OMAGGIO A CARLA LONZI
a cura di Sisa Arrighi


 

Lo scorso anno abbiamo riproposto nel Notiziario Lud n.15, i primi manifesti del Femminismo degli anni ’70 tra i quali c’era ovviamente anche il Manifesto di Rivolta Femminista.
Quest’anno e precisamente il 5-6-7 marzo la Casa Internazionale delle Donne di Roma ha promosso il convegno ‘Taci anzi parla’ per celebrare la vita e l’opera di questa grande donna e teorica del Nuovo Femminismo italiano. A questo link è possibile ascoltare gli interventi dalla viva voce delle relatrici / relatori, pubblicati dal Server Donne di Bologna.

Vorrei ora ripercorrere con brevi cenni e citazioni la sua vita. Mi servirò della sua opera fondamentale Taci, anzi parla – diario di una femminista pubblicato nel 1978 e delle parole di quanti l’hanno conosciuta personalmente e ne hanno poi dato testimonianza.

Carla Lonzi è morta a Milano nell’agosto del 1982, era nata a Firenze il 6 marzo 1931 da una famiglia della piccola borghesia: il padre artigiano, la madre casalinga.
Carla è la prima di cinque figli e sottolinea l’importanza di essere la primogenita, di essere quella che apre la strada. Con la nascita di sorelle e fratelli si sente privata dell’amore esclusivo dei genitori:

‘Da piccola ero fiduciosa e conquistatrice, sentivo che gli altri mi prediligevano e questo per me era normale. Dopo la nascita di mia sorella è scoppiata la competitività per l’atteggiamento di mio padre che aveva preso a misurarci l’una contro l’altra’.

Il padre ironico, pieno di autorità e di energia, diceva che Carla era strafottente ed egoista.
Carla. ‘Certamente lo adoravo, ma sentivo che non era mio.’ e altrove ‘Impazzivo per il riconoscimento di me, costantemente negato da lui.’

Poi a nove anni va in collegio dalle suore attratta dalla novità e dall’ambiente diverso conquistando così una nuova indipendenza. Prosegue poi gli studi artistici a Firenze con Roberto Longhi. All’Università, nonostante i risultati brillanti rimane delusa dal mondo accademico. Preferisce partire con un’amica con pochi soldi in autostop per un viaggio all’estero e con l’idea di vedere tutti i musei del mondo. Parigi, Amsterdam, il Nord Europa poi ancora Parigi dove si ferma per qualche tempo.

E’ il 1952, si ammala di tubercolosi ed è costretta a rientrare a Firenze per curarsi. Come vedremo in seguito la malattia è un segno costante nella sua vita. Si laurea a pieni voti, il suo relatore le propone di pubblicare la tesi ma Carla rifiuta. (è stata pubblicata solo di recente)

Si sposa nel 1958, va a vivere in una piccola città di provincia, Lido di Camaiore e nel 1959 nasce suo figlio Battista. Del suo matrimonio Carla parla come di una ‘calamità sociale’: si separerà presto.

Ero come sommersa da una catastrofe interiore – all’interno di me una sconosciuta agonizzava.

Comincia a lavorare come critica d’arte, a frequentare il mondo degli artisti, soprattutto le avanguardie degli anni ’60. Si devono a lei la scoperta, i cataloghi e le mostre di giovanissimi allora sconosciuti, che poi sono diventati i più importanti artisti contemporanei.
Il primo libro Autoritratto (pubblicato da De Donato nel 1969) raccoglie il suo lavoro di quegli anni: conversazioni con artisti  da lei scelti, con grande intuizione, riconoscendo il talento in un mare di persone che sono poi sparite.
Si tratta di un collage di interviste/conversazioni con questi personaggi da lei montate liberamente. E’ un libro in cui non si parla delle opere ma degli artisti.

“Sentivo crescere la mia perplessità sul ruolo critico, in cui avvertivo una codificazione di estraneità al fatto artistico insieme all’esercizio di un potere discriminante degli artisti. Questo libro non intende proporre un feticismo dell’artista, ma richiamarlo ad un altro rapporto con la società negando il ruolo e perciò il potere del critico d’arte”.

Carla Lonzi sentiva il suo lavoro marginale, perché l’artista metteva al centro l’oggetto, mentre lei privilegiava la relazione, il pensiero.

Quando ho capito che mi chiedevano di immedesimarmi nello spettatore ideale, mi sono sentita giocata”.

