"Le
Identità fluttuanti: Dalla butch alla polpa"
Presentazione delle
attività per il 2005
Shirin Neshat
Riportiamo
una sintesi degli interventi della serata, cui
ha
partecipato Margherita Giacobino e cui è
seguita una animata discussione
Maria
Pierri: Siamo qui per presentare le attività del 2005.
Nella nostra ricerca di questi ultimi anni abbiamo individuato alcuni
" momenti fondamentali" nei quali la nostra "diversità"
di lesbiche viene prepotentemente messa in luce.
E' per questo che abbiamo programmato cinque incontri serali, a cadenza
mensile, di giovedì, dentro la Libera Università delle
Donne di Milano, durante i quali vorremmo approfondire ciò
che accade in quei "momenti fondamentali " con i/le co-protagonisti/e
: i genitori, gli amici, gli insegnanti, i compagni di lavoro
Incontri aperti a tutti quindi, in cui confrontarci utilizzando il metodo
da noi sempre preferito, quello esperienziale, che ci permette di approfondire
le varie tematiche a partire dalle emozioni che proviamo e non dalla teoria.
E allora le domande possibili potranno essere:
- Cosa può aver provato mia madre o mio fratello o la mia amica
o il mio datore di lavoro durante il mio coming-out ? -Cosa c'è
dietro la frase rassicurante dei nostri amici quando, di fronte alla nostra
dichiarata diversità, ci dicono: "cosa c'è di diverso?
quale è il problema?" O ancora :
-Cosa c'è dietro l'impercettibile abbassamento di tono ogni volta
che noi o gli altri pronunciamo la parola "lesbica"?
Ci piacerebbe insomma far interagire i diversi "attori" di una
situazione dialettica che ha come tema centrale il lesbismo: vorremmo
incontrare il mondo sul piano dei vissuti lesbici e le reazioni che questi
vissuti provocano.
Iniziamo stasera proponendovi un primo aspetto: quello della "identità"
lesbica
La presidente della L.U.D, Anita Sonego lo introdurrà spiegando
perché nel volantino di presentazione della serata abbiamo scritto
di "Identità fluttuanti" e poi, con la mediazione della
poeta Nicoletta Buonapace, la scrittrice Margherita Giacobino,
ci intratterrà sull'argomento con il suo consueto e graditissimo
umorismo.
Anita Sonego: Il nodo dell'identità è stato il primo
che il gruppo ha affrontato alla sua nascita, negli incontri del primo
anno, nel lontano 1996. Confrontandoci a partire dalle esperienze di tutte
le lesbiche che hanno fatto parte via via di questo gruppo e studiando
i testi quali di Teresa De Lauretis, della Witting o della Butler siamo
arrivate ad una importante conclusione : non è possibile parlare
di una sola, univoca identità lesbica, e questo è uno dei
motivi per cui il gruppo ha scelto di chiamarsi "Soggettività
lesbica", per porre fortemente l'accento sul valore insostituibile
della singolarità di ciascuna. Forse
l'avere presenti le proprie radici, salde, radicate, frutto di esperienze,
territori, affetti, storie, racconti, costruisce "un senso di te"
che poi ti permette di andare nel mondo e confrontarti, arricchendoti,
con le altre diversità.
Se è vero che "l'identità è una finzione necessaria"
(Borghi ) e se è vero che "non siamo noi che ci definiamo
lesbiche, ma è il potere che ha bisogno di definirci, per controllarci
ed emarginarci" ( Witting ) la nostra conclusione è
che dobbiamo fare un lavoro doppio: assumere questa imposizione ( l'identità
) per combatterla!
Si, lo so, può sembrare un paradosso, ma in altri termini si tratta
di sostituire alle etichette la libertà delle vite!
In proposito terminerò citando la prefazione che Judith Butler
scrisse, nel1999, al suo Scambi di genere:
"Pur pensando che ottenere il riconoscimento del proprio status
di minoranza sessuale sia un'impresa difficile all'interno dei discorsi
dominanti della legge, della politica e della lingua, continuo a considerarlo
una necessità per la sopravvivenza. La mobilitazione delle categorie
della identità ai fini della politicizzazione è sempre minacciata
dalla possibilità che l'identità divenga uno strumento del
potere contro cui si lotta. Questo non è un motivo per non usare
l'identità e non esserne usati"
Questo significa che,consapevoli del pericolo, non abbiamo altra strada
che usarla."
Accorgersi della propria diversità, nutrire dubbi sulla propria
identità, soffrire per la propria ambivalenza, giungere infine
all'accettazione e magari alla rivendicazione: questo percorso è
il primo passo, fondamentale, per ogni azione politica che cerchi di contribuire
alla formazione di una società più libera. Ed io, e noi,
crediamo che sia questo che vogliamo ?
