Riflessioni intorno alla mostra di Maria Morganti
che ripercorrono le opere e lo scritto di Rosella Prezzo

A cura di Donatella Bassanesi

 

Di Maria Morganti il tratto - che è "una sorta di traccia figurativa evaporata" - è "contemporaneo e, insieme, antichissimo", in un tempo che è quello "lento del respiro orizzontale di antichi paesaggi della natura nell'istantanea verticalità, tutta moderna, delle nostre metropoli", il colore "introduce nella dimensionalità visibile e sensibile della sua pittura", scrive Rosella Prezzo.

Potremmo dire che il segno, traendosi dalle profondità del tempo, si muta in colore e conduce nello spazio.
Uno spazio grandissimo, quello a cui allude il quadro che apre la mostra, primo attore che apre la scena, grande spazio verde che invita (a entrare? A riposarsi?), dice: eccomi e buon giorno.
Il quadro di dimensioni molto maggiori di tutti gli altri presenti nella mostra, ma che, risolvendosi nella parte alta come un settore di cerchio, allude e ci porta a immaginare uno spazio ancora più grande, e una parte mancante - quella che rimane implicita e che, completandosi, ci renderebbe il cerchio.
Ma quel settore di cerchio in alto non allude semplicemente ad un cerchio. Per lo smarginamento di un rosso-arancio sulla grandissima campitura verde, suggerisce l'albeggiare, il tramonto e "ulteriori orizzonti di colore che paiono spegnersi in echi lontane" - indica il cerchio dell'orizzonte, la cui completezza, impossibile, allude a un'unità desiderata, sempre ricercata, è latenza; linea, quella dell'orizzonte, oltre la quale non sappiamo cosa c'è ma che ci permette di immaginare (il possibile, il futuro), ci rende il movimento, ci fa arrendere al movimento (che è spostamento verso la periferia, le terre di confine - che sono anche terre di nessuno).

"Una spazialità preliminare o possibile" diventa colore, perché "il colore si fa spazio, segue una sua vibrazione interna", che nasce-da-diventa "un fondo musicale": una sonorità che è movimento, sono "spazi-colore che cadono gli uni sugli altri, squadernandosi".
Ecco che il tempo antichissimo e l'istante li vediamo trasformarsi in ritmo: è il "dialogo che si crea tra i colori in divenire", pronti alla metamorfosi, e sono i sei piccoli quadri in taglio verticale, un'alternarsi di campiture verdi, di campiture viola, che emergono alla luce, scendono nell'ombra, come dei passi, o una danza, ci conducono, riflessivi e sonori.
E dietro ogni campitura, ogni passo o impronta, se ne intravedono innumerevoli altre - che l'hanno preceduta, di cui rimane una traccia, un dialogo implicito, un eccedere del discorso, un movimento in potenza, "squadernato" e sospeso tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere, il silenzio vivo dell'ascolto.

"La vita vista sul bordo" - nell'al di qua, nella coscienza del limite che è sensazione di calpestare una traccia che innumerevoli passi hanno compiuto, e insieme col desiderio di affacciarsi oltre (che è "rischio"? "destino"? "libertà"?).
Questo affacciarsi oltre, in quello spazio-tempo intermedio che è il tra, sono "segreti varchi nel colore" - tra l'io e il tu che è l'uno e l'altro (la città, le culture), il prima e il dopo, inizio e fine - apre squarci che introducono all'invisibile, al latente (che è, sempre, desiderio di ricomposizione e del tutto).
Per questo bordo, lo spazio che si è fatto tempo-movimento, siamo portati oltre i primi passi, la prima sequenza (e il suo ritmo danzante), verso il secondo quadro isolato, meno grande tuttavia di quello di apertura: il secondo attore entra in scena (oppure è quello di prima che ci guarda un po' a distanza), calma le acque sconvolte dalla battute iniziali, invita a osservare l'orizzonte, l'orizzontalità, e ci riporta indietro a riconsiderare quel frammento di cerchio e di orizzonte, alla sua dinamica che spezza lo stato di perfetta quiete.

Così, le ultime sei piccole tele poste frontalmente alle prime, dello stesso formato e forse delle stesse misure ma poste in orizzontale, non chiudono realmente il ciclo, non fanno veramente circolo. La calma di un paesaggio antico solenne, calmo, disteso, dibatte si-batte con le piccole tele verticali, prendendoci in mezzo, impedendoci di metterci a guardare, a starcene da parte a seguire da lontano.


È "la possibilità e la latenza delle cose, la loro vita larvale", "i molteplici luoghi del sentire tra le cose", il teatro dalle quinte "squadernate", a ragione dei quali il mondo non è stato creato una volta per tutte, a venire ricreato ogni volta che uno sguardo stupefatto impara nuovamente a vederlo.