Appello e Proposta CGIL


Documento sul progetto di legge relativo alla PMA



Maddalena Gasparini, Anna Rollier, Marisa Fiumanò, Lea Melandri, Nicoletta Gandus, Ida Finzi, Isabella D’Isola, Maria Grazia Campari, Rosaria Canzano, Milena Mottalini, Graziella Sacchetti.



Artemisia Gentileschi

La discussione alla Camera del testo unico di legge sulla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) licenziato dalla commissione affari sociali presieduta da Marida Bolognesi poteva essere l’occasione per un dibattito pubblico su questioni che toccano il cuore della convivenza fra donne e uomini: la sessualità, la procreazione, la vita umana alle sue origini. É stato invece subito uno scontro tra fazioni che si sono schierate esclusivamente secondo l’appartenenza ideologica o religiosa. Con questo documento intendiamo invece rimettere al fuoco della riflessione collettiva i punti più scottanti.

Le tecniche di procreazione assistita (PA),si dice, sono state messe a punto per le coppie con difficoltà procreative; la tecnologia non farebbe che "aiutare" un evento che appartiene alla nostra storia come alla natura: nascere dall’incontro di due corpi che si sono desiderati. Ma l’evidenza è un’altra: la procreazione assistita è un nuovo modo di avere i figli, ed è questo che mette a disagio.

La legge in discussione circoscrive l’accesso alle tecniche di PA alle coppie infertili, nel tentativo di legittimarne l’uso e insieme rassicurare l’opinione pubblica che nulla è cambiato. Ciò fatto, nel testo unificato della Bolognesi, è stato agevole procedere oltre, dichiarare cosa si intende per coppia e farne una questione di "etica maggioritaria", imposta a tutti col voto parlamentare. La realtà è invece più complessa. La procreazione biotecnologica introduce mutamenti radicali nella percezione e nelle fantasie che riguardano la nascita, la sessualità, la filiazione, il futuro della nostra specie. Passione scientifica, interessi economici (della classe medica e dell’industria farmaceutica e bio-medica) e desiderio di maternità rischiano di alimentarsi a vicenda, col rischio per donne e uomini di diventare oggetto di sperimentazioni selvagge. Per questo è necessario che si aprano spazi di libertà e presa di parola che questa legge chiude e che, sole, permettono l’assunzione di responsabilità e il riconoscimento dei limiti.

La disponibilità di materiale biologico per la procreazione (siano essi gameti o i loro precursori, gli zigoti o gli embrioni) alimenta l’arroganza di chi pensa di "produrre la vita" e forse domani di controllarne le caratteristiche agendo sul patrimonio genetico. L’uovo fecondato, cui le tecniche di fecondazione in vitro concedono oggi un’esistenza separata dal corpo femminile, suscita legittima curiosità scientifica, ma dà anche via libera alla fantasia del bambino-embrione, abbandonato in un freezer dai genitori e dalla scienza. Anche su questo genere di immaginario si fonda (supponiamo) il consenso "laico" all’emendamento dell’articolo 1 della legge che introduce il concetto del concepito come soggetto giuridico, dotato di diritti più forti di quelli, per esempio, dei genitori. Ma poiché il concepito non è autonomo –nè lo diventa per legge- ciò significa che un soggetto terzo si arrogherà la sua rappresentanza anche a costo di conflitto con la donna che l’accoglie e a cui sola spetta la decisione se e come accompagnarlo alla nascita.

Per uscire dalla trappola di una legge che proibisce tutto, affidando alla classe medica ampi margini di discrezionalità operativa, indichiamo i percorsi possibili che tutelino la sicurezza, la dignità, la libertà e i diritti dei soggetti coinvolti nella procreazione e lascino lo spazio necessario al ripensamento di questi concetti

Con questo testo abbiamo l’ambizione di contribuire alla formazione di uno schieramento di donne e uomini che giudicano indispensabile sottrarre questi temi alla decisionalità di pochi specialisti per rimetterli nelle mani della collettività.

