Storia di una persecuzione

di Anna Rota


danza
Milano, 8 marzo 2003

Le origini e la storia

I rom, i sinti, i manouches, i kale e i romanichals con i loro numerosi e diversificati sottogruppi, detti anche comunità romanès, costituiscono la popolazione romanì, una popolazione indo-ariana.   
Ricostruire le loro vicende è una impresa ardua: non ci sono testimonianze scritte da parte degli stessi interessati, che hanno perpetuato la loro cultura attraverso la sola trasmissione orale, di generazione in generazione; mancano inoltre documenti dettagliati ed attendibili ed i pochi ritrovati, spesso non storici ma letterari e leggendari, si prestano a svariate interpretazioni.
Così, se le parole sono lo specchio della cultura e dell’identità, questo vale in modo particolare per la popolazione romanì. Infatti è attraverso gli studi filologici che possiamo risalire alle loro origini e ricostruirne  a grandi linee gli spostamenti nel corso dei secoli.

Si è potuto accertare la loro origine indiana, in un territorio compreso fra l’attuale Pakinstan, Punjab, Rajasthan e valle del Sind.
Stabilire con precisione il luogo esatto di origine, la classe sociale di appartenenza, la data e le motivazioni che li indussero alle prime emigrazioni è ancora oggi molto difficile.
Di certo vennero a rappresentare un gruppo eterogeneo denominato DOM (“Uomo”), da cui deriva la parola rom, costituitosi attraverso l’assimilazione di diversi elementi sociali e culturali e dall’incontro di diverse tribù indiane, provenienti da diverse regioni, che per i motivi più svariati (sicuramente eventi di natura traumatica o eccezionale, considerando che parliamo dell’esodo di un gran numero di persone, ma in assenza di documenti, si possono solo fare supposizioni) si spostarono prima verso settentrione e poi verso occidente, in un’epoca che va grosso modo dal  III al XIII sec. d.C.
Non fu una popolazione intera a lasciare i territori di origine ma distinte tribù che si mossero scaglionate ed in epoche successive.
Li troviamo nella Persia del Nord  probabilmente già a partire dal III sec. d. C., epoca in cui l’Iran Sassanide rappresentava la maggiore potenza della tarda antichità La Persia, regione ricca e prosperosa, rappresentava un’attrattiva irresistibile per le tribù indiane, povere e spesso in guerra tra di loro. Diverse furono le ondate migratorie che si susseguirono in epoche successive, le cui cause furono molteplici: carestie, siccità dovute all’assenza dei monsoni, necessità di nuovi sbocchi economici, problemi e disordini sociali, politici e militari.   La permanenza in questa regione dovette essere abbastanza lunga, a giudicare dagli imprestiti linguistici  (ad esempio, dal persiano “ordon”, che indicava un carretto per il trasporto di beni e di persone deriva il termine “vordon” o “vurdon” con cui oggi si chiama il carrozzone o la roulotte o altro mezzo di trasporto che ha preso il posto dell’antico carretto).
Verso la metà dell’VIII sec. sembrano essersi spostati in Armenia, dove hanno probabilmente soggiornato solo per un breve periodo (sono pochi i vocaboli di origine armena nella lingua romanì). Si suppone che la causa di questa successiva migrazione sia stata la conquista araba della Persia (la lingua romanì contiene meno di 10 parole di origine araba)  Ma soprattutto in territorio persiano avvenne una importante separazione e divisione in due gruppi, uno che proseguì verso occidente, passando dalla Siria del Nord, l’altro che non abbandonò la Persia se non successivamente all’invasione araba, dirigendosi verso nord, in Armenia.
Differenti, quindi, sono stati i destini delle diverse comunità romanès: se alcuni si insediarono nelle regioni attraversate, dimostrando di non aver alcun problema a sedentarizzarsi quando le condizioni lo permettevano, altri proseguirono quel cammino che li portò sempre più sulle strade del mondo, evitando o fuggendo dalle frequenti guerre in cui si imbattevano.
Un po’ alla volta si infiltrarono anche nelle regioni continentali ed insulari dell’Impero Bizantino, rappresentando semplicemente un popolo in più nella mescolanza dei popoli.

Nell’Impero Bizantino queste comunità furono costrette a seguire il credo cristiano, dopo essere state obbligate a praticare la religione islamica nei territori dominati dagli arabi, abiurando per coercizione gli antichi riti indù e buddisti osservati nelle terre di origine.
In questi territori furono considerati come i discendenti dell’antica setta eretica degli “athingani” termine che significa “non colpito”, non toccato, non offeso” e da cui deriva la parole “zingaro”. E’ un termine dispregiativo in quanto gli “Athingani” avevano la pessima reputazione di persone dedite alla magia e secondo la concezione cristiana, chi era dedito alla magia aveva a che fare con il demonio.
La setta eretica degli athingani rifiutava il contatto fisico con le altre popolazioni; quando la popolazione romanì apparve in queste regioni pare avesse un comportamento simile, probabile reminescenza della proibizione di toccarsi esistente tra le caste indiane. Così alcuni studiosi fanno discendere le comunità romanès dalla casta degli intoccabili ma altri ritengono piuttosto che questa scelta di preferire  l’autoesclusione all’assimilazione rivela al contrario l’abitudine da parte della popolazione romanì di non essere sottomessa, attitudine che non può essere tipica delle caste più basse.
Con l’arrivo nelle terre bizantine si cominciano ad avere documenti scritti che sempre più frequentemente li riguardano, a partire dalle testimonianze dei pellegrini diretti in Terra Santa, che narrano di persone dagli abiti coloratissimi (secondo la tradizione indiana), di carnagione scura, che si sposta con tutti i propri averi e con tutta la famiglia (tratto culturale tipico).

