Da qualche tempo mi frullava in testa questo antico grido di Loredana Bertè ma ne ho capito il motivo solo quando, ascoltando il famoso faccia-a-faccia tra i candidati con un orecchio mentre smanettavo al computer, ho sentito il nostro beneamato premier parlare delle “signore” che non vogliono lasciare “la famiglia” per occuparsi di politica. Già avevo notato che “i signori” che parlano dentro gli studi televisivi usano questo appellativo per le donne - a qualunque titolo vengano invitate -, mentre a sé riservano quelli che li designano come portatori di cariche, rappresentanti di istituzioni e di professioni: presidente (tutti sono presidenti di qualche cosa), direttore, avvocato, onorevole. E meno male che onore (la radice da cui deriva ‘onorevole’) è diventato quasi una parolaccia, meno male perché l’onore è un attributo maschile che, curiosamente, si basa sui comportamenti femminili, come si evince dal concetto di delitto d’onore. Ma la lingua italiana registra anche “uomo d’onore” e allora si apre uno spiraglio sul retroterra che lega onore a famiglia collocando entrambi nell’ambito del sistema mafioso, del patriarcato più arcaico e violento.
E non sto pensando solo al signor B. ma a gente come Calderoli, che non è nemmeno più ministro ma viene ancora intervistato, il cui turpiloquio viene religiosamente commentato. Come Pera, Buttiglione e come tanti uomini che ricoprono incarichi istituzionali e di potere politico o culturale. Quelli, appunto, che non sono semplici signori. Come mai gli
altri uomini danno loro tanto spazio e tanta voce? Anche quelli che non
sono così beceri e arcaici: “neocons” oppure “teocons” si dice ora per non
definirli con termini troppo violenti e comunque ideologici, come
maschilisti o reazionari. La questione
della violenza sulle
donne, che ha posto Lea Melnadri e poi Angela Azzaro, chiedendo
ai maschi perché uccidono le donne, mi sembra possa essere declinata anche
nel senso di chiedere ai maschi perché non ascoltano le donne. Questo è il
problema degli uomini, dei maschi (faccio fatica ad usare questo termine
che sa di corridoi di scuola, di “bagni dei maschi”, di giochi di cortile,
“i giochi dei maschi”, insomma di anni Cinquanta). Il che mi fa sospettare che esista una relazione tra autorevolezza e potere istituzionale e noi donne che rifuggiamo dalle istituzioni, dalle cariche, dalle strutture che uccidono le relazioni e il calore della vita, poi però ne riconosciamo in qualche modo il valore. Oppure è solo
una questione di forza e le donne sono costrette a sentire per ore parole
di nulla solo perché non posseggono né dirigono tv e a leggere discorsi
insulsi o dannosi perché non posseggono né dirigono giornali? Mi sembra
semplicistico sia perché la mappa del potere mi sembra più diversificata,
sia perché penso a Matilde Serao che dirigeva Il mattino di Napoli
già più di un secolo fa. Che cosa è successo nel frattempo? Certo che io, che non sono una signora, sono veramente stufa, do segni di grave insofferenza e all’ennesimo commento sulle esternazioni dei candidati premier e al decimo servizio del tg con le dichiarazioni dei vari leader afferro il telecomando e li riduco al silenzio.
28 marzo 2006
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