Gli aspetti sanitari, in rapida e continua evoluzione possono essere affrontati dal ministro della Sanità con un semplice regolamento, agile e periodicamente rivedibile. Deve essere sospesa la circolare Degan del 1985 (che proibisce la fecondazione con gameti esterni alla coppia nei centri pubblici, favorendo così i centri privati) e confermato l’obbligo di iscrizione e rendiconto delle attività dei Centri pubblici e privati al Registro Nazionale per la PMA dell’Istituto Superiore di Sanità (pena la chiusura del Centro. La proposta di legge attuale rinvia la decisione sulla gran parte delle questioni mediche e biologiche e la puntuale definizione del consenso informato a sedi e tempi successivi. Chiediamo invece che ci si esprima sugli aspetti bio-medici avviando una campagna di informazione e discussione pubblica attraverso i media e le sedi adeguate; che una conferenza di scienziati competenti nella materia proponga i livelli di certezza/incertezza delle procedure diagnostiche e terapeutiche (farmacologiche e chirurgiche) in tema di infecondità rendendo pubblici limiti e rischi ad esse connesse; che un’analisi puntuale di quanto avvenuto finora precisi quali procedure tecnologiche debbano essere considerate sperimentali e pertanto sottoposte al regime previsto per esse. Le indicazioni che ne emergono dovranno essere discusse insieme alle Associazioni (professionali e non) che lo richiedono, prima di diventare linee-guida.

Il silenzio, favorito dalla natura invasiva e passivizzante delle tecnologie bio-mediche, deve essere rotto: chiediamo che si aprano spazi per la discussione l’informazione e il supporto su procreazione e infecondità (per esempio nei consultori) sottraendone la gestione esclusiva alle sedi specialistiche. Le coppie con difficoltà procreative, le donne omosessuali, le donne sole devono avere l’opportunità di luoghi dove la domanda di un figlio che non arriva in modo "convenzionale" possa uscire dalla segretezza se non dalla clandestinità, dove possa crescere la riflessione collettiva e trovare contenimento l’aggressività delle procedure tecnoscientifiche.

La tutela dell’embrione dagli eccessi della passione conoscitiva di ricercatori e scienziati può essere garantita senza farne un soggetto giuridico, con un regolamento simile a quello che proibisce la clonazione.

La medicalizzazione della difficoltà a procreare appare come il naturale prolungamento di una pretesa costantemente avanzata sui corpi delle donne e che risulta in questo caso particolarmente ingiustificata, data la relativa rarità dei casi di comprovata sterilità di natura organica. Sarebbe più saggio considerare l’infertilità un inciampo, storicamente significativo, della relazione uomo-donna che chiede di essere inteso e compreso, prima che abolito.

I soldi fanno di ogni relazione uno scambio di merci. Ripugna al senso comune che parti del corpo possano essere oggetto di mercato; tuttavia in molti paesi (e anche nel nostro fino a poco tempo fa) la cessione di ovociti e spermatozoi avveniva dietro "rimborso spese". Chiediamo che la donazione, come del resto vuole il significato della parola, resti un atto gratuito e solidale.

La possibilità di applicare la diagnosi genetica nel contesto della procreazione assistita sposta l'obbiettivo dell'intervento biotecnologico dalla mancanza di figlio al fantasma del figlio perfetto, geneticamente controllato. Questo spostamento produce importanti mutamenti nella vita delle donne, soggetti in primo piano della procreazione. Esse subiscono la doppia e contraddittoria pressione di un'eccessiva responsabilizzazione (sarebbe irresponsabile non utilizzare i test genetici, visto che esistono) e di un pesante esautoramento: spinte a delegare giudizi e decisioni rischiano di sbilanciare la solida e ricca rete di relazioni (con il figlio a venire, con il partner, con le altre donne, con la comunità che le circonda) solitamente tessuta intorno all'esperienza della procreazione. Proponiamo che i rischi biologici attinenti alla terapia genica sull’embrione e i rischi di deriva eugenetica insiti nell’applicazione sistematica della diagnosi prenatale pre-impianto siano oggetto di un’attenta valutazione e di un’adeguata divulgazione.

Maddalena Gasparini, Anna Rollier, Marisa Fiumanò, Lea Melandri, Nicoletta Gandus, Ida Finzi, Isabella D’Isola, Maria Grazia Campari, Rosaria Canzano, Milena Mottalini, Graziella Sacchetti.

Per adesione tel/fax Lea 0258305152 oppure madga@tin.it


Testo del collettivo Donne e diritto

I lavori parlamentari sul testo unificato in tema di procreazione medicalmente assistita hanno dato i primi prevedibili risultati, scaturiti dal compromesso tra interessi non semplicemente riconducibili alle categorie del pensiero laico e cattolico, ma connaturati alla sfera economica e a quel mercato che dalla PMA ha preso lucroso avvio. Non nutriamo entusiasmo alcuno per le tecniche della PMA, che espropriano la donna del proprio corpo, causano la perdita di controllo sulla fertilità/sterilità, provocano la rottura della relazione con il prodotto del concepimento, in definitiva riducono la sessualità e la relazione di maternità a bene di consumo come altri, ma ci pare che occorra difendere la libertà di chi desideri accedere alla PMA e non ci piace una legge che introduca limitazioni comunque incapaci di dare ordine ai complessi interrogativi che la materia porta con sé.

