Il conflitto e la norma

di Serena Boeri

 

E’ stato interessante e pieno di spunti il seminario di ieri e vorrei continuare a pensare ad alta voce con voi affinché la ricchezza di pensieri e di idee ci portino anche all’individuare un agire che sia in grado di incidere.

Si è molto parlato di lavoro e sento il bisogno di approfondire anche il discorso di quale lavoro stiamo parlando.

Illuminante è stato il discorso della compagna di Siena quando analizzando il lavoro fatto con le immigrate ha messo in luce come le risposte che si davano ai bisogni di queste donne non andavano di fatto a soddisfare i loro bisogni ma i bisogni di lavoro delle donne italiane.

Ma quante donne in buona fede credono di fare un lavoro utile, accettano condizioni di lavoro impossibili e non trovano mai il tempo di interrogarsi su quanto stanno facendo, sull’utilità reale di quanto fanno?

Il conflitto e la norma. Nella falsa illusione di agire per il bene comune io che svolgo un lavoro “socialmente utile” faccio immensi sacrifici, accetto di essere pagata poco, accetto orari impossibili,  svolgo il mio lavoro nel miglior modo possibile, e di fatto divento complice di un sistema.

L’attitudine al non confliggere è data,  secondo me, anche da questo atteggiamento del lasciar correre in nome del falso bene comune. Se faccio un buon lavoro posso in qualche modo aiutare queste straniere anche se rimarranno sempre a fare le pulizie (tornando al discorso della compagna di Siena) e accetto e divento complice nei fatti che i soldi spesi per loro servano a creare ammortizzatori sociali. E’ il gatto che si morde la coda.

Infermieri e medici ad esempio sono un esempio vivente, a volte, di abnegazione correttezza verso il paziente e con il loro agire, con questa mania dell'aggiustamento, con questo non entrare nei meccanismi organizzativi che ti impedisce di fatto di svolgere il tuo lavoro, in questa maniera diventano complici di un sistema che invece del paziente se ne frega completamente. Ma questo discorso si può esportare a tantissime categorie.

Attivare gruppi di lavoro che riflettano fino in fondo sul senso di quello che quotidianamente si fa, che entrino nel merito di quello che facciamo (un tentativo del genere credo  stia cercando di farlo Cristina, col gruppo delle giornaliste) non ci aiuterebbe a capire il perché non si agita il conflitto e che tipo di  spazio pubblico vogliamo occupare?

Gli stimoli sono stati tanti e potrei continuare ma mi fermo qui. Pensate che potrebbe essere utile continuare via mail a interrogarci su quanto emerso ieri?

A presto Serena

26-10-09


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