Riproduzione assistita e soggetti coinvolti

Maria Grazia Campari

 





In questi giorni viene sottoposto all'esame del Senato della Repubblica Italiana il disegno di legge sulla procreazione medicalmente assistita, già approvato dalla Camera dei Deputati nel giugno dell'anno 2002.

Si tratta di un complesso normativo fortemente improntato a valori cattolico-integralisti, gravemente lesivo dei diritti umani femminili, in particolare del diritto all'autodeterminazione riproduttiva.

Per chiarezza, va subito detto che la proposta in esame non nasce in un vuoto di progettualità, ma, al contrario, trova un preciso contesto legittimante anche nella precedente legislatura nel corso della quale, malgrado una maggioranza parlamentare ed un governo di centro sinistra, la Camera dei Deputati aveva già approvato norme che, nel disciplinare le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), assicuravano in particolare, quindi in modo preminente, la tutela dei diritti del concepito

Il testo non poté proseguire il suo iter al Senato, anche grazie alla strenua opposizione di molte donne nelle piazze e di poche senatrici in Parlamento.

Nell'anno 2002, l'attuale maggioranza di centro destra ha rivisitato l'argomento proponendolo all'esame del Parlamento con una relazione della presentatrice (per il governo) Dorina Bianchi la quale indica esplicitamente come finalità della legge la soluzione della sterilità -infertilità dei soggetti adulti (aspiranti madre e padre) e il diritto a nascere del concepito la cui tutela colloca fra i diritti inviolabili dell'uomo garantiti dall'art. 2 della Costituzione Italiana.

La relazione Bianchi, inoltre, rispondendo alle obiezioni imperniate sul contrasto fra codeste previsioni e l'esito negativo del referendum abrogativo della legge sull'aborto, precisa che l'embrione in provetta sarebbe in condizione diversa dall'embrione che si trovi nell'utero materno, quindi passibile di diverso trattamento.

E' un'evidente questione di lana caprina.
Secondo questa tesi, per il fatto di essere in vitro, il concepito avrebbe i diritti umani (anzi, dell'uomo) che la Dichiarazione Universale del 1948 riserva alle persone, precisando che "tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti", quindi guardandosi bene dal retrodatare i diritti rispetto all'evento nascita.

Invece, questa legge pone per l'embrione in provetta o concepito tre fondamentali diritti: 1) alla vita; 2) alla famiglia; 3) all'identità genetica ed affettiva.

Un approccio di chiaro stampo integralista, legato a valori che stridono con la realtà.
Tanto è vero che, in palese contraddizione con la realtà dei rapporti, la stessa legge chiarisce come fra i soggetti coinvolti non possano esservi altri che i membri di coppie eterosessuali stabili o sposate o conviventi, in età riproduttiva, senza possibilità di donatori esterni alla coppia ( il cosiddetto divieto di fecondazione eterologa).

Il testo proposto dal governo, inoltre, prende in esame la sorte degli embrioni congelati e prevede una ricerca dei genitori, ove non siano noti, l'attivazione di speciali procedure per lo stato di abbandono dell'embrione e per l'adozione. (In evidente contrasto con il divieto di coinvolgimento di soggetto fuori dalla coppia per l'operazione di PMA).

La disposizione approvata dalla Camera di Deputati rimette la decisione sulla sorte degli embrioni sovranumerari (congelati) al Ministro della Salute, previa redazione di apposito elenco dei medesimi, finalizzato alla ricerca dei genitori .

Inoltre il testo approvato vieta la crio conservazione e la soppressione di embrioni, vieta di procedere ad impianto superiore a tre embrioni, vieta la riduzione embrionaria in caso di gravidanze plurime.
Con quale pregiudizio della salute della donna, ognuno può ben capire.

Il complesso articolato di legge non lascia dubbi: i soggetti coinvolti sono tre: maschio e femmina di una coppia eterosessuale stabile afflitta da infertilità e concepito che è parimenti titolare di diritti, principalmente il diritto di nascere, essendo, per finzione legale, soggetto come i primi due.

Questa legge si tiene con altre e complessivamente disegna un contesto che rende assai problematici spazi di libertà per le donne, per le quali tende a limitare il diritto di libertà riproduttiva (e la connessa responsabilità).


