A proposito di Roma

Due lettere di Cristina Morini

 

Non sono stata, causa impegni personali, alla manifestazione di Roma (e non ero d'accordo con l'impronta separatista), ma i racconti che ho raccolto sono di tipo assai diverso da quelli fino ad ora proposti. Questa è una lista di dibattito sindacale, ma questo thread non l'ho introdotto io. Ho fatto molti giri intorno alla mia sedia prima di decidermi a scrivere. Poi, mi sono detta che all'interno di una lista di cui faccio parte e dove alcune iscritte hanno tutte proposto una certa chiave di lettura è giusto sforzarsi di fornire una testimonianza alternativa, per rispetto a una "pluralità" di pensiero e visioni che questo stesso nostro mestiere ci insegna a rispettare.

Mentre sui giornali si succedono drammatiche analisi sulla crisi della democrazia e della rappresentanza e sul prevalere dell'impolitico, dell'antipolitico, resto perplessa di fronte alle vibrate critiche mosse, paradossalmente, a un recupero di partecipazione, forte e bello, come quello che c'è stato il 24 novembre a Roma. La crisi di partecipazione delle democrazie rappresentative, il crollo di fiducia nei confronti delle istituzioni, dei partiti, dei sindacati (lo vediamo anche noi giornalisti, direi), ci fanno spendere fiumi di inchiostro. Dopo di che mi pare che questa distanza non vada sancita affermando una specie di "modello unico" in cui la passione politica va espressa e incanalata. Di questa passione e partecipazione fanno parte anche, da sempre, le contestazioni, all'interno di una dialettica, che magari non ci appartiene per storia o per caratteri, ma è significativa di presenza, attenzione, attività, pensiero, desiderio, cultura del corpo sociale. Tentare una delimitazione di campo tra partiti, istituzioni e sindacati, da un lato, - che sono capaci di tradurre "i bisogni" in agende politiche, battaglie parlamentari, leggi - e il resto del mondo dall'altro, dando per scontato che le voci che qui si levano siano rozze o sciocche non mi vede d'accordo. Mi pare, francamente, un limite per tutte/i, da entrambi i lati. 

Seconda cosa. Vorrei osservare che la "questione della vita" costituisce il nodo di molta teoria femminista, senz'altro della filosofia femminista. Il fatto che il femminismo si sia sempre interrogato sulla vita e sulla morte rivela la sua natura filosofica. Che si ponga domande sul nostro modo di organizzare la vita, sulla maniera di preservarla dalla violenza e di condurre il mondo e le sue istituzioni verso nuovi valori significa che i suoi sforzi filosofici formano un tutt'uno con l'obiettivo di una trasformazione sociale. 
Parte della manifestazione contestava la proposta di legge contro la violenza sulle donne di Barbara Pollastrini. Perché per cambiare davvero le cose l'obiettivo deve essere ben diverso, culturale, sociale. Come scrive Judith Butler, che è la più grande filosofa femminista nordamericana, le leggi contro la molestia sessuale sono fondate "su una logica che presuppone comunque la subordinazione eterosessuale come scena esclusiva della sessualità e del genere, diventando così esse stesse un mezzo per la produzione e il mantenimento di norme di genere all interno dell eterosessualità". Una regola è ciò che rende "regolari", è modalità di disciplina e sorveglianza tipica delle forme tardo-moderne del potere. E dunque non può che iscriversi all interno del perverso meccanismo di "idealità della norma punitiva" che sottostà anche al decreto sicurezza e alle espulsioni di massa invocate dal sindaco Veltroni e riprese, con un urlio assordante, per giorni interi, dall'informazione, dopo l'assassinio di Giovanna Reggiani. In questo preciso senso più ampio contestare anche il pacchetto sicurezza, all'interno di una manifestazione nata contro la violenza sulle donne aveva un senso, a mio parere. 

Negli anni Settanta ero piccola anch'io. Queste riflessioni non vengono da un passato con il cappello da strega che non ho conosciuto, ma dal presente, da una contemporaneità perfettamente nuova. 

Ci sarebbero, è vero, molte cose da dire anche sull'informazione. Succede, dentro la rete, che si mandino qui queste riflessioni sulla democrazia e ad altre liste femministe pensieri sui media ;-)

Intervento inviato alla lista di giornaliste “Nuova Informazione”

 

Carissime,
mi permetto una veloce incursione. Non condividevo la scelta "separatista" ma l'ho rispettata - visto che era stata decisa da una collettività di donne nel corso di una serie di assemblee -. In ogni caso, non è per questo che non sono stata presente alla manifestazione del 24. Manifestazione che mi è parsa, dai report sulle liste, dai racconti, bella ed energizzante, al di là delle premesse. Mi pare poi che ciascuna abbia in concreto declinato la propria presenza secondo modalità e pratiche diverse.

