recensione pubblicata su Alice.it

Adriano Petta e Antonio Colavito
Ipazia, scienziata alessandrina

8 marzo 415 d.c

di Grazia Casagrande

“Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti il cielo è rivolto a ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura.”
Pallada

Davvero particolare e meritevole questo romanzo/saggio di Petta e Colavito! Particolare perché lo stile utilizzato è innovativo e interessante: più voci si alternano a narrare, così dall’incontro dei diversi punti di vista emerge il messaggio che gli autori vogliono comunicare ai lettori. La prima voce è quella di uno spettatore interno alla storia, Shalim, discepolo di Ipazia, di lei perdutamente innamorato, testimone della vita, dell’attività di ricerca e della drammatica morte della donna; a parlare poi è Ipazia stessa che ripercorre con appassionata tensione le ricerche, le conquiste, le scoperte, il rapporto con i discepoli e con i nemici, i suoi persecutori e assassini; infine la voce degli autori, umili ammiratori della grande scienziata, innamorati anch’essi della sua esile e immensa figura di donna e di studiosa.
Meritevole perché porta in luce un personaggio come quello di Ipazia che ingiustamente la storia della cultura aveva praticamente ignorato, e perché lanciano (loro, due uomini!) un’accusa vibrante contro le discriminazioni nei confronti delle donne che tanta Storia, ma in particolare tanta storia della Chiesa, ha compiuto.
“Noi dobbiamo scoprire le origini della vita, elaborando un progetto, passando dalla teoria alla pratica, sperimentando ogni formula che abbiamo studiato a tavolino affinché diventi infinito quello che è finito, diventi cosciente quello che è incosciente, diventi certezza quello che è ancora probabilità. E ci serviremo di qualunque materia, compresa la musica!”: proprio il passaggio dallo studio teorico alla sperimentazione rappresenta una delle più straordinarie novità nella pratica scientifica di Ipazia, quella stessa esigenza di verificare i propri teoremi che fu di Galilei, come lei, vittima dell’oscurantismo religioso, pur essendo vissuto oltre un millennio dopo la studiosa alessandrina. Che senso ha, per chi si dedica alla ricerca, la vita? Che scopo lo studio se non quello di cambiare il mondo e offrire nuove possibilità all’umanità?: “chiedo spesso alla mia anima se la vita da me percorsa abbia un significato per il mondo, se le mie azioni si distendano nella giusta misura”.
Petta e Colavito hanno anche saputo presentare con precisione e chiarezza divulgativa le ricerche e le scoperte compiute da quella donna dal cui fascino il lettore è attratto fin dalle prime pagine e hanno saputo ben calibrare l’elemento informativo con quello romanzesco: bellissima la storia d’amore tra Shalim e Ipazia in cui il ragazzo sa contenere la passione e accettare le regole che la donna impone. “Ho rinunciato a tutto nella mia vita, Cirillo, a tutto: a essere moglie, amante, madre, ad avere una famiglia... per servire la mia libertà di pensiero. Non ho mai tradito e non tradirò mai coloro che contano su di me”: queste nobili parole rivolte al vescovo Cirillo, colui che decreterà l’assassinio atroce della scienziata, sono una bandiera per chi considera la libertà di pensiero un valore a cui dover dedicare l’intera esistenza e per cui è giusto affrontare anche la morte. La data in cui si consuma il martirio laico di Ipazia è l’8 marzo 415 d.C., e l’8 marzo è una giornata che altre morti innocenti hanno consacrato alle battaglie per la parità delle donne e che forse oggi, diventata solo una vuota ricorrenza, dovrebbe riacquistare il significato originario, meno ludico, ben più riflessivo: il libro di cui stiamo parlando è sicuramente una sollecitazione in questo senso.

Adriano Petta e Antonino Colavito
Ipazia, scienziata alessandrina. 8 marzo 415 d.c.
Pag. 287, Euro 15,00
Edizioni Lampi di stampa