Nel 1384 sappiamo che molte famiglie romanès si stabilirono nei pressi della città fortificata di Modone, sulla costa occidentale della Grecia, in un territorio non lontano dal monte Gipe  e conosciuto a tutti come il “Piccolo Egitto”: questa è la causa principale per cui molti gruppi romanès sono spesso chiamati nelle testimonianze dei viaggiatori dell’epoca “egiziani”, nome che del resto gli  è rimasto attribuito fino ai giorni nostri più o meno deformato (per esempio “gipsy” in inglese, “gitano” in spagnolo, “ gyptoi” in greco, “egyptien” in francese ecc).  
L’avanzata Turca accellerò il processo di disgregazione dell’impero bizantino. Tra il 1451 ed il 1521 i turchi ottomani conquistarono quasi tutta la Grecia ed il territorio corrispondente all’attuale Albania. Nel corso delle guerre fra Bizantini ed Ottomani le comunità romanès si ritrovarono sottomesse di volta in volta agli uni ed agli altri. Se buona parte della popolazione romanì insediata nei Balcani seguì il destino di buona parte della popolazione locale, sottomettendosi alla dominazione turca, alcuni gruppi ripresero il viaggio verso occidente, spingendosi fino in Spagna, passando dall’Italia meridionale dove un nutrito numero di persone si insediò definitivamente (alcuni termini romanès sono comuni solo ai due gruppi in questione, i calè spagnoli ed i rom italiani).

A partire dall’inizio del XV secolo le cronache del tempo segnalano un po’ ovunque in Europa l’apparire di comunità romanès. Sempre più precisi e numerosi i documenti che li riguardano. L’arrivo della popolazione romanì fu vissuto in generale dalle popolazioni locali con curiosità e stupore ma anche con timore ed ostilità.
I cronisti dell’epoca evidenziano nei loro scritti soprattutto la diversità del loro aspetto esteriore, il colore scuro della pelle e gli abiti variopinti
Arrivavano in piccoli gruppi, al massimo un centinaio di persone, guidati da presunti capi che ostentavano titoli nobiliari tipo duca, conte ecc. Questi capi si presentavano alle autorità temporali e spirituali dei Paesi attraversati ed erano abili a garantirsi privilegi, anche grazie a lettere di protezione e salvacondotti imperiali rilasciati a loro favore dall’imperatore Sigismondo, dopo il soggiorno in Ungheria.
Il più famoso dei gruppi che percorsero l’Europa in lungo ed in largo era la cd. “Gran Banda” capeggiata dal “re Zindel”. Altro esempio è la truppa comandata dal “Duca Andrea del Piccolo Egitto” che si presentava vantando un salvacondotto imperiale.
Fino a quando disposero delle lettere di protezione le comunità romanès poterono viaggiare in tutta Europa ed a piccoli gruppi si insediarono in quasi tutti gli Stati, a volte bene accolti, altre decisamente malvisti. Vivevano spesso di mendicità ma anche svolgendo precise attività economiche quali il fabbro, lo stagnino, il sensale di cavalli, il calderaio.

Una anonima cronaca bolognese del 18/07/1422 parla del Duca Andrea d’Egitto e della sua gente in viaggio verso Roma per essere ricevuti dal Papa Martino V che concederà loro una lettera di protezione che non solo li riconosceva come pellegrini, ma li raccomandava alle autorità civili ed ecclesiali. Si narra che queste persone stanno compiendo un lungo pellegrinaggio allo scopo di purificarsi e poter ritornare a professare la fede Cristiana, dopo essere stati costretti, sotto il dominio dei Turchi, ad abiurarla e convertirsi all’Islam.
Le comunità romanès fecero diverse copie di questo prezioso documento adattandone il testo di volta in volta alle specifiche esigenze e lo utilizzarono per quasi un secolo.

Tuttavia le lettere di presentazione già a metà del 1400 cominciavano a non essere più sufficienti a mitigare il sospetto che nell’occidente europeo gravava su tutti coloro che provenivano dalle terre dominate dai turchi, con cui spesso venivano confusi a causa del colore della pelle.  
Ma la ragione di tanta diffidenza non era solo nel fatto che provenivano da territori ottomani, altri fattori di natura politica, sociale e culturale portarono ben presto a sviluppare, nei confronti dei rom, atteggiamenti  improntati al rifiuto ed al timore che sfociarono in vere e proprie politiche repressive, di allontanamento, di esclusione, di sterminio, di assimilazione forzata di deportazione ecc. messe in atto da tutti gli Stati europei e tutte votate al più completo rifiuto della romanitipè, vale a dire  della cultura e della identità romanì e giustificate dalla necessità di tutelare l’integrità sociale.