Qui, tuttavia, intendiamo soffermarci solo sull'emendamento introdotto dal deputato leghista Alessandro Ce all'art. 1 del testo unificato, che è l’espressione manifesta di quella cultura oscurantista che già andava configurandosi nei vari disegni di legge succedutisi negli anni.

L’art. 1 illustra le finalità della legge che "disciplina le tecniche di procreazione umana medicalmente assistita finalizzate alla soluzione dei problemi di sterilità o di infertilità che si manifestano nella donna, nell’uomo o nella coppia, tutelando il diritto dei soggetti coinvolti…". L’emendamento è così formulato: "in particolare del concepito". Aggiungendo di seguito all’art.1, comma 1°, la frase dell’emendamento veniamo informate che il concepito è soggetto cui riconoscere diritti. Non essendo la frase contenuta nel corsivo di qualche opinionista, ma in un testo di legge, nonostante l’apparenza modesta e defilata essa ha in sé la capacità di modificare principi fondamentali del nostro ordinamento in tema di diritti della persona e di soggettività giuridica, con effetti disastrosi sulla donna, il cui diritto, insieme a quello dell’uomo e della coppia, si vorrebbe affievolito in presenza del rafforzamento "in particolare" del diritto di questo nuovo ibrido giuridico.

L’emendamento pretende insomma di dare una svolta definitiva ad una problematica che da anni ammalia le menti di giuristi più o meno illustri, con una precipitazione di stile e buon senso di raro esempio. Ma qual è il diritto del concepito (rectius prodotto del concepimento) cui può riferirsi l’emendamento nel nostro sistema giuridico?

Ricordiamo che il codice civile (art. 1) stabilisce che solo con la nascita si acquista la "capacità giuridica", cioè si diventa "soggetti di diritto", e che solo eccezionalmente sono riconosciuti dalla legge al nascituro alcuni diritti patrimoniali (a ricevere per testamento e per donazione) che sono subordinati all’evento della nascita. L’entrata in vigore nel 1948 della Carta Costituzionale, secondo la quale la Repubblica "..riconosce i diritti inviolabili dell’uomo…" (art.1) e "…tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo…" (art. 32) non ha modificato l’assetto codicistico in tema di soggettività giuridica: la nascita resta indispensabile condizione per l’accesso ai diritti ed i termini uomo e individuo non possono riferirsi a chi nato non sia ancora. Né l’articolo 1 della legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza "Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio" riconosce al nascituro la titolarità di posizioni giuridiche soggettive, per rapporti diversi da quelli indicati dalla legge. La tutela della vita umana "fin dall’inizio" deve essere infatti letta nel quadro dello stesso art. 1: lo Stato non è indifferente alla questione dell’aborto; non fa il tifo per l’interruzione della gravidanza; si fa carico di renderla non necessaria; lavora in tal senso fin dal momento del concepimento.

Il prodotto del concepimento, dunque, nel nostro ordinamento non è soggetto di diritti, se non eccezionalmente, in relazione a quei diritti riconosciuti dal codice, subordinatamente alla nascita. E l’eccezionalità del riconoscimento è argomento per ritenere che, ove altri diritti dovessero essergli riconosciuti per legge, dovrebbero essere ben individuati. La grossolana semplificazione del messaggio contenuto nell’emendamento suggerisce invece l’esistenza di una sorta di diritto a nascere, così caro ai cattolici, non tanto per la conclamata difesa del "diritto alla vita", ma per ristabilire un fattivo controllo sulla sessualità e sulle relazioni affettive, legittimandole e ordinandole solo all’interno di certi modelli e, in primis, di quello familiare. Si legittima in tal modo un contrasto tra la madre e il nascituro, il quale, naturalmente e giuridicamente incapace di esprimere la propria pretesa soggettività, verrebbe necessariamente rappresentato da un soggetto terzo, designato dalle istituzioni a tutelare i suoi interessi, particolarmente protetti, anche contro gli interessi della madre. Un ovocita fecondato, parte infinitesimale del corpo della donna, diverrebbe soggetto di diritti autonomi preminenti rispetto a quelli della donna, ridotta in tal modo a puro contenitore: involucro separato per possibile inimicizia dal contenuto.