Merlin Stone, Quando dio era una donna
Luciana Percovich


When God was a Woman, “la storia della soppressione dei riti femminili”, viene pubblicato negli Stati Uniti nel 1978, ma due anni prima, nel 1976, era già uscito in Inghilterra, presso la casa editrice femminista indipendente Virago Press, con il titolo The Paradise Papers (Le carte del paradiso).

Alcune altre date di titoli che appartengono allo stesso filone di ricerca, sviluppatosi tra Stati Uniti e Gran Bretagna e pubblicati nello stesso periodo, forniscono la cornice entro cui va collocato questo straordinario libro di Merlin Stone, che soltanto adesso, con oltre trent’anni di ritardo, viene tradotto in Italia: antesignano fu il libro di Raphael Patai, The Hebrew Goddess (La dea degli ebrei), che ebbe le sue prime due stampe nel 1967 e nel 1978. Quindi The First Sex (Il primo sesso), di Elizabeth Gould Davis, nel 1971; e, a concludere il decennio, Womanspirit Rising. A Feminist reader (Il risorgere della spiritualità delle donne. Un compendio femminista), curato da Carol P. Christ e Judith Plaskow, nel 1979, testo che riunisce le migliori teste pensanti del movimento delle donne statunitense in campo teologico, e infine Unspoken Worlds. Women Religious Lives in Non-Western Cultures (I mondi mai detti: la vita religiosa delle donne nelle culture non occidentali), suo equivalente antropologico, curato da Nancy A. Falk e Rita M. Gross, nel 1980.

Tra il 1968 e il 1980 Marija Gimbutas sta conducendo le sue campagne di scavi archeologici in Europa e pubblicando i suoi primi studi sull’età del bronzo; nel 1974 viene pubblicato The Gods and Goddesses of Old Europe. 7000 to 3500 B.C.: Myths, Legends and Cult images, mentre per Il Linguaggio della Dea bisognerà aspettare il 1989.

 

Da un lato quindi la rivoluzionaria ricerca di Merlin Stone si colloca nel pieno della fase incandescente del nuovo femminismo che, anche se in maniera meno nota alla maggioranza delle donne più attratte da approcci psico-socio-politici, nutre al suo interno il seme potente della spiritualità femminile e lo scandaglio nella storia remota delle civiltà umane, allo scopo di creare una prima mappatura del materiale rimosso che si colloca prima della Storia. Dall’altro, si basa per necessità quasi esclusivamente sul lavoro di rari accademici maschi che, specialmente in campo archeologico, non hanno potuto non imbattersi in inquietanti vestigia di una storia mai narrata, straripante di presenza femminile. “È sconvolgente accorgersi di quanto poco sia stato scritto sulle divinità femminili venerate nelle più antiche civiltà umane, così com’è esasperante dover costatare che anche lo scarso materiale esistente è stato quasi totalmente ignorato tanto dalla letteratura popolare, quanto dalla cultura generale”.

E questo suo primo lavoro diventa subito il pilastro di riferimento, la prua che apre una nuova rotta tra quei detriti del passato considerati dalle caste di bramini di ogni latitudine di scarsa o nessuna importanza. Perché Merlin Stone va dritta al cuore del problema, puntando all’origine prima della secondarietà e dell’oppressione delle donne e individuando nella nascita del pensiero religioso giudaico-cristiano il nucleo radiante che, come più volte afferma nel corso dei capitoli, arriva pienamente al presente, condizionando la formazione psichica e culturale di tutti e tutte, anche di quante/i si sono staccate/i da qualsiasi pratica religiosa o se ne ritengono immuni, dato che permeano capillarmente, come presupposti taciti e impliciti, ogni forma di pensiero e di organizzazione sociale, culturale e politica, non certo solo l’ambito religioso. “La teologia è, in ultima analisi, politica”.