Lo stile di vita della popolazione rom era considerato dissoluto e sregolato ed era radicato il preconcetto che questa gente avesse stretti contatti con la criminalità locale
Anche quando si guadagnavano da vivere onestamente, svolgendo le attività lavorative più tradizionali (in buona parte legate alla lavorazione dei metalli, dal ferro battuto alla produzione di utensileria varia piuttosto che di gioielli), entravano in concorrenza con i maestri artigiani dell’epoca, organizzati in corporazioni e gelosissimi del loro monopolio. Inoltre la forgia dei metalli era dotata di una aureola di mistero e di magia sin dai tempi più antichi e chi se ne occupava veniva considerato “figlio della terra”, possessore al tempo stesso di forze sacre e demoniache. Tutto ciò che aveva a che fare con il magico ed il soprannaturale, fra cui la chiromanzia, largamente praticata dalle donne, veniva bollato dal clero come espressione di capacità demoniache. La comunità romanì attirò su di se l’attenzione della Santa Inquisizione che si fece promotrice di provvedimenti improntati al controllo ed alla repressione. Si aggiunga il colore scuro della pelle (che veniva considerato espressione di una razza inferiore e malvagia) e l’uso di una lingua sconosciuta (che veniva considerata una lingua furbesca e volutamente artefatta).

Del resto parliamo dell’epoca in cui in cui in tutta Europa si andavano strutturando i grandi Stati nazionali, i quali per incrementare l’unità del popolo ed il loro controllo, tendevano ad escludere tutti coloro che potevano apparire “diversi” o che potevano essere considerati una minaccia. Il vagabondaggio cominciava così ad essere considerato un elemento di disturbo per l’ordine pubblico ed il controllo sociale.
Se inizialmente i vari decreti, comminanti pene come l’allontanamento immediato, la fustigazione pubblica, il marchio a fuoco, il taglio del naso e delle orecchie , la galera a vita o la morte, miravano a colpire qualsiasi categoria di erranti, con il passare degli anni i provvedimenti si fecero sempre più circoscritti nei confronti delle comunità romanès. Le deportazioni nelle colonie d’Africa, America, Oceania furono provvedimenti che li coinvolsero ripetutamente a partire dalla fine del XVI secolo.

Malgrado la popolazione romanì non sia arrivata in Europa con intenti bellicosi, né impugnando armi, fu costretta a vivere alla macchia ed ad essere privata di qualsiasi diritto, con la conseguente condanna all’emarginazione culturale e sociale, i cui effetti sono visibili ancora oggi.
Tuttavia vale la pena di ricordare che La particolare abilità delle comunità romanès a lavorare i metalli indusse i signori ed i principi dei Balcani  a ridurli a lungo in schiavitù per assicurarsi manodopera particolarmente apprezzata.
La schiavitù era largamente diffusa in quei territori  e la popolazione romanì, nei Balcani, rimase  per ben cinque secoli schiava della Chiesa, della nobiltà (boiardi) e dello stato. In Romania tale schiavitù fu abolita completamente solo nel 1856!

E’ rilevante constatare che questo avvenimento così nefasto per la popolazione romanì, protrattosi per così tanto tempo nel cuore dell’Europa, non venga mai menzionato nella storia “ufficiale
Atteggiamento contrario ma altrettanto deleterio fu quello con cui molti sovrani del XVIII secolo tentarono nei confronti dei Rom un processo di assimilazione forzata.
Facendo propri i valori tipici dell’età dei lumi, si tentò di “trasformare” i membri della popolazione romanì (per tradizione nomadi, senza un lavoro stabile e che parlavano una lingua propria) in cittadini come tutti gli altri, quindi spogliandoli della loro identità e tentando una omologazione coatta. In sostanza, cambiava il metodo (niente più espulsioni né genocidi) ma non  il presupposto: i rom erano considerati una piaga sociale da combattere e superare attraverso interventi mirati, volti a sedentarizzarli e ad annientarli culturalmente.

Lo sterminio dei rom durante il nazifascismo

Malgrado durante la dominazione nazi-fascista  siano stati uccisi più di 500.000 rom, quella del loro sterminio è una storia assolutamente dimenticata e che solo in tempi recenti ha  cominciato a richiamare l’attenzione di qualche storico e studioso.
Eppure, la documentazione a disposizione, sia pure scarsa e frammentaria, attesta con la massima certezza che la persecuzione dei rom durante la seconda guerra mondiale è l’unica, ovviamente con quella ebraica, dettata da motivazioni di carattere esclusivamente razziale: proprio come gli Ebrei, infatti, i rom furono perseguitati e uccisi in quanto “razza inferiore”.

