Parità tra i sessi e “rivoluzione possibile” Lea Miniutti intervista Lea Melandri
Incontriamo Lea Melandri al convegno “La rivoluzione possibile. Cura/Lavoro: piacere e responsabilità del vivere” che si è svolto a Milano il 18 febbraio. Lea, qual è il significato di questo convegno, in tempi in cui il lavoro scarseggia per tutti, e le donne sono le prime a tornare a casa? «Il tema che ci siamo date per questo convegno sottolinea due aspetti: il primo -“cura/lavoro” - dice che oggi non si può parlare di occupazione femminile senza tener conto che sono ancora le donne a portare il maggior carico di responsabilità, lavoro domestico e cura della famiglia. Quali, allora, le politiche da mettere in atto per la parità di genere e una giustizia sociale? «Le manifestazioni e le prese di posizione del movimento delle donne negli ultimi anni, accanto ad altri temi - come la violenza domestica e gli attacchi alla Legge 194 - hanno messo al centro il riequilibrio della rappresentanza tra uomini e donne nei luoghi decisionali della vita pubblica. Il 13 febbraio di un anno fa, i movimenti femminili invitarono donne e uomini a scendere nelle piazze per manifestare il dissenso contro il degrado politico e sociale del Paese. Che cosa è cambiato nel frattempo? «Non molto, purtroppo. Forse c’è maggiore prudenza nel fare del corpo femminile l’uso mercificato a cui ci aveva abituato la televisione berlusconiana. Il nuovo governo ha sicuramente introdotto un modo di far politica meno personalizzato e meno incline alla spettacolarizzazione. Resta il fatto, non nuovo per il nostro paese, che anche una grande manifestazione come quella del 13 febbraio sembra non lasciare traccia. Parliamo di violenza. Nei tuoi scritti affermi che le donne, ancora oggi, sono considerate come corpo erotico e materno. Gli uomini non riescono ad accettare il rapporto di coppia alla pari. Nel tuo ultimo saggio “Amore e violenza” dai spiegazione della violenza maschile. «La questione della violenza contro le donne non si risolve con la richiesta di pene più severe. Ci fanno indignare giustamente sentenze discriminatorie, frutto di pregiudizi sessisti, ma sappiamo che omicidi, stupri, maltrattamenti, sono solo la manifestazione più arcaica e selvaggia di un dominio storico particolarissimo – quale è quello maschile – che si è confuso con l’amore, con le esperienze più intime degli esseri umani. Prima del padre-padrone, l’uomo è figlio, nato da un corpo di donna. Lo dicono tutti: le giovani generazioni vanno educate al rispetto per l’altra, per l’altro e bisogna cominciare fin da piccoli, ma nella pratica non è così. Che si può fare? «Il rancore che emerge oggi da parte di uomini che si sentono sempre più minacciati dalla libertà femminile, sembra portare allo scoperto una fragilità infantile mai cancellata. Non c’è dubbio che per liberarsi da ruoli, pregiudizi, fantasie sedimentate nell’inconscio collettivo nel corso dei secoli, bisogna andare alla radice, cominciare fin dalla prima infanzia l’educazione ai sentimenti, alla conoscenza e al rispetto reciproco. E se vogliamo davvero un cambiamento c’è bisogno dell’impegno di tutti: famiglia, scuola, chiesa, istituzioni, tutti, nessuno escluso».
da Milanosud, marzo 2012
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