Onorina Brambilla Pesce, Il pane bianco

Liliana Moro



Libro composito e di vari registri, così come è composita e varia la vita. Ai ricordi di Onorina Brambilla Pesce si accompagna un imponente apparato di note storiche, una consistente documentazione fotografica e, davvero dulcis in fundo, la pubblicazione di numerose lettere inviate da Onorina alla madre mentre era detenuta nel campo di concentramento di Bolzano.

Onorina Brambilla è una di quelle ragazze cui capitò in sorte di avere vent’anni nel 1943 quando la guerra mondiale e la guerra civile devastarono l’Italia. La freschezza della sua generazione attraversa quei giorni di fuoco con una dirittura e uno slancio ancora nettamente percepibili in queste sue memorie.

Per chi abitava a Milano quelli furono anni davvero intensi e per chi ci abita ora è singolare e anche emozionante scoprire quali eventi videro i palazzi e le strade dove ora si svolge magari lo shopping e la vita distratta e affannata dei milanesi.

La ragazza Nori, cresciuta in una famiglia operaia, sviluppa presto un forte senso della propria dignità che la porta a lasciare l'ufficio quando “il padrone” le rivolse un rimprovero “che -dice- ritenevo ingiusto”. Per questo è profondamente affascinata dallo scoprire, tramite una collega, “l'esistenza di uomini e donne che non si erano mai arresi” e quindi ad unirsi presto, prima dell'8 settembre, alla resistenza.

Dignità si sente anche nelle parole misurate con cui ricorda i momenti terribili dell'arresto e della tortura successiva. E fa rabbrividire, forse più di tutto, il ricordo della sottoveste nuova appena cucita da sua mamma, che finì a brandelli e sporca di sangue.

Continuamente nei ricordi di Onorina si intrecciano i momenti alti, di scontro e di riflessione politica, con gli squarci sulla vita quotidiana che illuminano di colori intensi e conferiscono la forza della realtà a vicende, come quelle della resistenza, che a volte sono evocate in termini agiografici.

Le tagliatelle della “signora Maria, l'affittacamere della nostra base” (di gappisti), di cui Sandra (nome di battaglia di Onorina) divora tre porzioni, sotto gli occhi stupiti di “Visone” (Giovanni Pesce), ci danno la misura della fame portata dalla guerra, ma tolgono anche quei giovani che facevano la lotta armata in città da qualunque possibile aura mitica. Eppure proprio questa quotidianità conferisce a Onorina un carattere eroico.

Per questo le lettere alla madre dal campo di concentramento di Bolzano, dove fu a lungo rinchiusa, sono una lettura notevolissima, di grande struggimento per ciò che dicono e anche per quanto non dicono -e si indovina tra le righe- di sofferenza, di affetto, di stima, di cura e complicità tra una madre e una figlia.

Quella che ricostruisce Nori nel suo modo piano, semplice e profondo è una vicenda corale, molte sono le donne, per lo più sconosciute, di cui viene ricordato il nome per un gesto di coraggio che ebbe magari conseguenze importanti sul corso degli eventi.

“Va sottolineato che la partecipazione delle donne alla Resistenza fu dovuta specialmente a motivazioni personali. A differenza di molti uomini, che scelsero di andare in montagna per sottrarsi all'arruolamento nell'esercito di Salò, nessun obbligo militare costringeva le donne a una scelta di parte. Potevano starsene a casa, insomma.”

Il che vale volumi di analisi storica.

 

Onorina Brambilla Pesce, Il pane bianco,
Con la cura di Roberto Farina e Franco Giannantoni,
Edizioni Arterigere, nov. 2010, pagg. 293, € 14
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Domenica 6 novembre 2011, ci ha lasciato per sempre, all'età di 88 anni,
Nori "Sandra" Brambilla Pesce

 

 

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