Il figlio Battista Lena, la ricorda al lavoro con quel registratore Brionvega, lui ancora bambino: “Si sentiva sempre sbagliata – sceglieva  di mettere un profumo, usciva di produzione…la stessa cosa con la marca di sigarette, c’era una specie di corto circuito con le cose che toccava…era una donna molto dolce…per nulla ideologica…

Di questi anni è l’incontro con Pietro Consagra, scultore, che diventerà il suo compagno: "Mi ero innamorato di Carla, mi ero aggrappato a Carla: lei di una generazione più giovane di me si presentava pacata e sicura”.
Poi ancora: “Vivere con Carla era proprio una grande meraviglia…lei era così lucida, viveva tutte le contraddizioni del suo tempo, ma era anche dolce, allegra, buffona…non si tirava indietro, portava tutto alle estreme conseguenze…ma quando si arrivava ad affrontare l‘argomento donna, impazziva di rabbia, di frustrazione, dalla voglia di frenare tutta quella prepotenza maschile che vedeva nella società.

Anni felici e poi nel 1967 di nuovo la malattia. A Boston, negli Stati Uniti sarà operata di cancro, le toglieranno un piccolo nodulo vicino alla clavicola.

Sul mio corpo passano tutte le tempeste, non c’è cosa che io non capisca a mie spese.

Infine la svolta decisiva: il femminismo – siamo nel 1969/70.
Nelle parole della sorella Marta: ‘Per Carla fu lo sbocco decisivo, perché lì con le donne del suo gruppo trovò quei rapporti di autenticità che aveva inutilmente cercato con gli artisti. L’apporto più originale di Carla fu di mettere al centro la sessualità’.

Sollecitata da Carla Accardi, pittrice ed amica, dialogante con Carla in Autoritratto, che le parla dei primi contenuti femministi ascoltati in una riunione, Carla si trasferisce a Roma e nel giro di due mesi fondano il primo gruppo che sarà anche il primo gruppo femminista in assoluto.

Dice Carla: ‘Alla prima riunione eravamo in 7, dopo due mesi in 40’.
‘Così sono arrivata al femminismo che è stata la mia festa. Qualcuno doveva ben cominciare e la sensazione che mi portavo addosso era o che lo facevo io o nessuno mi avrebbe salvato.’

Interrompe la sua attività di critico d’arte e si dedica interamente a questa nuova avventura: ‘L’emozione di quei giorni era indescrivibile.’
Il primo manifesto di Rivolta Femminile è del luglio 1970. Riletto oggi risulta ancora dirompente. Il manifesto si chiude con le parole: Noi cerchiamo l’autenticità del gesto di rivolta e non la sacrificheremo né all’organizzazione né al proselitismo. Comunichiamo solo con donne.

Ora questo tipo di linguaggio può sembrare quasi familiare, allora provocò uno scandalo enorme, anche e soprattutto per la scelta della separatezza. Incredibilmente però, come accade in certi momenti storici, il piccolo gruppo di donne, che si diffuse a macchia d’olio, e che successivamente fu chiamato autocoscienza, fece propria quella modalità con rapidità sorprendente.

Il privato diventa politico – autocoscienza è presenza a se stesse momento per momento – dice Carla.

Il Gruppo di Rivolta tenendo fede alle promesse, comunicò con gli altri con una serie di pubblicazioni, i cosiddetti LIBRETTI VERDI, prodotti in proprio e distribuiti dal gruppo, ancora una volta con titoli addirittura traumatici per le stesse donne che li leggevano:

Sputiamo su Hegel La donna clitoridea e la donna vaginale; Superiore ed inferiore; Una ragazza timida; Autocoscienza; La strada più lunga; La presenza dell’uomo nel femminismo; Taci, anzi Parla –Diario di una femminista ; E’ già politica; Vai pure; Scacco ragionato (1985 postumo); Armande sono io (Materiale sulle ‘Preziose’).
Per la prima volta ora tutta la sua opera viene riproposta in una nuova edizione, (casa editrice Et Al.) fedele a quella originale e si parla di ‘riscoperta editoriale’

Il primo titolo è del 1970/71 gli altri libretti escono lungo l’arco di dieci anni, ebbero successo e diffusione, alcuni furono tradotti in varie lingue: tedesco, francese, spagnolo.

‘La donna si fonda su una realtà incerta e malferma…si fonda sul niente – il niente è l’unico aggancio a cui tener fede. Il niente misconosciuto in cui mi ero rifugiata prima, si rivelava adesso come il nuovo campo della soggettività della donna

Nel suo diario (1972-1977) registrava meticolosamente tutto: i sogni, i ricordi, gli incontri, le fantasticherie, le lettere non spedite, i minimi mutamenti della coscienza.

‘Sfidavo continuamente il tracollo, la caduta, ma non potevo tralasciare di indagare nel più minuto incidente che potesse avere un carattere illuminante per me.’

Vai Pure è la registrazione in quattro giornate del dialogo/conversazione con Pietro Consagra nel momento di riepilogo di una relazione, sui punti inconciliabili di due individui che sono due culture: quella della donna che cerca di porre le basi per il suo riconoscimento, quella dell’uomo che si richiama alle necessità di ‘ciò che è’ che sono le sue necessità. Questo dialogo non è stato alterato dalla presenza di un possibile futuro lettore, perché non è stato registrato per essere pubblicato, ma si è rivelato da pubblicare. Un gesto di intervento che rompe l’omertà del rapporto a due.