Tuttavia si è fatto fatica a riconoscerlo. Per molto tempo dopo la guerra si è insistito nel considerare lo sterminio dei rom non di matrice razziale  bensì conseguenza di quelle misure di prevenzione della criminalità e di mantenimento dell’ordine pubblico che si acuiscono in tempo di guerra. La ragione di questa convinzione sta nel fatto che nelle legge e decreti ad essi riferiti si parla semplicemente di “asociali”.

Occorre allora soffermarsi sulla terminologia:: nel linguaggio nazista “asociale” viene usato per indicare coloro che, per diverse ragioni, non sono integrabili o omologabili con il nuovo ordine nazional socialista e per questo sono “pericolosi”. Gli stessi ebrei, nei primi tempi, venivano deportati e registrati come “asociali”. 

E’ sulle ragioni di questa asocialità, quindi, che si deve indagare:

si può essere “asociali” per ragioni di ordine pubblico, ed in questa categoria rientrano i delinquenti, i malati di mente, gli omosessuali, i comunisti ecc.;
oppure si è “asociali” in quanto appartenenti ad una razza “inferiore” e per questo indegna di vivere, come è stato per gli ebrei.

Ebbene, i rom vennero perseguitati sulla base di entrambi i presupposti: furono perseguitati, imprigionati, seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici e gasati nelle camere a gas dei campi di sterminio in quanto considerati geneticamente ladri truffatori e nomadi.

Da sempre perseguitati, prima dell’ascesa al potere  del nazismo la legislazione sui rom era orientata – e in tutta Europa, non solo in Germania – al controllo e all’identificazione degli individui presenti sul territorio al fine di mettere in atto politiche di assimilazione e omologazione. In sostanza si trattava di una mera questione di ordine pubblico. Alle locali autorità di polizia veniva chiesto di intervenire per far rispettare regole e doveri.
In buona sostanza ai rom veniva chiesto di lavorare e di smettere la vita nomade. Le leggi imponevano loro il possesso di carte di identificazione particolare e di permessi di soggiorno e di sosta che venivano concessi solo ad un numero limitato di persone.

Dopo l’ascesa del potere nazista e soprattutto dopo la nomina di Himmler  a capo della polizia, la questione zingara assume i connotati di “problema razziale”  e diventa di competenza della polizia criminale del Reich e trattata con la stessa sistematicità, radicalità e violenza della questione “ebraica”.

Scienza e nazismo

La Germania ha di certo rappresentato un terreno fertile per l’attecchimento di certe teorie di fine ‘800 che impregnandosi di esaltazione naziolnal patriottica e di misticismo, arrivarono a vedere nel popolo tedesco di razza ariana  “il popolo eletto” con missione purificatrice dell’intera umanità.

Numerosi scienziati, medici, avvocati, legislatori, professori universitari si posero al servizio del Reich per elaborare e soprattutto giustificare teorie ed prassi della politica razziale

Solo per ricordare qualche nome di spicco, Eugen Fischer era direttore dell’Istituto di Antropologia  Kaiser Wilmer ed è stato coautore del libro “Fondamenti di genetica umana e di igiene della razza”, pubblicato nel 1921 ed in 2° edizione nel 1923, una delle letture preferite del giovane Hitler e che ha sicuramente ispirato il “Mein Kampf”.
Capo del dipartimento di genetica umana  presso lo stesso Istituto era il Proff. Von Verschver, di cui il Dott. Mengele “l’angelo della morte”, medico ad Auschwitz che ha compiuto ogni genere di esperimento sui rom, specie sulle copie di gemelli, era allievo    
Ed il testo di cui ho accennato era firmato, oltre che da Fischer, da Erwin Baur, biologo e direttore dell’Istituto per la ricerca sull’ereditarietà, e da Fritz Lenz, allievo di Alfred Ploetz, uno dei principali esponenti del movimento eugenetico nella Germania pre-nazista.

Tutti nomi di spicco che pubblicavano sulle principali riviste dell’epoca articoli sulla “teorizzazione della disuguaglianza” fondati su studi pseudo scientifici, antropologici e genetici , puntualmente ripresi dai politici nazisti  quale  fondamento teorico della loro prassi di governo.

Se il padre fondatore dell’Eugenetica, l’inglese Francio Galton, teorizzava solamente un’igiene razziale “positiva “, vale a dire misure atte ad aumentare la fecondità delle parti migliori della razza, già Ploetz e soprattutto il suo allievo Lenz auspicavano anche la sterilizzazione dei peggiori, ritenendo che buona parte delle qualità o dei difetti fisici e psichici/comportamentali degli individui fossero di matrice ereditaria .
E per completare il quadro, aggiungiamo che Lenz aveva strettissimi legami con Hans Guenter , io più noto divulgatore del pensiero razzista in Germania.

