DI MADRI E DI FIGLIE, DI FIGURE E DI PAROLE…

Carla Sanguineti

 

Olympe de Gouges
Maria Antonietta
Manon Roland
Mary Wollstonecraft
Claire Lacombe

 

Durante il Terrore le donne dell’89 non sapevano come la Rivoluzione e i loro sogni avrebbero potuto sopravvivere, né le loro figlie, trenta anni dopo, in piena Restaurazione, quando sarebbe finita quella che fu definita the age of despair, l’epoca della disperazione.
Tantomeno potevano immaginare che, trent’anni ancora, e, in tutta Europa, donne di ogni ceto avrebbero partecipato insieme ai moti rivoluzionari combattendo per l’indipendenza e le costituzioni, ma anche per i propri diritti civili e per una maggiore giustizia sociale.

Mi piace dare il mio contributo al centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia con una genealogia femminile attraverso alcune figure reali e simboliche, in quanto creazioni artistiche, attraverso immagini che, a mio parere, esprimono meglio di quanto non saprebbero fare le mie parole, il linguaggio delle madri che ci siamo scelte e che continuano a parlare dentro di noi.

Prima sequenza di immagini:
- Parigi, 7 novembre 1793, Place de la Révoluton, poi, per paradosso e per bisogno di pacificazione, Place de la Concorde: viene ghigliottinata Olympe de Gouges, tra le tante che avevano lottato per i diritti delle donne quella che aveva guardato più lontano, chiedendo anche l’abolizione della schiavitù e l’uguaglianza civile per tutti i popoli.
Con le mani legate dietro alla schiena si era sforzata di rimanere in piedi lungo il tragitto per gridare ancora i suoi ideali e la sua innocenza, e prima di morire aveva chiesto giustizia alle generazioni future: Enfants de la patrie, vendicherete la mia morte.
Quindici giorni prima era stata ghigliottinata Maria Antonietta cui Olympe aveva dedicato la sua Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1791 dopo che nella Costituzione era stato negato il diritto di voto alle donne. Olympe aveva visto in lei la vittima predestinata di tutte le violenze e di tutti gli errori (fu accusata persino di incesto con il figlio bambino) e le aveva indicato una via di riscatto nella difesa dei diritti della donna.
Cinque giorni dopo fu decapitata la potente Manon Roland, esponente della Gironda e moglie del ministro dell’Interno, che aveva lottato con tutte le sue forze contro il Terrore, e che mentre i suoi compagni fuggivano, unica aveva accettato arresto e processo e in prigione aveva scritto quell’Appel à l’impartial posterité che è la fune lanciata verso il futuro da chi sta per essere ucciso con il tradimento .
Assistette all’esecuzione di Olympe Mary Wollstonecraft, venuta, da sola, come giornalista per sostenere la rivoluzione e inviarne i resoconti all’ “Analytical Review”a Londra . Aveva dedicato la sua Vindiction of the rights of woman al ministro Tayllerand, e come Olympe, aveva creduto che rivoluzione significasse fine delle guerre e della schiavitù. Sfuggita all’arresto come nemica della Francia in quanto inglese – l’aveva salvata un americano facendola passare per sua moglie - si trovava ad assistere ad un chest of crimes. Ogni suo ideale annegava nel sangue.

In quella piazza, nelle persone presenti, fisicamente o moralmente, c’è tutto l’intrico di eroismi e tradimenti, di realtà e sogni, di passioni e bassezze, di violenza e di viltà che fu della Rivoluzione francese e è racchiusa, come in una sfera, la storia delle generazioni future (e di altre rivoluzioni…).
Il movimento delle donne era frantumato e diviso in fazioni nemiche: tra la folla c’erano anche le Sanculotte Rivoluzionarie che probabilmente approvarono quell’esecuzione. Eppure le tre belle protagoniste della presa della Bastiglia e dell’assalto alle Tuilleries, Olympe de Gouges, Theroigne de Mericourt e Etta Palm, avevano, pochi anni prima, marciato insieme alla testa di centinaia di cittadine per reclamare i diritti che venivano loro ancora negati. Com’era potuto accadere che le Sanculotte Rivoluzionarie denudassero e staffilassero in pubblico Theroigne de Mericourt provocandone uno sconvolgimento psichico insanabile (molti anni dopo Delacroix l’avrebbe ritratta tra gli internati della Salpetrière dove morì nel 1817), che una delegazione di Repubblicane Rivoluzionarie chiedesse la testa di Maria Antonietta e che, sempre delle donne, avessero accusato Etta Palm di aver loro imposto di portare il berretto rosso concesso solo agli uomini per segnalare le loro vittorie, costringendola alla fuga per evitare l’arresto? Persino la giacobina Claire Lacombe, protetta da Robespierre, sarebbe stata arrestata da lì a poco.
Nessuno poteva più aiutarle, oramai. Il loro grande protettore, lo scienziato, il filosofo Jean Marie de Condorcet, deputato all’Assemblea Nazionale, l’unico che aveva sempre difeso i loro diritti, compreso quello di entrare nel governo e di avere istruzione uguale a quella degli uomini, era nascosto in qualche casa amica, e, arrestato, si sarebbe ucciso col veleno. Anche Roland si tolse la vita, con un colpo di pistola e tanti ancora… Mary Wollstonecraft, tornata a Londra, tentò due volte il suicidio.
Le donne che applaudirono quando fu alzata la testa di Olympe persero, nei mesi seguenti, ogni diritto di voto e il divorzio; i loro club e le associazioni furono sciolti, persino la libertà di circolazione fu negata.
Un grande sogno aveva partorito un mostro.

