Riparte il confronto. A vantaggio delle più giovani
Un’occasione per i femminismi
di Bianca M. Pomeranzi


Paola Gandolfi


La libertà delle donne rispetto al proprio corpo e alla propria sessualità mantiene un ruolo centrale nella politica contemporanea. Basti ricordare quanto la definizione di “diritto riproduttivo” contenuta nel paragrafo 72 del Programma d’azione della Conferenza Onu su “Popolazione e sviluppo” (Cairo, 1994), sia stata e sia tuttora avversata. Quella definizione, per altro indirizzata ad un contesto “globale” e non paragonabile a una legge, ma solo ad un principio di carattere politico generale, dice: "I diritti riproduttivi si basano sul riconoscimento dei diritti fondamentali di tutti i singoli individui di decidere liberamente quanti figli avere, quando e con quale intervallo e di possedere le informazioni e i mezzi per farlo, nonché sul diritto di conseguire il massimo livello possibile di salute sessuale e riproduttiva. Comprendono anche il diritto di prendere tutte le decisioni riguardanti la riproduzione, liberi da ogni discriminazione, coercizione e violenza".


L’ossessione repressiva che è stata spesso manifestata anche nei corridoi delle Nazioni unite da barbuti e tonacati rappresentanti dei movimenti per la vita - allo scadere del decennio che aveva segnato una progressiva presa di parola delle donne del Nord e del Sud del mondo - riappare adesso in Italia sull’onda del volere dei neo-con, alla fine di un quinquennio che ha messo a dura prova le donne di tutte le età e di tutte le etnie, presenti nel nostro paese. Nessun vittimismo, ma certo si affievolisce sempre di più l’illusione che l’espressione delle soggettività politiche delle donne, possa incontrare una accoglienza nelle istituzioni e nello spazio pubblico di questo paese.


Come giustamente sottolinea Maria Luisa Boccia nel suo libro La differenza politica, la discussione sull’aborto negli anni Settanta aveva delineato il luogo originario della politica fondata sulla sessualità. In verità Boccia dice differenza sessuale, ma io, che pure amo l’espressione, preferisco in questo caso usare la parola sessualità per ritornare alla freschezza di una esperienza da cui sono nate, in virtù della presa di coscienza, soggettività collettive di donne. Nell’attuale dibattito strumentale, invece, "colpisce l’estrema confusione tra morale, politica e diritto" e soprattutto colpisce il fatto che "la questione venga sollevata dalle sedi della politica istituzionale e non già dai soggetti sociali" (La differenza politica).


Andare in piazza, manifestare a proposito dell’aborto, è un tema di grande complessità. In questi giorni, oltre alla salutare indignazione di donne di tutte le generazioni, si mobilitano le operatrici e gli operatori dei consultori, consapevoli che sotto la divisione tra laici e cattolici si annida il tema della “privatizzazione” delle tecniche di cura e della ben più angosciosa tecnologia di manipolazione genetica e biologica. I consultori “di parte” e non più frutto di un negoziato sul territorio tra istituzioni pubbliche e pratiche associative di donne sono l’anticamera di un ritorno al “grande operatore biopolitico”, materiale e simbolico, costituito dall’associazionismo confessionale, all’interno del quale il sapere delle donne viene inesorabilmente schiacciato dall’etica patriarcale.


Lo slogan “Alle donne: la prima parola e l’ultima” della manifestazione del 3 giugno del 1995, che vide per l’ultima volta scendere in piazza insieme tutti i movimenti femministi e le donne della politica istituzionale, è messo in discussione da un’ottica differente. Paradossalmente infatti, gli argomenti che hanno contribuito a tenere lontane dalle urne molte e molti, nel caso del referendum abrogativo della legge 40 sulla procreazione assistita, ovvero la ribellione nei confronti di un eccesso di tecnologia nella procreazione, sono gli stessi che tornano con successo nelle riunioni in preparazione della manifestazione del 14 gennaio prossimo. Tuttavia non si parla solo di tecniche, ma si mette a tema la sessualità nel suo aspetto più generale di relazione tra persone e tra uomini e donne. Soprattutto si tenta di discutere attraverso modalità autocoscienziali, quelle per le quali i soggetti si situano in contesti precisi, i grandi temi del nostro tempo come la gestione della sessualità (secondo quel principio affermato alla conferenza Onu del Cairo), le effettive possibilità di scelta procreativa per le donne migranti, l’inevitabile incrocio, soprattutto per le giovani, tra sessualità, condizioni materiali di vita e politica del desiderio.


Tutti questi temi si affacciano nel corso dei primi incontri, che si stanno svolgendo in giro per l’Italia: incontri un po’ cacofonici, come la voce di chi riprende a parlare dopo un lungo silenzio. Almeno così è successo a Roma alla riunione promossa dalle femministe, alla Casa Internazionale delle Donne, dove le diverse pratiche che nel corso degli ultimi anni avevano proceduto a compartimenti stagni, si sono messe faticosamente a confronto a beneficio di quelle giovani e meno giovani donne che in questa Italia difficile devono fare le loro scelte di vita. Per loro il dialogo tra la nostra esperienza femminista e le scelte della politica, istituzionale e non, possono fare la differenza nei destini singoli e collettivi. Per noi loro costituiscono quell’orizzonte di senso e di relazionalità che lo “spazio pubblico” continua in linea di massima a negare. Insieme possiamo costruire una alternativa politica alla centrifuga mediatica che ci inonda e toglie spessore alla nostra esperienza umana, impedendoci un dialogo approfondito su quel salto di civiltà ormai necessario per uomini e donne. Non è un caso che la manifestazione del 14 Gennaio a Milano si incroci e si articoli con quella sui Pacs a Roma.

 

 questo articolo è apparso su Liberazione del 18 dicembre 2005