Ma non volevo parlarvi di questo, piuttosto fare qualche riflessione sulla questione dei media. Da giornalista, pur senza entrare nel merito del caso e delle senz'altro ottime professionalità coinvolte nella diretta di La7, faccio davvero fatica a pensare al sistema mediatico italiano come a un modello di libertà e di correttezza. Ho letto su liste di giornalisti, in questi giorni, invocare "il diritto di cronaca", bella parola. Attenzione. L'Italia è al 74esimo posto nelle classifiche sulla liberà di stampa. Ora, che "i soggetti sociali", tra loro le donne - che non vivono su Marte -, abbiano diffidenza verso l'informazione non mi pare strano, al contrario. 

Come dice Castells "nelle nostre società, la politica è in primo luogo una media politics, una politica dei media. I meccanismi del sistema politico si sono adattati ai media, al fine di ottenere più sostegno, o almeno la minore ostilità possibile, da parte dei cittadini". Bennett definisce “indexing”, "il meccanismo per cui direttori e giornalisti limitano il range di posizioni e temi politici da riferire a quelli espressi in seno all’establishment politico mainstream, influisce pesantemente sul processo di reporting dettato dagli eventi". 

I media non sono i depositari del potere ma rappresentano, sempre più, l’ambito dove quest’ultimo viene deliberato. Nella società contemporanea, la politica è profondamente legata alla politica dei media, il cui linguaggio risponde leggi proprie. Si fonda soprattutto sulle immagini e sulla costruzione di un'iper realtà che, per forza di cose, appiattisce o, viceversa, enfatizza.  Il messaggio più potente in assoluto corrisponde a un messaggio semplice abbinato a un’immagine. E il messaggio più
semplice è il volto di una persona. Abbiamo con ciò una "personificazione simbolica del messaggio".

Altro esempio. Proprio la questione della violenza e dei meccanismi sicuritari che finisce per evocare. In questo caso la costruzione di iper-realtà serve ad accentuare lo sgomento collettivo per poter procedere, un altro po', nella creazione sistematica della cultura della paura. Il dolore di altri, che non conosciamo, raggiunge, attraverso lo schermo della televisione e le prime pagine dei giornali, lo spazio delle emozioni più profonde del pubblico, così da generare un crescere di preoccupazione e disgusto che possono venir tradotti, "a grande richiesta", in politiche razziste e repressive.
Ritualizzare il caso orribile per esorcizzarlo e per dimostrare di padroneggiarlo pur nel suo carattere imprevedibile, inatteso, nuovo e perciò portatore di incertezza e di rischio, come sempre è. Eppure, proprio il meccanismo dell'informazione rivela quel paradosso che fa della violenza nella società contemporanea, qualcosa di onnipresente e al tempo stesso silente, sviluppandone la normalità Continuamente rappresentata, perennemente esibita ma non elaborata, non mediata eticamente, svincolata da ogni inibizione morale: coprire la notizia non significa attenzione, attenzione non significa comprensione. 

Non voglio, sia chiaro, demonizzare l'informazione, ma penso sia opportuno un approccio più laico e consapevole al tema. Le decine di donne in piazza il 24 volevano che l'attenzione si fissasse sul meccanismo partecipativo costruito, autodeterminato, pur tra tante contraddizioni e problemi, sulle persone, sui corpi, sulle parole, sui problemi. E hanno rigettato con forza entrambi gli schemi informativi da media marketing che velocemente sottolineavo sopra. Mi pare che questa forza andrebbe valorizzata, non stigmatizzata. Un bell'insegnamento, una bella prova di resistenza ai meccanismi della governance contemporanei che viene dalle donne. E non a caso, penso. 

Con ciò, ribadisco , non voglio fare l'"elogio del margine", così come sono consapevole della necessità di "usare" gli strumenti, i momenti di interlocuzione e di visibilità che si presentano. Ma da attrici, come è stato, non da comparse sullo sfondo di una ripresa in campo lungo. Credo che ciò fosse chiaro a chi ha lanciato e organizzato l'evento del 24. Di cui tutte/i, nelle redazioni, parlano.

Non so. Pensiamoci. Interroghiamoci. 

Rifletterei anche di "autonomia dei movimenti femministi", in senso più allargato.

Intervento inviato alla lista Sexyshock

24-01-2008