Annie Leclerc, Della paedophilia e altri sentimenti

Barbara Mapelli

 

Non so se quanto scrivo si possa definire una recensione. Mi sembra che il mio desiderio sia soprattutto quello di parlare del testo Paedophilia, di Annie Leclerc, per condividere i contenuti di un libro che ha il coraggio di affrontare ciò di cui si parla poco e male, solo o prevalentemente a livello di notizie di cronaca, distorcendo i significati della parola, distorcendo, impoverendo e banalizzando i signficati di quel che accade e che risuona potentemente in tutti e tutte noi. Desidero condividere emozioni, per quanto possibile, e contenuti e il coraggio dell’autrice che tratta un tema oscuro, che suscita orrore, scavalcando i manierismi dei/delle benpensanti, di coloro che dividono il mondo con sicurezza in bene e male. E non c’è dubbio dove collochino se stessi/e. Scrivo, o almeno tento, un dialogo con l’autrice seguendo puntualmente le sue pagine, pur nella brevità obbligata delle mie di pagine, ma certamente non sono soltanto una cronista fedele di questo libro, né desidero esserlo, io ci sono nelle scelte delle parole, dei brani citati, delle sottolineature di contenuti che particolarmente mi hanno colpito.


C’è un lupo, scrive Annie Leclerc, che si è mangiato una parola – e proseguendo nella lettura ci abituiamo progressivamente al suo linguaggio, alle immagini che si susseguono, fioriscono in ogni pagina, compaiono e poi rapidamente spariscono, ma restano incise nel pensiero e nell’emozione di chi legge. Ma chi è il lupo, o i lupi? Qual’ è la parola?

La parola è paedophilia, il titolo stesso di questo piccolo libro, ed è una parola che viene usata spesso, anche se divorata nei suoi significati o meglio resa ambigua negli anni fino ad assumere il senso più negativo, quello che suscita orrore, che semina il terrore, il silenzio e la morte. Se il termine significa letteralmente amore per i bambini, diviene nel tempo qualcosa che evoca solo il male più grande. Eppure l’amore per i bambini è un sentimento che abbiamo tutti e tutte, è il sentimento della vita, della gioia, della fiducia e come e perché si trasformi, si sia trasformato è un pensiero su cui poco o nulla si è riflettuto.

Ovunque i bambini e le bambine inondano i cartelloni pubblicitari, le pubblicità in tv, sono i mezzi più sicuri per vendere di tutto, non solo prodotti per l’infanzia, vengono presentati e presentate come piccoli angioletti bonbon che ci vengono serviti in tutte le salse…Eppure, a fronte di tutto ciò sembra che ai pensatori dell’umanità tutto questo importi poco, e che si stenda un silenzio inspiegabile, forse indecente, sulla fascinazione irresistibile di un’infanzia che ci induce a comprare cibi surgelati, detersivi, carta igienica…e più i loro corpi piccini, il loro sorriso e i passi incerti vengono esposti, più l’amore, il desiderio per loro si espande, diviene sentimento diffuso e santificato nella sua apparente purezza, nella gioia senza ombre che offre. Al di là di questo inespresso ed edificante sentire collettivo domina il silenzio, rotto solo dalle denunce delle violenze, senza che vi sia alcun tentativo di mettere in comunicazione, di rompere la rigida divisione tra bene e male. Silenzio, come il silenzio del bambino, della bambina aggredita sessualmente. D’altronde, ricorda l’autrice, l’etimologia di infanzia, infans, è costituita dalla particella privativa in e fans, partcipio del verbo fari, parlare: l’infante è colui/colei che non parla (ancora). Eppure la bambina violata – e Annie Leclerc introduce ora direttamente la sua storia – vorrebbe parlare, rompere la solitudine in cui il silenzio la chiude, ma la sua è l’esperienza dell’indicibile, lei è preda prigioniera del segreto dell’altro. All’uomo del sentiero – colui che l’ha fermata e vioata in un luogo a pochi passi da casa – non ha potuto dire nulla, ai genitori nemmeno perché non ci sono parole per quanto è accaduto. La bambina, Annie da piccola, non vuole (non può) intaccare la fiducia assoluta che accorda agli adulti…Non vuole pensare: è davvero cattivo, mi vuole fare del male (…) La benevolenza degli adulti per i bambini è tutt’uno per lei con l’ordine del mondo: è la legge. Vuole restare, qualunque sia il prezzo da pagare, annidata nella legge della benevolenza come un feto nel ventre di sua madre (…) assume su di sé l’affonto e non fiata. E poi parlarne rende la cosa reale, una volta detta non si può più cancellare o dimenticare, e così alla vergogna per ciò che è accaduto si aggiunge la vergogna del silenzio, che la rende complice del crimine abominevole.