Eleonora Pimentel Fonseca
Luigia Sanfelice

- Eppure la figura che si è levata su tante sofferenze e contraddizioni è quella della Marianne, che col seno nudo e la baionetta innestata guida uomini e ragazzi sulle barricate.
Così la effigiò Delacroix in un quadro diventato emblematico nel 1830. La retorica del passo che avanza sui cadaveri e tra le fiamme tranquillizza ogni ansia; l’esposizione del seno, antico archetipo mediterraneo, propone quella donna come dea-madre, la cui femminilità è innalzata ulteriormente di valore dall’uso delle armi (quelle stesse che avevano perduto Giovanna d’Arco…). Con buona pace di Olympe.
Ma le opere di Olympe, di Manon Roland e di Mary Wollstonecraft, che mai avevano rinnegato l’ideale che aveva determinato le loro scelte politiche e la loro condotta morale, furono lette e tradotte in tutto il mondo di allora. Furono stampate anche a Napoli, nel 1799, nei brevi e gloriosi mesi della Repubblica Partenopea, e passarono per le mani di Eleonora Pimentel Fonseca e di Luigia Sanfelice (la penna è stanca di scrivere atrocità e si rifiuta di ricordare la loro fine…).

Mary Shelley, Autoritratto
M.me De Stael con la figlia avuta da Byron

 

Seconda serie di immagini:
- Uno scienziato inorridisce davanti all’essere mostruoso che ha creato assemblando pezzi di cadaveri;
- un lord esce dalla tomba, apre le ali nere di vampiro nel cielo e si appresta a dissanguare esseri viventi.
Nel 1816, in piena restaurazione, mentre i sovrani europei, come révenants, tornavano sui troni che Napoleone aveva loro sottratto e cancellavano ogni forma di democrazia, la figlia di Mary Wollstonecraft, Mary Shelley, e William Polidori, figlio di un patriota italiano emigrato a Londra, creano due figure nere che ancora vivono nell’immaginario contemporaneo. Frankenstein è appunto la personificazione della sconfitta di ogni sogno rivoluzionario, da quello scientifico di dare l’immortalità agli uomini, a quello illuminista della fraternità e dell’uguaglianza. Il Vampiro è il ritorno del potere legato ai pregiudizi della razza e del sangue, della perversione di ogni aspetto della vita.
La disperazione della generazione dell’89 sostanzia quei giovani. Polidori si uccise a venticinque anni e Mary Shelley lottò tutta la vita per vincerla per mezzo della scrittura. Studiò le opere della madre e le riprese, lesse e rilesse il romanzo in cui M.me De Stael descriveva una situazione psicologia e affettiva simile a quella di Mary Wollstonecraft, Corienne ou de l’Italie, diede corpo ai suoi sogni di pace : cercò nella storia, trovò fili che si perdevano nei secoli indietro, creò figure femminili capaci di opporsi all’ordine della guerra. Aveva scoperto nelle antiche cronache italiane l’eresia femminista di Guglielma e Maifreda, e la figura di Cia degli Ubaldini che, nella seconda metà del Trecento, aveva resistito alle armate del legato pontificio vincendolo moralmente e psicologicamente, anche se sconfitta. Immaginò così un castello rifugio dalle epurazioni, Valperga (Valpurga…) dove una donna, Eutanasia, si oppone alla violenza dello stato rifiutando la guerra, e un’altra, Beatrice, la figlia di Guglielma e Maifreda, trionfa sull’Inquisizione della Chiesa.
Non possono vincere, le due donne, figure femminili tra le più belle e complesse che siano state create; ma Mary Shelley sa che i sogni passano di generazione in generazione, e li affida appunto a loro.
Altri riusciranno dove io ho fallito dice Frankenstein prima di morire ucciso dalla sua orribile creatura, dalla sua hideous progenies.