Al gruppo di lavoro su “politica demografica e razziale” del Terzo Reich (nel ’34 vengono istituiti i centri di igiene razziale e di ricerca genetica e nel ’35 viene promulgata la legge  per la difesa del sangue tedesco) partecipano sia Guenter che Lenz, Oltre a FIscher e Ruedin (direttore dell’istituto psichiatrico  del Kaiser Wilmer): quindi psichiatria, biologia ed antropologia si mettono al completo servizio della politica: obiettivo, l’estensione della legge sulla sterilizzazione forzata (approvata 2 anni prima e limitatamente ad individui affetti da ritardo congenito, schizofrenia, psicosi maniaco-depressiva, epilessia, alcoolismo grave) ai bambini tedeschi di colore (nati da relazioni fra donne tedesche e soldati francesi di colore delle truppe di occupazione alla fine della prima guerra mondiale.)

E per tornare all’argomento specifico, è così che i rom, benchè a causa della loro origine indiana e delle derivazione indoeuropea della loro lingua siano a tutti gli effetti ariani,  furono perseguitati in quanto a causa del loro nomadismo e delle promiscue condizioni di vita con altri popoli , venivano considerati  dagli scienziati dell’epoca “decaduti” dalla loro appartenenza alla razza pura ed appartenenti ad un miscuglio irrecuperabile di razze.

foto segnaletiche

Leggi e decreti riguardanti la popolazione romanì

Nel 1899, Alfred Dillmann, uno zelante funzionario statale, fondava a Monaco il Servizio Informazioni sugli Zingari (Zigeuner Nachrichten Dienst) che, fra le altre cose si occupava di schedare i rom presenti nel territorio. Il servizio operava sotto il comando  della Direzione Generale  per la Sicurezza. Il centro, pochi anni dopo l’ascesa del potere  nazista, venne trasferito a Berlino e ribattezzato Ufficio Centrale per la lotta alla piaga zingara

Nel 1926 in Baviera veniva varata una legge – la n. 17 contro gli zingari e i renitenti al lavoro - che ne impediva l’ingresso in Baviera e prevedeva una sorta di ghettizzazione di quelli già presenti. Sempre in Baviera e negli stesi anni vengono fondati specifici uffici di polizia (Zigeunerpolizeistelle) con compiti di controllo sulla popolazione romanì.
In questi anni, tuttavia, le misure “antizingare” tendono ad essere più preventive che punitive.

Nel 1933 il partito Nazionalsocialista in Germania andava  al potere e da questo momento il problema rom veniva affrontato secondo i criteri ed i canoni nazional socialisti del pensiero razziale:

1934 – nascevano i Centri di Igiene Razziale  e di Ricerca Genetica, direttamente finanziati dal Ministero dell’Interno , nei quali la “questione zingara”  veniva affrontata con particolare interesse.

1935 – veniva varata la legge per la difesa del sangue tedesco, che vietava i matrimoni misti, pericolosi per la conservazione della purezza della stirpe germanica.. Nel campo della ricerca si distingueva il dott. Robert Ritter , psichiatra e neurologo, che sulla base di studi pseudo-scientifici arrivava a sostenere che i rom erano sì di origine ariana ma decaduta a causa del nomadismo, che ha fatto di loro un miscuglio di razze deteriorate. Si dichiaravano pertanto necessarie ricerche genealogiche e classificazioni razziali su tutti i Rom e Sinti  presenti in Germania.

A tale scopo nel 1936 Ritter fondava il Centro di Igiene Razziale  e di ricerche politico demografiche, il massimo Istituto nazista per la “questione zingara”, con sede a Berlino e dal 1937 annesso al Ministero della Sanità.
Il centro otteneva  cospicui finanziamenti sia da parte della Società Tedesca per la Ricerca, sia dal Ministero degli Interni, fino al 1944, anno in cui viene considerata chiusa la ricerca , sulla base dei cui risultati si decreta la “soluzione finale”.
 Eva Justin, assistente del dott. Ritter, dopo aver esaminato un campione di 148 bambini rom abbandonati in un orfanotrofio, concludeva per la presenza nel sangue rom del gene del nomadismo (Wandertrieb), identificando quindi nel corredo genetico la ragione – immodificabile – dello stile di vita del popolo romanì.
Gli studi di Ritter, Justin e degli altri collaboratori condizionarono pesantemente le politiche nei confronti delle comunità romanes che dal 1936 diventarono repressive/punitive e non più preventive.

 

Nelle leggi di Norimberga, in cui i Rom venivano compresi tra coloro definiti di sangue misto e degenerato ed, insieme agli ebrei, portatori di sangue straniero in Europa, si diceva esplicitamente che le leggi riguardanti i mezzi Ebrei devono essere applicate anche ai mezzi “zingari”
Il “problema zingaro” veniva inquadrato in uno specifico programma denominato “lotta alla piaga zingara”. Nel giugno dello stesso anno una circolare del Ministero degli Interni sollecitava le autorità di polizia ad intervenire con leggi speciali e strumenti polizieschi per risolvere la questione.
Iniziarono le deportazioni: le prime sono documentate a Dachau, dove giunge un convoglio con circa 100 rom, altri 600 vengono confinati a Marzahn (una ex discarica adibita a campo di concentramento) allo scopo di “ripulire” Berlino in occasione dei giochi olimpici.