Con implacabile lucidità, simile a quella di Mary Daly, teologa e filosofa radicale femminista che pubblica i suoi primi testi negli stessi anni, ma con uno stile molto più piano e a tratti solo lievemente ironico quando il dolore si fa troppo forte, elenca e accosta miriadi di frammenti emersi da scavi e documenti del Vicino e Medio Oriente e raccolti da studiosi al di sopra di ogni sospetto di ideologia femminista. In tal modo costruisce una sorta di stringente istruttoria giudiziaria, basata su prove materiali che mostrano lo smembramento della dea e la nascita del potere patriarcale che prende lentamente il posto, soppiantandole con modalità cruente e insistenti, delle società e culture di tipo matriarcale, risalenti alle prime forme di organizzazione sociale umana e di pensiero religioso.

Un processo che tra la Mesopotamia e il Mediterraneo tocca il suo culmine tra il 2000 e il 1000 a.c., portando a quella trasformazione delle forme di vita aggregata e dell’immaginario che arriva fino al nostro presente. Perché all’inizio, invece, ovunque e in forme ormai mature là dove venne alla luce il padre di tutti i monoteismi androcratici, la dea era donna, si venerava nel corpo di una donna. Obiettivo, allora come oggi, inculcare la credenza che l’origine e il fine ultimo della creazione umana è un dio maschio senza corpo, geloso, rabbioso, epitome di una sola parte dell’umano e maestro di contenimento e distruzione dell’altra.

Potrà non esserci identità di vedute sull’origine dei popoli guerrieri, alla cui comparsa nel mondo mediterraneo e più ampiamente pelasgico (esplorato, tra gli altri, da Momolina Marconi) si innesca il meccanismo di trasformazione tra la penisola anatolica, l’Egitto e la Mesopotamia (questa è l’area geografica da lei presa in esame in questo libro, mentre nel successivo, Ancient Mirrors of Womanhood pubblicato solo tre anni dopo, nel 1979, spazierà in tutti i continenti). Secondo Merlin Stone si tratta infatti di popoli del Nord, che lei vede come discendenti delle culture maglemosiana e kunda del neolitico nordeuropeo; c’è un solo accenno alla teoria dei Kurgan che Gimbutas stava elaborando in quello stesso periodo, e che sposta la loro area di provenienza nelle steppe tra il Caucaso e gli Urali. Ma le modalità e i risultati che questa migrazione porta nel raffinato mondo mediterraneo e mesopotamico orientato al femminile sono gli stessi.

La requisitoria culmina verso la fine del libro, nel capitolo X, dedicato alla decostruzione del mito fondante il patriarcato occidentale, il mito di Adamo ed Eva. “Un gesto ‘mitico’ del passato, le cui conseguenze durano nel presente”, “l’invenzione di una giustificazione” avvenuta in “tempi antichi che non sono poi così lontani come potremmo immaginare o preferiremmo credere”.


Se oggi siamo in grado di comprendere e articolare meglio il senso di concetti come religione, sacro, divino quando vengano declinati al femminile e se nutriamo non pochi dubbi sull’interpretazione letterale, di fonte maschile, dell’Uccisione del Re per un anno, quando Merlin Stone affronta il tema della cosiddetta Prostituzione Sacra e la visione sottesa della sessualità e della libertà delle donne, suffragata dalle testimonianze scritte dei diritti civili di cui un tempo godevano le donne, ci troviamo davanti a un tema e a un approccio molto convincenti.

Stone lesse il libro di R. Patai solo nel 1978, come racconta nell’introduzione alla nuova edizione ampliata di The Hebrew Goddess, nel 1990, in cui scrive: “Se avessi conosciuto The Hebrew Goddess durante gli anni della mia ricerca, avrei risparmiato molto tempo e molta fatica”, ed esprime il suo apprezzamento per questo libro in cui, con meticolosa ermeneutica, Patai ricostruisce la presenza persistente della dea nei territori che diventeranno i due regni di Giuda e Israele, nel tempio stesso di Gerusalemme oltre che in numerosi passaggi della Bibbia: e tuttavia la dea ebrea, l’asherah, occupa in questo testo la stessa centralità illuminante.