Nicoletta Buonapace: Ci è piaciuta molto l'idea di approfondire
il tema dell'identità attraverso il "Viaggio eroico nella
letteratura lesbica" che Margherita Giacobino ha compiuto
nel libro "Orgoglio e Privilegio". Vorremmo continuare
stasera questo viaggio nel linguaggio, che noi sappiamo non essere neutro,
che noi sappiamo essere lo strumento principale attraverso cui passa la
cultura. Lo stesso linguaggio che ci ha trasmesso una immagine svalutativa
o di negazione del lesbismo.
A noi sembra che la mancanza di parola abbia connotato fino a non molto
tempo fa l'esistenza delle lesbiche, ed allora oggi nominarsi e riappropriarsi
del linguaggio è uscire dall'indistinto, cioè dal silenzio.
Non solo. A noi sembra che da quando le donne lesbiche hanno iniziato
a scrivere di sè si sia sempre più manifestata
la necessità di rompere determinate categorie linguistiche per
creare un immaginario differente da quello già esistente
Margherita
Giacobino :
Il linguaggio è stato genericamente definito " un sistema
di segni il cui obbiettivo consiste nel permettere la comunicazione".
Però noi sappiamo che il linguaggio oltre a registrare un accordo
sui contenuti del messaggio, molto spesso pre-definisce i contenuti. Questo
vuol dire che ogni parola è evocativa, ci ricorda un significato
e/o un'immagine e/o un'emozione
e ad ognuna di queste pre-definizioni-evocazioni
corrisponde una reazione.
La parola "lesbica" è ancora oggi recepita, vissuta,
considerata come un insulto. Lo sanno bene, e lo possono testimoniare,
le insegnanti.
Eppure per le lesbiche esiste ciò che io chiamo "privilegio
linguistico". Un privilegio che deriva proprio dal fatto di vivere
sul confine di due mondi, quello lesbico e quello etero. Virginia Woolf
affermava che "le donne non hanno patria". Ecco, noi lesbiche
siamo un po' come quelle persone che hanno genitori di nazionalità
diversa o che hanno dovuto emigrare per forza e questo vuol dire che spesso
quando sei in una nazione non ti senti completamente a casa perché
ti manca l'altra e viceversa.
Così è il rapporto delle lesbiche con il linguaggio, devi
conoscere quello etero perché è indispensabile anche se
lo senti convenzionale, e dall'altra parte quando ci ritroviamo fra di
noi ecco che magari le stesse parole assumono un significato diverso,
oppure sorgono nuove parole per dire cose che in quel mondo altro non
vengono nominate o accettate, un'altra realtà.
Insomma si potrebbe dire che noi lesbiche siamo naturalmente bilingue!
però
io so che la mia patria, per così dire, è là dove
ci sono delle donne che hanno elaborato e costruito qualcosa che mi ispira,
suscita il mio interesse, la mia passione, il mio amore.
Altro privilegio di noi lesbiche consiste nell'essere prepotentemente
spinte nello smascherare delle falsità.
Frasi quali: "ogni donna prima o poi si innamora di un uomo (sottotitolo:
una donna non si innamora di un'altra donna)"
Concetti che ti vengono passati come realtà universale improvvisamente
stonano alle tue orecchie, non sono a tua misura, non ti riguardano
se
tu senti che ti sei innamorata della tua amica e, per essere più
precise, il tuo desiderio ti dice chiaramente che vuoi andare a letto
con lei!
Il desiderio, che di solito insorge durante l'adolescenza, cozza contro
una serie di regole, convenzioni, tabù, e ti aiuta , tuo malgrado,
a capire che esistono vere e proprie falsità e così facendo
ti aiuta a capire precocemente chi sei, cosa vuoi, cosa ti fa star bene.
Smascherare i luoghi comuni lo considero un privilegio e, in quanto lesbiche
ci riguarda.
E per finire vorrei rivolgere un invito a tutte le persone che hanno il
desiderio di non essere parlate dal linguaggio ma parlare il linguaggio.
E mi spiego. Una scrittrice, una letterata, una pensatrice, usano il linguaggio
come la pittrice usa i colori, la scultrice l'argilla: è un rapporto
carnale.
Di più, non si arriva ad usare il linguaggio per diritto di nascita,
ma grazie ad un lungo percorso personale che ci fornisce degli strumenti
.
Ora, questi strumenti noi li abbiamo perché siamo nate e cresciute
in un mondo occidentale e abbiamo il privilegio, avendo un lavoro e una
indipendenza economica, di permetterci il lusso di pensare, parlare e
scrivere.
E allora usiamolo questo privilegio.
In questo rapporto col linguaggio il mio invito è di de-costruire,
scardinare, al limite spaccarlo, osare guardare cosa ci sta dentro e dietro
alle parole, a cominciare dal termine "normalità"
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