Con la nomina di Himmler a capo della polizia tedesca la “questione zingara” assumeva un ruolo centrale nell’ambito della politica razziale del Reich..

1938 – è stato anno cruciale per la storia dello sterminio del popolo romanì:

Nel maggio Himmler annetteva la “Centrale per la lotta alla piaga zingara”  alla “Centrale della polizia criminale del Reich” (RKPA) dando il via all’attuazione di procedure di tipo sistematico in ambito programmatico

Nel dicembre  il programma “lotta alla piaga Zingara” diventava  legge. NB: è stata la prima legge contro i rom in quanto tali. Voluto da Himmler, si trattava di un decreto che riassumeva e rendeva esplicite tutte le direttive precedenti. Inoltre si dichiarava che in base all’esperienza ed alle ricerche biologiche razziali effettuate, la “questione zingara” andava considerata una questione di razza. Ciò imponeva due ulteriori passaggi:

  1. occorreva determinare l’appartenenza razziale di ogni Rom sul territorio del Reich
  2. e successivamente segnalare l’esito di questo accertamento alle autorità competenti (vale a dire, il Ministero degli interni, l’ufficio centrale per la sicurezza dello stato e la centrale della polizia criminale del Reich) affinché decidessero, sulla base della sua appartenenza, quale fosse il suo destino

      
1939 – veniva emanato il regolamento applicativo per rendere esecutiva la legge:
       A marzo

  1. si ordinava il censimento di tutta la popolazione romanì
  2. un’inchiesta di biologia razziale su ogni individuo dal cui esito dipendeva
  3. l’assegnazione di certificato che attraverso diversi colori, indicava l’appartenenza alla razza “zingara” ed il grado di miscuglio razziale

       In ottobre

  1. la schedatura ed il confinamento di tutti i rom in determinati luoghi alle periferie cittadine dai quali fosse proibito allontanarsi (cd. Editto di insediamento).

1940 Era l’anno della prime deportazioni di massa, specialmente verso la Polonia, e con una battuta d’arresto  verso la fine dell’anno dovuta solo a questioni organizzative e di priorità (necessità di deportare prioritariamente gli ebrei al fine di liberarne le abitazioni  per  dare attuazione al piano di ripopolamento tedesco delle zone polacche).

Nel ‘40 Ritter scriveva che per risolvere la questione, occorreva rinchiudere i Rom  (ibridi, asociali e fannulloni)  in campi di concentramento, costringendoli a lavorare ed impedendo loro di riprodursi mediante la sterilizzazione Nel ’43 sempre Ritter annotava che il numero di casi chiariti dal punto di vista biologico razziale erano pari a 21.498 su 30.000.  

1941 contemporaneamente si evidenziavano i presupposti per la “soluzione finale”: Himmler promulgava  una circolare che stabiliva :
a) le cd. etichette biologiche che dividevano gli “zingari” in Z= zingaro puro; ZM + nati da matrimonio misto con oltre il 50% di sangue rom; ZM=  con uguale percentuale di sangue  rom e non; ZM- = meno del 50% di sangue rom
b) I rom venivano definitivamente assimilati agli ebrei nell’annullamento dei diritti personali. Inoltre, con l’attacco all’Unione Sovietica, lo sterminio dei rom si estendeva ad est (Russia, Balcani e gli altri territori occupati) e si attivava mediante esecuzioni di massa. Negli altri paesi occupati (Francia, Belgio, Olanda, Italia ecc.) venivano imprigionati nei campi di concentramento e di lavoro forzato.

  
1942 – Nella conferenza di Wannesse (gennaio) venivano decisi i mezzi ed i metodi per il raggiungimento della “soluzione finale”.
Il 16 dicembre Himmler firmava l’ordinanza per la deportazione dei rom ad Auschwitz, Si raccomandava però che i rom venissero internati senza dividere le famiglie. L’operazione doveva partire il 01/03/43 e concludersi entro un mese. Tutti si è svolto nei tempi prescritti, grazie ai rastrellamenti che non hanno risparmiato nemmeno ospedali ed orfanotrofi.. L’improvvisa fretta era probabilmente dovuta al fatto che nei Lager serviva forza-lavoro.

1943 – A fine febbraio entrava in funzione il campo BIIe per le famiglie romanès, il cd. Zigeunerlager. Concepito per 10.000 persone, è arrivato ad ospitarne molte e molte di più, in condizioni di difficile sopravvivenza. Qui l’indice di mortalità era più alto che nel resto del campo, E’ restato in funzione fino ai primi di agosto del ’44, quando tutti i sopravvissuti, circa 4.000 persone, ad eccezione di pochi abili al lavoro e 12 copie di gemelli, vennero gasati nelle camere a gas in una sola notte.
Mengele compiva qui ad Auschwitz ogni sorta di esperimento sui rom.

1945 – al momento della liberazione del campo, il 17 gennaio, ad Auschwitz risultano sopravvissuti solo 4 uomini rom.

