Rapporti di genere e eterosessualità

 

Tu limiti l’analisi degli scambi sessuo-economici ai rapporti eterosessuali : in certo modo lavori sull’eterosessualità.

Studio i rapporti sociali tra uomini e donne, l’eterosessualità come istituzione e questo secondo me è diverso. Sono contraria ad assimilare le due cose. Perché i rapporti tra uomini e donne sono rapporti di classe, l’eterosessualità potrebbe non essere, non è necessariamente in sé  (se si può parlare di un « in sé ») un rapporto di classe. Penso che si possano avere rapporti di classe anche nell’omosessualità, negli scambi sessuo-economici. E che la transazione economica sulla sessualità possa essere un elemento di potere, che si tratti di rapporti tra uomini e donne, tra due uomini o tra due donne, risulta da diversi autori. Ma il rapporto di classe non è costitutivo dell’omosessualità, dei rapporti tra uomini o tra donne : possono esserci, ci sono ovunque rapporti gay o lesbici non segnati da un rapporto di classe.  Invece il rapporto di classe uomini/donne non è qualcosa di esterno, qualcosa che può esserci o non esserci. E’ attualmente il dato costitutivo di questi rapporti, un rapporto generale che implica gli uomini come appartenenti alla classe sociale uomini,  le donne come appartenenti alla classe donne con tutto ciò che questo comporta sul piano sociale, culturale, economico, di potere ecc. E anche sul piano del sesso.

Effettivamente l’eterosessualità non sembra veramente un concetto centrale (come lo si può vedere ad esempio in Wittig che tende a elaborare un concetto di eterosessualità che articolo le diseguaglianze economiche, i rapporti sociali tra i sessi): quali sono le ragioni teoriche di questa scelta ?

Non ho ripreso direttamente Wittig, dovrei riflettere meglio sul mio rapporto con i suoi scritti. In parte si potrebbe dire che le mie posizioni non riguardano l’eterosessualità. O piuttosto, riguardano l’eterosessualità come istituzione di potere. Gayle Rubin, nel suo testo Thinking Sex (1984) scrive: « il femminismo sarà sempre una fonte appassionante di riflessione sul sesso. Tuttavia mi vorrei opporre all’idea che il femminismo sia o debba essere il luogo privilegiato per l’elaborazione di una teoria della sessualità. Il femminismo è la teoria dell’oppressione di genere. Supporre automaticamente che ciò ne faccia di fatto la teoria dell’oppressione della sessualità mette in luce una incapacità di distinguere da un lato il sesso come genere e dall’altro il desiderio erotico ». Fondamentalmente non mi sembra di avere parlato di sessualità. Ho parlato di qualcosa che certo riguarda la sessualità ma che è al tempo stesso un rapporto sociale. Non che non mi interessino il sesso, la teoria della sessualità, ma il mio lavoro è stato su altro – né l’eterosessualità né sull’omosessualità né sulle forme più o meno particolari, kinky, di sessualità o sulla possibilità di costruire altre sessualità. Non ho la competenza per trattarne e per di più non  è stato il mio centro d’interesse. Quello che ho cercato di fare è stato di analizzare la sessualità nei rapporti sociali tra i sessi, nei rapporti di genere.

E tuttavia negli scambi sessuo-economici la sessualità ha un posto assai centrale.

La sessualità ha un posto centrale: l’uso delle donne come sesso, l’utilizzazione sessuale delle donne è centrale. E, a mio avviso, lo scambio sessuo-economico è anche un nodo di potere molto importante.  Nel caso di rapporti come il matrimonio, rapporto individuale, psicologico, fisico, di vicinanza totale, abbiamo a che fare con un insieme estremamente forte. E ciò fa sì che questo rapporto di classe abbia caratteristiche che altri rapporti di classe non hanno (e al tempo stesso questo rapporto si avvicina ad altri rapporti di classe che conosciamo storicamente come i rapporti di servitù o quelli di schiavitù domestica, degli schiavi di casa). Colette Guillaumin (1978) lo analizza assai bene:  il fatto di essere « consacrate, senza contratto né salario,  […] alla cura corporea, materiale e al caso affettiva », di altre persone, « i bebè, i figli, il marito , ma anche gli anziani o i malati » cioè « l’appropriazione materiale dell’individualità », ha effetti pesantissimi : « L’individualità è una fragile conquista spesso rifiutata a una classe intera da cui si esige che essa si sciolga materialmente e concretamente in altre individualità ». Questo lavoro, obbligatorio per le donne, che implica una « costante vicinanza/responsabilità fisica » e rapporti così potenti (che essi siano di amore o di odio), segna profondamente la persona :  « scardina il fragile emergere  del soggetto […]. Quando si è appropriati materialmente si è mentalmente spossessati di sé stessi ».

E inizi anche a raccogliere materiali d’inchiesta per questo lavoro ?