Il riferimento obbligato è alla proposta di modifica dell'art. 1 Codice Civile (proposta del Forum delle Famiglie, già Movimento per la Vita) che, sponsorizzata da Giuliano Amato, risulta attualmente parcheggiata, in attesa che la via sia spianata dall'approvazione del disegno di legge in esame.

Secondo i proponenti, la capacità giuridica dei soggetti, che ora si acquisisce con la nascita, dovrebbe essere retrodatata al momento del concepimento: anche qui la finzione giuridica rende l'embrione soggetto, titolare di diritti propri e, in questo caso, ogni embrione anche quello concepito nell'utero materno.

Poiché, motivano i proponenti, il concepito non deve incarnare una "pertinenza della madre", ma "un valore meritevole di tutela", quindi "un soggetto di diritto".

Del resto, la Regione Lombardia si era già portata molto avanti promulgando la Legge Regionale n. 170/99 la quale afferma nel primo articolo che il suo principale scopo risiede nella "tutela della vita in tutte le sue fasi, con particolare riguardo a quella prenatale". Conseguentemente, considera il concepito componente della famiglia ai fini della erogazione di varie provvidenze e agevolazioni.
Sempre in conseguenza di ciò attua politiche sociali e sanitarie tese allo sviluppo della persona umana nella famiglia., negando o, quantomeno, attenuando i diritti sociali individuali sanciti nella nostra Costituzione.

Di fronte a questi attacchi liberticidi, non sarà ripetuto mai abbastanza che gli ordinamenti giuridici prendono in considerazione il soggetto psico corporeo, dotato di potenziale raziocinio e volontà.
Solo questo soggetto è persona, cioè "essere umano in quanto membro della società". Tale non è il concepito.

Eppure la relazione al disegno di legge sulla PMA gli riconosce precisi diritti, prima di tutto quello a nascere. E l'art. 1 varato dalla Camera persegue, in stile farisaico, il medesimo obiettivo, riconoscendogli la qualità di persona titolare di diritti
Diritti in ovvia contrapposizione a quelli della madre (altrimenti perché statuirne l'esistenza?), ciò che mostra in filigrana il disegno di ridurre, concettualmente fino all'inesistenza, libertà e autonomia decisionale delle donne sul proprio corpo, attraverso forme di controllo coercitivo, nel nome dei diritti degli altri soggetti coinvolti nella vicenda riproduttiva.
In realtà, nel nome dell'unico soggetto autore del pensiero e del discorso: il soggetto maschile.

E' facile comprendere che, in tal modo, non è solo compromessa la legge che ammette l'aborto, molto di più e molto più in profondità viene compromesso.
E' violato il diritto alla libertà riproduttiva delle donne, è smentita la responsabilità connaturata all'autodeterminazione.

Quindi, una negazione per le donne dell'habeas corpus, così come si è venuto determinando nell'esperienza femminile che si forma sul dato della generazione, nella relazione fra soggetti , nel riconoscimento dell'altro, nel rispetto delle esistenze in gioco.

Qui spira l'aria dei tempi.
Tiene il campo e prevale la tendenza ad oggettivare l'altro/a che è percepibile in atti quotidiani di disvalore ed esita, poi, in provvedimenti istituzionali formali (le leggi sopra menzionate, per l'appunto).

Si palesa una discrasia fra affermazioni egualitarie (persino l'art.1 della legge su PMA proclama l'eguaglianza) e gesti quotidiani di svalutazione dell'altra, concettualizzata come strumento per funzioni particolari che le vengono attribuite dal soggetto dominante, in realtà l'unico soggetto in campo, il soggetto maschile.

Riacquista così vigore il diritto famigliare di stampo patriarcale , che subordina la donna alle esigenze maschili (presentate come etica famigliare); esso emerge dalle crepe dell'ordinamento costituzionale che lo ha inglobato e parzialmente occultato e mette a repentaglio i diritti di libertà femminile attraverso un quotidiano e perdurante attentato alla sua soggettività autodeterminata.

Questo approccio merita di essere rovesciato attraverso iniziative e pratiche politiche che favoriscano una diversa produzione di senso, per una interpretazione dell'habeas corpus che valorizzi la libertà/responsabilità femminile.

Un mondo diverso è possibile e occorre che si inizi a metterlo in pratica.