 

Il  dopoguerra

Il dopoguerra non rende alcuna giustizia allo sterminio di oltre 500.000 rom  

Nei giorni successivi alla liberazione, ai rom è stato negato ogni tipo di aiuto.
Al processo di Norimberga nessun rom è stato chiamato a deporre, malgrado nelle deposizioni si faccia spesso riferimento a loro.
Processo Eichmann a Gerusalemme – 1961: malgrado lo stesso Eichmann abbia espressamente dichiarato di non aver mai dubitato del fatto che i rom, come gli Ebrei, siano stati deportati  per essere sterminati (l’11° capo di accusa era relativo alla deportazione di alcune migliaia di rom ad Auschwitz) la sentenza concludeva che non fosse provato che l’imputato sapesse.
Processo ad Eva Justin – 1964: la posizione è stata archiviata per insufficienza di prove senza disporre il rinvio a giudizio. Si è sostenuto che Eva Justin abbia desunto le sue argomentazioni dal dott. Ritter direttamente e che a distanza di tanti anni nessun eventuale testimone rom avrebbe potuto affermare con sicurezza che la presunta torturatrice fosse proprio lei.

Un’altra grave ingiustizia è rappresentata dal fatto che le prove documentali a sostegno delle accuse  e della legittimità di un risarcimento erano di fatto indisponibili. Archiviata negli uffici di polizia per essere catalogata, veniva gestita dagli stessi impiegati che durante la guerra lavoravano per la polizia criminale del Reich, quindi direttamente interessati a dimostrare che nessun danno materiale e morale andava risarcito in quanto nessun comportamento persecutorio era stato posto in essere.

Sicuramente la negazione  della persecuzione nazista del popolo romanì  per ragioni razziale era strumentale al fatto che  diversamente anche a loro si sarebbe dovuto concedere un risarcimento – come agli Ebrei – ai sensi della convenzione di Bonn.
Conveniva pertanto ai tribunali tedeschi sostenere che i Rom fossero stati deportati per questioni di ordine pubblico e di prevenzione della criminalità e dello spionaggio.

Così una circolare del maggio del 1950 del Ministero degli Interni  rispondeva  alle prime richieste di risarcimento intentate da Sinti tedeschi dicendo che “le riparazioni previste dalla convenzione non riguardano i rom in quanto perseguitati non già per motivi razziali, bensì  per i loro precedenti asociali e delinquenziali.    “

Nonostante tutto, negli anni ‘50 la documentazione ha cominciato ad emergere ma i Tribunali hanno continuano a non rendere giustizia sostenendo che prima del decreto Himmler del 16/12/1942 (deportazione ad Auschwitz) la deportazione non rispondeva a politiche di tipo razziale, come invece è avvenuto a partire dal ’43.

Le decisioni della magistratura tedesca venivano confermate  nel 1956 da una sentenza della Corte Suprema  nella quale di stabiliva il carattere razziale della deportazione solo a partire dal 01/03/1943, pertanto solo per chi  era stato catturato successivamente a questa data  o in relazione all’ultimo periodo di prigionia.

A fronte di questa sentenza negazionista, sempre nel 1956 veniva fondata la VERBAND DEUTSCHER SINTI UND ROMA, un organismo rappresentativo di tutta la collettività romanì con lo scopo di costituirsi parte civile nelle istanze di risarcimento presentate da singoli rom,  vittime delle persecuzioni. Il primo successo veniva conseguito il 07/11/1960, in relazione all’istanza avanzata da un rom deportato nel ’40.
Nel 1963 ottenevano la revisione e l’annullamento della sentenza della Corte Suprema.
Nel 1979 ottenevano per la prima volta un incontro con il Governo tedesco che nel 1980 finalmente riconosceva ufficialmente il carattere razziale della persecuzione.

La prima ricercatrice  che si è occupata dello sterminio del popolo Rom e di origine ebrea: Miriam Novitch, ed in un saggio pubblicato nel 1965 ha sostenuto la comune matrice razziale della persecuzione dei due popoli.

Le cifre dello sterminio:

Le cifre sono provvisorie e  ci danno sicuramente un bilancio in difetto.
Ad Auschwitz morirono almeno 23.000 persone di cui 13.000 per fame o in esperimenti medici.
Austria: 6.500 morti su una popolazione totale di 11.200 , principalmente nei campi di concentramento e sterminio.
Polonia: nel ’43 oltre il 50% della popolazione Rom presente sul territorio polacco risulta essere già stata uccisa. Alte le cifre delle esecuzioni di massa.
Francia: almeno 15.000 Rom francesi morti, anche nei numerosi campi di concentramento francesi (42),
belgio: 500 morti nei lager su una popolazione locale di 600 unità.
Est Europeo: 28.000 in Ungheria; 36.000 in Romania; 1.000 in Slovacchia; 40.000 vittime in Yugoslavia; in Serbia la questione zingara è stata completamente risolta.

La persecuzione fascista in Italia

I dati e le  fonti sono  molto limitate.

Si sa che “la razza” occupava uno spazio rilevante nel pensiero e nella politica fascista già dal 1921.
Nel ’38 (anno del promulgamento delle leggi razziali) esistevano anche in Italia  Istituzioni “speciali”  quali il Consiglio superiore della demografia e della razza il Tribunale della razza e una Commissione per le discriminazioni.

