Maria Morganti. Le dimensioni del colore

di Rosella Prezzo




Nelle opere di Maria Morganti è il colore stesso, per la sua forza espressiva, per la sua assoluta indipendenza dall'oggetto, a introdurci più in profondità nella dimensionalità visibile e sensibile della sua pittura, caratterizzata da un tratto fortemente contemporaneo e, insieme, antichissimo. Quel tratto dal quale emerge chiaramente fino a che punto la pittura abbia luogo nel colore. Davanti alle sue tele vengono in mente le parole di Reiner Maria Rilke: i colori "occorre lasciarli soli perché essi si spieghino reciprocamente. Il loro commercio è la pittura tutta".

La matericità, la tattilità, la tonalità e l'intensità dei blu, dei verdi, dei viola, dei rossi di Maria Morganti aprono nella superficie della tela una pluralità di spazi copresenti, sovrapposti o segretamente comunicanti che, come un fondo musicale, fanno vibrare e risuonare una spazialità preliminare o possibile. Una pulsante profondità pittorica, come un segreto di preesistenza, che sembra emergere non si sa da dove, viene a germogliare sul supporto e, una volta là, risveglia potenzialità addormentate o silenti, crea spazi precedentemente inesistenti o inavvertiti.





Spazi-colore che avvengono tutti alla stessa superficie, occhieggiano e fanno capolino, emergono e si celano, eccedono e si ritraggono. Albeggiano in fili di luminosità o tramontano in ulteriori orizzonti di colore che paiono spegnersi in echi lontane. Quasi a voler rammemorare il tempo lento del respiro orizzontale di antichi paesaggi della natura nell'istantanea verticalità, tutta moderna, delle nostre metropoli. Spazi-colore che cadono gli uni su gli altri, emergono gli uni dagli altri, squadernandosi senza che alcuna linea di contorno ne congeli definitivamente la forma. Sconfinamenti che, là dove il visibile insinua le sue radici nell'invisibile, sembrano aprire segreti varchi nel colore che tende a ergersi come dominante, sempre pronto com'è a occupare l'intero campo visivo per chiuderlo in un monocromatismo. Quasi a giocarlo, mimarlo, rifrangerlo, eluderlo, eccederlo.

Dal dialogo che si crea tra i colori in divenire, lo spazio ne risulta così degeometrizzato, de-centrato, curvato, sempre in bilico o sospeso tra un punto culminante e i suoi bordi che sfuggono di colore in colore, in un ripetuto processo di metamorfosi e di scorniciamenti. All'interno dello stesso quadro ma anche nei rimandi di quadro in quadro.

Anche negli "assolo" della serie dei rossi, simili a variazioni e improvvisazioni jazzistiche, il colore si fa spazio per sua vibrazione interna, prendendo impulso da un gesto che è nel suo fondo come una sorta di traccia figurativa evaporata. E della quale sentiamo ancora la presenza nei piccoli accumuli di colore, nelle striature, nei tocchi che sedimentano i tratti della mano sulla superficie del quadro, e che non ci rivelano solo l'intensità di un'emozione ma l'effetto che questa emozione ha sulla percezione del mondo. Il rosso che si fa quadro può allora contrarsi in uno spasmo, diluirsi in un respiro, incupirsi per nostalgia, rapprendersi per concentrazione, ritrarsi in riflessione o lievitare in un accennato passo di danza.

Perché il colore, protagonista assoluto dell'atto stesso del dipingere di Maria Morganti, non è sottratto come sfondo o aggiunto come una qualità secondaria, o come simulacro di superfici cromatiche, ma s'incorpora alla tela come un vivo tessuto epidermico e ne certifica lo spazio corporeo, liberato dalle forme date e dall'illusionismo della rappresentazione. Non è necessario che vi sia imposizione, affermazione del colore, è sufficiente che esso appaia, che si iscriva passando davanti all'occhio, come un'apparizione, o una scomparsa, sempre atteso e inatteso.

La tela si rende allora visibile come quel tessuto di colore che fodera, sostiene, innerva e nutre i molteplici luoghi del sentire tra le cose. Il colore che non è colorazione, ma materia prima della tela, abita il mondo, senza espellerne la possibilità e la latenza delle cose, la loro vita larvale. Si tratta della dimensione del colore che comunica in intensità, creando al proprio interno identità, differenze, ripetizioni, connessioni e contrasti. E le dimensioni degli spazi-colore di Maria Morganti non si possono misurare, ma vivere.

Il colore-spazio-corpo della tela, in una parola la "pittura" di Maria Morganti, anima la vita vista sul bordo e fa vibrare il nostro sguardo e virtualmente il nostro tatto, il senso del limite e della nostra finitudine, ma anche del rischio, del destino o della libertà. Ci dà la risonanza segreta con la quale la nostra finitudine si apre all'essere policromo del mondo e si fa poesia. Ci costringe a vedere un altrove che esso porta solo in se stesso, dischiudendo uno spazio di prospettive estranee, anziché confermarci nelle nostre.

Non ci sono infatti mai occhi per l'opera, prima che l'opera stessa abbia creato, con la sua stessa pittura, gli occhi per essere vista. Come ricordava Marcel Proust, "il pittore originale, come lo scrittore originale, procedono al modo degli oculisti". E quando l'operazione e la cura per mezzo della loro pittura od opera letteraria è ultimata, "essi dicono: 'e adesso guardate!'. Ed ecco che il mondo, il quale non è stato creato una volta per tutte, ma lo è ogni volta sorge un nuovo artista, ci appare, pur nella sua diversità dall'antico, perfettamente chiaro".

Vedi anche:
Riflessioni intorno alla mostra di Maria Morganti a
cura di Donatella Bassanesi