Anita Garibaldi L'Italia in una cartolina per prestiti di guerra

 

Terza serie di immagini:
- Circumdata muris, munita sum viris, recita una scritta medievale sulla porta di una città;
- un festone celebrativo di vittoria militare, alla fine dell’ottocento, riporta tra allori e medaglie foto di soldati, di borghesi armati e di qualche donna nuda con gli occhi chiusi che sembra schermirsi con una contrazione delle spalle
- Cristina di Belgioso entra a Milano a cavallo seguita dai suoi soldati. Anita Garibaldi, in dipinti e statue, avanza, combatte, partorisce, a cavallo e armata. E tutta la ben nota serie delle figurazioni risorgimentali, con la loro parte di verità e con la loro enfasi.

Fatta l’unità d’Italia, ecco comparire ovunque la figura della Patria, l’Alma Tellus, la dea madre con scudo e lancia, incoronata di mura e armata dei suoi figli pronti a morire per lei.
Le donne ci sono state, eccome, anche se presto dimenticate: aristocratiche e popolane e persino prostitute avevano vissuto sulle barricate una alleanza destinata a non durare, ma in quel momento entusiasmante e soprattutto indispensabile per la vittoria.
L’immagine potente tutto nasconde sotto al suo peplo: non si ricordano più le Eleonora Pimentel Fonseca e Luigia Sanfelice (il museo sulla storia della rivoluzione partenopea, a Napoli, è quasi sempre chiuso, ancora oggi) : anche Cristina di Belgioioso passa in secondo piano. Anita, la bella virago al galoppo sui campi di battaglia, ha un’eco emotiva ben maggiore delle elucubrazioni della prima sulle sofferenze e sulla condizione della donna.
La sfida lanciata da Olympe de Gouges e dalle altre verrà raccolta e faticosamente portata avanti dalle donne che hanno fatto la storia intellettuale e politica del nostro paese, mentre l’umiliazione e la segregazione delle più diseredate si riproponeva con violenza istituzionalizzata: le prostitute nei bordelli di stato e le donne che si ostinavano a combattere nel brigantaggio del sud, combattute come nemiche della patria, solo per fare due esempi tra i più estremi.

Una volta uccisi, si usava allora fotografare i briganti morti seduti, con i loro abiti bucati dalle pallottole, fasce e mantelli strappati, e gli archibugi vicini. Le loro foto erano circondate da quelle dei generali vincitori con divise inappuntabili, medaglie e onorificenze. Qua e là qualche foto di donna: le brigantesse venivano spogliate e fotografate nude. Eppure erano compagne se non addirittura comandanti dei ribelli: ma l’estremo insulto era il denudarle, appunto, togliendo loro ogni forma di dignità.
Antichissimi riti stupratori sempre risorgenti inducono a sentire tutta l’attualità, vorrei dire scandalosa, di quelle foto.
E concludo con una riflessione sull’uso appunto della nudità, allora e oggi, a centocinquant’anni dall’unità d’Italia, che lascio aperta a quante di noi hanno ereditato da Olympe de Gouges, una paranoia reformatoria, come diceva il medico militare dottor Guillois nel 1904 analizzandone il caso e considerandola a priori una malata mentale e una personalità delirante. *

*(citato dal mai abbastanza ricordato saggio di Mimma De Leo, Olympe de Gouges, Venezia, 1990)

 

Carla Sanguineti ha pubblicato:
Il sentimento del sacro nelle cinque terre, Morgana ed., Firenze 2008
Le nostre memorie proibite, CISU, Roma 2007
Passi nel Sacro, Silvana ed. Milano, 2002
Figlia dell’amore e della luce, Sagep, Genova, 2000
Mary Shelley Dialogo d’amore, ed. Giacchè, La Spezia, 1997 (Premio cultura della Presidenza dei Ministri)
Alla ricerca di Mary, collana “La ferita e l’arma”, Centro Internazionale della Grafica, Venezia, 1995
Ifigenia e Clitemnestra, collana “La ferita e l’arma”, Centro Internazionale della Grafica, Venezia, 1984

Di prossima pubblicazione:
Come un incantesimo, Mary e Percy Shelley nel Golfo dei poeti, KV, Udine

sito di Carla Sanguineti

 

14-11-2011

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