Ma Annie Leclerc si spinge ancora più in là ed è in questo coraggio ‘scandaloso’ che consiste, a mio parere, il merito maggiore del tuo testo.

Perché, lei afferma, davanti a un mondo adulto che si erge con grande sicurezza come giudice del crimine abominevole, e decide senza esitazione dove sia il bene, dove sia il male e si schiera in modo così risoluto contro il Male, il bambino già abusato da un adulto può, al posto dell’aperta antipatia davanti al suo carnefice che ci si aspetta da lui, al posto di questa dichiarazione di ostilità a cui è chiamato, riavvicinarsi al boia, all’ombra della vergogna dei deboli, in una solidarietà molto inquietante e insidiosa con ciò che conosce troppo bene: la solitudine di un inconfessabile segreto, la minaccia atroce della vergogna portata alla luce, questo stesso destino di terrore intimo e quotidiano…

L’indignazione e l’orrore adulto non crea solo distanza tra bene e male, crea barriere invalicabili, crea impossibilità di varchi, indicibilità e non volontà di cercare veramente di penetrare il segreto, i mille segreti della pedofilia ‘delicata’ racchiusi in ciascuno.

La divisione appare e viene dichiarata con sicurezza come netta e insormontabile tra una pedofilia gentile, attenta, amorosa, vale a dire pedagogica, e la volgare brutalità dei violentatori sanguinari, c’è una distanza infinita, insuperabile e indicibile. Il giorno e la notte. La bontà e la cattiveria. La grazia e la bestialità.

Ciò che ci si rifiuta di considerare è che l’amore stesso per i bambini e le bambine, il significato originario della parola pedofilia, può essere all’origine del disastro, della violenza. Porre barriere mette al sicuro l’indignato benpensante all’interno del recinto rassicurante della bontà, della tenerezza, della commozione innocente nei confronti del miracolo seducente dell’infanzia. Ma impedisce ogni sforzo di comprensione. E a questo punto la denuncia dell’autrice è precisa e netta.

Se non si cerca di capire cosa può accadere a coloro la cui sessualità si realizza a scapito dei bambini, se non ci preoccupiamo d’altro che di metterli in prigione, e di impedire con qualche coercizione originale che possano nuocere ancora una volta, non solo non si va al cuore del problema, ma lo si mantiene in vita. L’impensabile genera l’indicibile. L’indicibile allarga ulteriormente lo spazio del segreto in cui agisce il pedofilo. I mezzi per pensare l’impensabile li abbiamo: la comune passione per i bambini, il desiderio sessuale, ma anche qualche traccia in noi stessi, incancellabile, di infanzia oltraggiata: ferita segreta di sé, vergogna ridotta al silenzio senza la quale il pedofilo non avrebbe trovato la sua pastura.

Quanto Annie Leclerc scrive dunque su questo tema ‘lascia senza parole’, come annota Lea Melandri nella sua bella prefazione al volume, e lascia senza parole ‘dover ammettere che vita e morte, tenerezza e violenza, così come le abbiamo conosciute finora, si danno inspiegabilmente intrecciate’. Eppure l’autrice afferma, in una delle ultime pagine del libro, di non credere all’ineluttabilità della violenza, alla naturalità dell’homo homini lupus, una favola triste, dolente e oscura, aggiungo io, inventata dagli uomini cui anche noi donne abbiamo in parte creduto e abbiamo in parte soggiaciuto. Questa presunta naturalità è il frutto di una cultura antica, ma non originaria, su cui si può dunque riflettere e agire per trasformare.

Con le parole di Annie Leclerc.
Che si sappia soltanto che non credo in effetti ad alcun impulso primario nell’uomo di aggredire, di nuocere, di stuprare e di uccidere. Penso che non abbiamo altra passione che quella di vivere – portare a compimento la vita fino alla sua fine che a ciascun passo l’assedia, vale a dire fino alla morte – e che la violenza, l’omicidio, la guerra sono delle passioni rivolte contro la vita.


Annie Leclerc
Della Paedophilia e altri sentimenti
prefazione di Lea Melandri
traduzione di Luciana Piddiu e Giovanna Stancanelli
Malcor D' edizioni, Catania, marzo 2015, pag.109

 

29-04-2015

 

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