Nel 1981, mentre lavorava ad un testo sulle letterate francesi del ‘600, cominciò ad avvertire forti dolori ad uno zigomo. Fu diagnosticato un cancro esteso inoperabile. Fu comunque operata a Zurigo con grande menomazione del suo volto. Poco prima di morire – agosto 1982 –sentì il bisogno di fare un riepilogo con un’amica:

‘Certo ora come ora, tutto il peso dell’andar controcorrente, la drammaticità, lo sconquasso della vita personale non si può ripetere. Chi vuole lo legga nei libri – però sappia che c’è stato…
Smettiamo di parlare di costo! Parliamo invece della merce conquistata, quanto era bella e pregiata e come praticamente non aveva prezzo.

 

Laura Lepetit, editore, così la definisce:
“Un’intelligenza feroce che colpiva al cuore tutte le volte…prima di entrare in Rivolta, io mai avrei potuto dire o pensare ‘sputiamo su Hegel’... dire qualcosa di simile a quei tempi era un terremoto. Carla era come se ignorasse i pericoli – lei lo faceva e le donne potevano farlo…”

Francesca Archibugi, regista, così la ricorda:
“La cosa che più ti colpiva in Carla era quanto sapeva ascoltare e come ti metteva in condizione di saltare tutte le convenzioni e di arrivare subito a parlare di ciò che ci premeva.”
E ancora : “Mi colpiva la sua lucidità intellettuale che non rinnega la sofferenza ma cerca di farne un’altra cosa. Ha attraversato nella vita cose abbastanza drammatiche eppure non ha avuto un’esistenza drammatica. Ha avuto un’esistenza felice.”

Manuela Fraire,  psicanalista:
“Carla Lonzi è stata una fondatrice, ha avuto la forza e le gratificazioni che hanno le fondatrici che si trovano nel posto giusto al momento giusto. Ha definito l’autocoscienza come metodo, non solo perché ha inventato il modo che permetteva questo tipo di comunicazione tra le donne, ma perché ne ha capito il significato pratico, trasformativo, teorico. Ha capito che attraverso l’autocoscienza il modo delle donne di percepire se stesse sarebbe cambiato. Uscite dal piccolo gruppo le donne avrebbero avuto la possibilità di pensare se stesse come persone che avevano una differenza, differenza che non voleva dire disuguaglianza o inferiorità.”
E: “Dire ‘sputiamo su Hegel’ per una donna della sua cultura voleva dire io posso sostenermi anche senza i riferimenti che mi hanno formato perché penso di poter mettere all’ordine del giorno la mia visione del mondo –produrre un imprevisto nella storia – cambiare di prospettiva – scattare a soggetto.”

Luisa Muraro, filosofa:
“Per lei la politica non è fare ciò che è realisticamente possibile, ma creare la possibilità di altro e inventare, aprire l’orizzonte, alzare il cielo.”
E aggiunge: “in quegli anni l’orizzonte era molto stretto.”

Battista Lena, il figlio:
“Anche durante la malattia finale, io ero già grande, abbiamo passato tanto tempo insieme, era serena, leggeva, non aveva paura di morire…”

Maria Luisa Boccia ha scritto:
“Lonzi invia al Corriere della Sera il testo Sessualità femminile e aborto, in risposta a un articolo di Pier Paolo Pasolini (lettera che riproduciamo) che aveva denunciato la mancata messa in questione, da parte delle femministe, del legame tra eterosessualità, procreazione, aborto. Il giornale non lo pubblica. Lonzi scrive allora una lettera a Pasolini, come gesto di riconoscimento della reciproca differenza, senza ricevere alcuna risposta.
Il 5 febbraio 1978 invia una lettera a “L'espresso” per confutare la riduzione del femminismo a movimento, la sua filiazione dal Sessantotto e dunque la sua riduzione a costola femminile di ideologie, rivoluzioni e rivolte degli uomini. “Viceversa -scrive Lonzi- è malgrado il Sessantotto che le giovani donne del movimento hanno preso coscienza di sé; scardinando parole d'ordine, modi di far politica e miti dei loro compagni. Anche questa lettera non sarà pubblicata. Privilegiando da sempre la comunicazione, Lonzi e Rivolta Femminile, con questi e altri gesti, mostrano di aver ben compreso l'importanza della rappresentazione mediatica. E la necessità di interloquire con chi la produce.”

leggi tutto il testo di Maria Luisa Boccia

Lettera a Pier Paolo Pasolini

Meravigliosa profetica Carla di Giancarla Dapporto

Autocoscienza di Elena Rader

 

6-01-2011

 

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