All’inizio si trattava soprattutto di materiali della letteratura etnologica, in particolare africanistica. Finito il testo per Les Temps Modernes, “Du don au tarif” (1987) sono partita per il Niger. La scelta di questo terreno d’inchiesta è nata da una conversazione con Nicole Echard, amica e specialista del Niger che mi ha detto : “Ma perché non vai in Niger ? Tutto quello di cui parli là lo vedrai in maniera straordinariamente chiara, esplicita, senza coperture. Avrai un panorama di quello di cui parli, c’è l’intero continuum, le donne ne parlano liberamente...” E Nicole mi raccontava come poteva capitare, quando si trovava con una delle sue amiche di classe borghese, che un uomo arrivasse con un enorme regalo, una volta ad esempio era un lampadario di cristallo portato dall’Europa, e via di seguito… Gli amanti facevano dei regali tali  - potevano essere anche grosse somme di denaro – che alla fine la ragazza poteva aprire una boutique… E anche io, durante la ricerca sul terreno, ho potuto intervistare donne che avevano questo tipo di relazioni, di alto livello, si potrebbero chiamare cortigiane (o su un piano di pratica professionale europea forse delle escort Nota 1).  Una di esse mi mostrava le parure e i gioielli che aveva accumulato e mi raccontava come contasse proprio sui regali, sull’ “aiuto” degli amanti per costruire delle case. E tutto ciò – il fatto che le relazioni sessuali delle donne, sia nel matrimonio che tra un matrimonio e l’altro, avvengano nel quadro di uno scambio economico – viene detto apertamente. Un’impiegata mi diceva : « Ma perché andare con un uomo se non mi dà niente?  Posso sempre trovare qualcuno, ma bisogna trovarne uno che ti dia qualcosa ». Cioè sia per le donne istruite, di classe media, sia per quelle di origine popolare o ad esempio provenienti dai villaggi, tutto questo era esplicito e dichiarato : i passaggi dalla vita di moglie a quella di « femme libre » e viceversa sono ammessi, non c’è vergogna…  A certi livelli poteva essere considerato come qualcosa di negativo ma ad esempio le grandi cortigiane erano oggetto di ammirazione da parte di tutti. Era facile intervistare le donne sul loro andare e venire tra le diverse forme di servizio sessuale : quello di cui che è assai difficile parlare qui,  e soprattutto poteva esserlo 20 o 30 anni fa, là non lo era per niente.

Ti sono servite per le tue analisi le posizioni del discorso delle prostitute ?

Se mi sono servite nella costruzione delle mie analisi le posizioni elaborate nel discorso delle prostitute? Le analisi erano già fatte in gran parte, avevo già scritto il primo testo, « Dal dono alla tariffa », quando a un congresso di prostitute a Madrid (avevo da poco conosciuto Carla Corso e Pia Covre) mi è capitato di incontrare Gail Pheterson che stava lavorando alla redazione del suo libro A Vindication of the Rights of Whores (1989) in cui ha pubblicato gli atti del congresso internazionale delle prostitute del 1986 che lei stessa aveva organizzato. E ho potuto conoscere meglio le posizioni politiche delle prostitute. E ho potuto anche leggere poi il suo libro « The Whore Stigma » (1986).

Hai condotto interviste qui su questi temi come lo avevi fatte in Niger ?

No, non ho cercato di fare qui lavoro di intervista. L’Italia non è stata per me un terreno di ricerca su questi problemi. Però avevo già scritto « Du don au tarif » per Les Temps Modernes, quando ho avuto la fortuna di incontrare a un seminario in un centro femminista , quello di Via del Governo Vecchio, dove presentavo questo testo, Carla Corso e Pia Covre, le due sex workers fondatrici e leaders del Comitato Italiano per I Diritti delle Prostitute.  C’ero andata dicendomi: “Mamma mia , ho una gran faccia tosta ! Parlare di cose che non conosco per esperienza diretta ! Chissà cosa mi diranno !”  E invece erano entusiaste e siamo anche diventate amiche. Sono stata da loro in Veneto e là abbiamo parlato a lungo e mi hanno anche aiutato a preparare il mio lavoro di ricerca in Niger. L’ho scritto anche in La Grande Beffa: l’amicizia e le chiaccherate con Carla e Pia, i loro consigli sulle domande da porre alle donne che intervistavo, mi sono stati preziosi per il lavoro sul campo e hanno reso i rapporti con le karuwai  (le “donne libere” di etnia hausa a Niamey) assai più liberi e distesi. Quando le karuwai me lo chiedevano potevo raccontar loro cose del sex work in Italia dando anche dettagli. Così non c’erano solo domande a loro da parte mia ma anche scambio di informazioni.
Ho anche accompagnato Carla e Pia sul loro lavoro, mi è capitato una volta di stare nel loro camper quando lavoravano, è stato divertente ma a tratti anche assai illuminante. Ho avuto là un esempio chiaro e diretto di cosa vogliono dire quando affermano : “Noi al cliente non diamo nulla ! » Ecco, a un dato momento arriva un cliente abituale, un uomo di una certa età : « Buongiorno !” “Buongiorno, come va ?” Sale nel camper. Io ero seduta davanti, sentivo tutto. All’inizio, la donna dice : “Allora, hai venduto la tua macchina vecchia ?” “Sì”.  Lei gli dice di abbassare o aprire i pantaloni e gli da il preservativo, si sente il camper sussultare per un momento, poi lei chiede : “E quanto t’han dato per la macchina ?” In pratica sono state le sole parole scambiate.
Sul terreno, in Africa le donne mi hanno parlato molto delle situazioni che stavano vivendo, della loro vita e lavoro come karuwai , ma anche della loro vita precedente, del o dei matrimoni passati. A volte durante le interviste o in altri momenti c’erano scene di dolore, pianti… Pianti soprattutto quando si ricordavano e raccontavano della violenza con cui la famiglia le aveva costrette al matrimonio, la violenza del primo rapporto e spesso di tutto il tempo in cui erano state sposate.  Ma anche delle difficoltà presenti, dei clienti che ricevevano, degli amanti. Ho delle foto molto belle, ma ho promesso di non mostrarle. Ne ho mostrata qualcuna a un gruppo di lavoro a un colloquio della Società delle Storiche : volevo dare un’immagine di queste donne, delle persone di cui stavo parlando. A vedere i visi si ha come uno choc, si ha una specie di sbalzo percettivo : diventano degli esseri umani, non delle parole e basta, non qualcosa che esiste solo a livello intellettuale, come problema di ricerca più o meno lontano, più o meno interessante.

