, presto o tardi, saranno valutate equamente. Per questo non rivendicano. E il più delle volte restano tagliate fuori. " Le donne non chiedono, convinte che il principio della meritocrazia prima o poi prevarrà, conferma Mombelli, che ha curato l'introduzione dei volume: l'impresa, invece, tende a premiare chi insiste per vedere riconosciuti i suoi meriti. A differenza degli uomini, le donne non sanno valorizzare quello che fanno. Tendono a sottolineare le incompetenze, mentre un uomo, di slancio, si dichiara pronto ad affrontare un incarico. E poi le donne hanno difficoltà a darsi una valutazione economica, il che le rende restie alla negoziazione. Il risultato di un'autostima spesso più scarsa di quella degli uomini. E della dimensione gratuita che il lavoro femminile ha sempre avuto".

"Sulle donne incide un sentimento di inferiorità. Sanno di avere maggiori vincoli dell'uomo: l'esigenza di uscire prima, di dedicare tempo ai figli e ai genitori ", aggiunge Montegiove: " Senso di colpa ingiustificato. Quando una donna sa quello che vuole è più determinata degli uomini e lo raggiunge a qualunque costo. Ma la sua sensibilità la espone molto: e se l'ambiente di lavoro non è piacevole, ne soffre più dell'uomo. A sua volta più bravo a ritrovarsi in contesti extra professionali, dove intreccia contatti utili per il lavoro.

Gli uomini fanno clan: costruiscono net- work a sostegno delle carriere. E, insieme, coltivano stereotipi: come quelli sull'inadeguatezza di una donna ai vertici, emersi da una recente ricerca della Fondazione Marisa Bellisario: su 300 uomini ai posti di comando in politica, industria e comunicazione, alla domanda: Come vedono le donne di potere? in 43 hanno risposto che "non sono adatte ai ruoli di comando". Per gli altri, "non occupano quei posti perché non hanno uno sponsor politico" e "perché non ne hanno le capacità".

L'articolo è stato pubblicato su L'Espresso nel 2005