Sicuramente per il regime fascista i  Rom rappresentavano un problema di ordine pubblico (così una circolare del Ministero dell’Interno dell’08/08/1926, raccomandava di epurare il territorio dalla presenza di carovane zingare).

Nelle leggi razziali i Rom non venivano espressamente nominati ma anche nei loro confronti venivano sospesi i diritti civili e venivano vietati i matrimoni con cittadini ariani

1940 un articolo di Giudo Lontra pubblicato sulla rivista “la difesa della razza” sosteneva “la necessità di provvedimenti contro questi randagi privi di morale che con le note tendenze al vagabondaggio ed al ladronaggio, minacciano la purezza della razza:

11/09/1940 una circolare del Ministero degli Interni dava disposizioni in merito ai provvedimenti di internamento  degli  “Zingari”.

Ma non ci sono elementi sufficienti per stabilire se in Italia la persecuzione sia stata motivata da ragioni razziali o da ragioni di ordine pubblico.

Sembrerebbe probabile che la politica discriminatoria sia stata diretta soprattutto verso i Rom stranieri penetrati in territorio italiano, specialmente dopo l’annessione di Lubiana al Regno d’Italia; tuttavia si ha notizia di Sinti italiani (popolazione presente in Italia dal 1600) deportati nei campi di concentramento italiani e tedeschi.

La storia prosegue, fino ai giorni nostri, e pregiudizi e stereotipi continuano ad alimentare e a legittimare i comportamenti fortemente persecutori e xenofobi nei confronti di questa popolazione che ci ostiniamo a non voler conoscere.
Nessuno ha parlato delle decine di migliaia di rom che negli anni ’90, ed ancor oggi, sono state vittime innocentissime delle guerre nei Balcani, non un reportage, non una sola trasmissione televisiva dedicata a queste vittime.
E oggi? Cosa succede qui da noi?
“Non passa giorno senza che non ci sia lo sgombero di una baraccopoli o un qualche sopruso contro i rom. Non passa giorno senza che su cento reati non venga strillato sulle prime pagine dei quotidiani e fra le prime notizie dei telegiornali il singolo reato commesso da uno straniero. Non passa giorno senza che, da Fini a Beppe Grillo, non si gridi all'invasione.
Ci sono domande che nessuno si pone: dove sono finiti gli abitanti di Tor di Quinto? Perché nessuno ricorda che la metà dei rom sono bambini e ragazzi? Con quale legittimità se qualcuno compie un delitto si toglie l'abitazione non solo a lui ma anche ai suoi familiari e a tutta la sua comunità?

Perché nessuno fa notare che i fenomeni di illegalità sono l'effetto non dell'immigrazione ma della clandestinità? Perché si parla di emergenza criminalità quando le cifre ci dicono che le vere emergenze sono quelle della violenza contro le donne, dei morti sul lavoro, dei lavori precari e sottopagati, ecc.? Perché non si ricorda che gli immigrati rumeni sono al primo posto per gli incidenti mortali sul lavoro?
E alla discriminazione si aggiunge la colpevolizzazione delle vittime: "non si vogliono integrare", "non sono integrabili a causa della loro cultura e modi di vita". Questo è quello che dice la destra, e non solo. E in questo modo la sinistra può far finta di non vedere la violenza dell'apartheid.

Basta poco perché gli abitanti di un quartiere organizzino ronde, compiano incursioni, si trasformino in giustizieri. La caccia allo zingaro - in quanto "diverso" - è sempre stata un'attività tipica della destra xenofoba e razzista, ma fa proseliti anche a sinistra. Illustri liberali garantisti perdono la testa quando si parla degli zingari. Le garanzie della difesa, riconosciute a tutti, vengono sospese quando si tratta del popolo rom e degli immigrati poveri. Amministrazioni comunali di contrapposto colore chiedono l'intervento della polizia per irruzioni, sgomberi ed espulsioni illegali. In questo modo l'insicurezza - quella vera, non quella percepita - non potrà che aumentare.”
(Bruno Carchedi “La costruzione del nemico assoluto”)

  Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare.
Bertolt Brecht

Bibliografia:

    • Alexian Santino Spinelli “Baro romano drom”  Meltemi editore, Roma, 2003  
    • Giovanna Boursier “lo sterminio degli zingari durante la seconda guerra modiale” in “Studi Storici”  2 aprile-giugno 1995,  anno 36
    • Giovanna Boursier “la persecuzione degli zingari da parte del Fascismo” in “Triangolo rosso” n.1/1998
    • Giovanna Boursier  “Sinti e rom nel nazifascismo” in “Alla periferia del mondo”  - Fondazione Roberto Franceschi Onlus
    • Claudio Marta  “la scienza dello sterminio nazista. Antropologia, igiene della razza e psichiatria” 
    • Alberto Melis “la terza metà del cielo”  cap 4

    Appello a favore del popolo rom

    La zingara nella letteratura europea

     

    7-07-2008

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