A questo proposito, due sono gli elementi di originalità della Stone: la connessione che individua tra i Leviti e i Luviti, un clan di guerrieri indoeuropei spintosi e insediatosi nel sud-est dell’Anatolia, che darà forma al regno ittita e che, incontrandosi poco più a sud con le tribù semite, diventerà la casta sacerdotale di Yahweh, i Leviti appunto, simili sotto molti aspetti a quella dei brahmini in India. In questo incontro esplosivo tra elementi indoeuropei e semiti si forgia, secondo l’autrice, il nocciolo duro dell’ideologia religiosa e della politica androcratica che ha governato e devastato prima le donne e poi l’intero pianeta, dilagando, attraverso la sua filiazione cristiana, in tutti i continenti e travolgendo sul suo cammino ogni civiltà altra. E, come secondo elemento, il collegamento stretto che Stone individua, fuori da ogni esitazione metodologica, tra visione del sacro, religione e ordinamento sociale. Puntualmente annota le corrispondenze tra l’addomesticamento sessuale violento e la perdita di status economico, familiare e religioso. “Proprio come le antichissime usanze matriarcali … dovettero cedere il passo alla graduale ascesa degli uomini, un analogo mutamento ebbe luogo tra le divinità”.


La resistenza delle donne è stata forte, la persistenza dell’immaginario divino femminile altrettanto, ma i massacri reiterati hanno infine avuto la meglio in Canaan e da lì, come un’infezione, si sono propagati nello spazio limitrofo fino ad abbracciare il mondo intero; e nel tempo, attraverso “episodi” più o meno fedelmente registrati dalla Storia, che vanno da Ipazia ai Secoli dei Roghi, fino al XIX secolo, quando le donne hanno cominciato la lenta ripresa di coscienza, trovando il coraggio di nominare la fonte dell’oppressione e della minorità economica e politica. Alla prima conferenza sui diritti delle donne a Seneca Falls, New York, nel 1848, “fu redatta la [prima] Dichiarazione d’Indipendenza delle Donne e, ancora una volta, le donne si opposero pubblicamente alla posizione d’inferiorità che la Chiesa aveva assegnato loro”.

Fanno davvero rabbrividire le citazioni dalla Bibbia che registra a scopo didattico infinite cronache ricche di “morbosa dovizia di particolari raccapriccianti”, di “massacri a sangue freddo e carneficine impietose di chi ancora si rifiutava di accettare Yahweh”, eseguite “per ordine di Yahweh” e snocciolate dai riveriti profeti: lo smembramento della dea è passato attraverso l’uccisione dei maschi delle società orientate al femminile e alla riduzione in schiavitù delle femmine. La riduzione in schiavitù ha giocato e gioca le carte della sessualità sadica e della riproduzione della vita, come il primo femminismo aveva naturalmente capito, indicando nella repressione della sessualità la leva del controllo psichico, politico e affettivo delle donne, chiuse in casa come beni mobili in passato o esibite come merce nell’ipocrita liberazione sessuale del presente.

È tempo di riportare alla luce la realtà delle antiche religioni femminili, rimaste nascoste troppo a lungo. Grazie alla conoscenza di questa realtà potremmo … spazzare via secoli di confusione, fraintendimenti e occultamento d’informazioni … per aprire finalmente la strada a un riconoscimento più realistico delle capacità e delle potenzialità di bambini e adulti, femmine o maschi, come semplici esseri umani. Grazie a una migliore comprensione delle origini antiche degli stereotipi odierni, il mito del giardino dell’Eden non potrà più perseguitarci”.


Merlin Stone, Quando dio era una donna
Venexia, Collana Le CivetteSaggi
2011, pag. 250, € 22

 

 

6-09-2011

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