Quando sei entrata in contatto con queste prostitute militanti (Carla e Pia) è stato fatto un uso politico del tuo lavoro ?

Da parte loro no. Non credo che abbaino utilizzato il mio lavoro, avevano idee assai chiare e non avevano bisogno del mio lavoro per avere delle idee. Al caso ero io ad avere bisogno delle loro idee e delle loro esperienze… Loro lavoravano in strada e preferivano il lavoro di strada dove potevano guardare in faccia il cliente e vedere se potevano fidarsi o no. Per di più rifiutavano il lavoro di tipo psicologico eccetera ; non avevano nessuna voglia di dare un sostegno emotivo al cliente. Si tratta di una scelta individuale ed era la loro forma di sex work.

In Niger tu avevi quell’insieme di relazioni, in Italia parli di donne che hanno fatto la prostituzione. Hai cercato anche di avere materiali su donne non prostitute ?

No, da questo punto di vista il mio lavoro è stato piuttosto di tipo teorico. C’era già una letteratura assai vasta, era fuori questione fare ricerca sul campo su questi problemi. C’è chi può fare questi altri terreni specifici, in particolare nei paesi occidentali, non sono io a doverli fare. E’ comunque senza dubbio un lavoro assai difficile… in particolare perché non piace vedere questo rapporto economico come parte delle relazioni intime. Ma mi pare che questo sia insieme tabuizzato e noto. E capita anche a volte che donne femministe non sopportino di ammettere che vi è una realtà generale di scambio sessuo-economico. E’ qualcosa di assai pesante, forse insopportabile da riconoscere. Visto che vi è una situazione più egualitaria che in passato e che le donne hanno maggiore accesso a salari decenti, più o meno decenti, esse possono non rendersi appieno conto delle situazioni …accettare infine forme più o meno coperte di scambio. Spesso gli uomini lo riconoscono, le donne meno. Chi ha il potere sa : spesso parlando con uomini era chiaro che per loro lo scambio era un fatto assolutamente evidente. Ne discutevo un giorno con un giovane barista nel mio paesino in Toscana che tra l’altro aveva una quantità di storie con ragazze. Gli ho chiesto cosa faceva quando invitava una ragazza a passare con lui un week-end da qualche parte. Risponde che le offriva l’hotel ecc. “E se la ragazza non viene a letto con te ? » « Mi sentirei fregato, derubato !” La cosa per lui era chiara e indiscutibile ; la ragazza andava a  farsi un bel week-end, ma in cambio chiaramente doveva andare a letto con lui. E anche se al momento poteva non averne una gran voglia, rifiutare era pressoché impossibile : si tratta, sembrerebbe, di un tacito contratto. E d’altra parte è qualcosa che conosciamo bene che sia nelle nostre società europee o in varia forma altrove.
 
Ma per le donne è assai più difficile  ammetterlo?

E’ innanzitutto più difficile rendersene conto, conoscere la realtà del rapporto. Ricordiamoci il testo fondamentale di Nicole-Claude Mathieu (1985) sulla coscienza dominata. Non è chi è dominato ad avere conoscenza della dominazione, la conoscenza appartiene a chi ha il potere. O come dice Monique Wittig : “Women do not know that they are totally dominated by men, and when they acknowledge the fact, they can “hardly believe it”. And often as a last recourse before the bare and crude reality, they refuse to “believe” that men dominate them with full knowledge (for oppression is far more hideous for the oppressed than for the oppressors” (Wittig, 1992, 3) Nota 2. Certo l’idea di scambio sessuo-economico è in contrasto con la visione comune e assai ideologica del matrimonio come un rapporto esente da transazioni economiche. Basta leggere l’analisi di Viviana Zelizer (2005) sulle transazioni economiche nelle relazioni intime negli Stati Uniti per vedere con quanta energia sia stata difesa l’idea dell’ incompatibilità tra matrimonio (e altre relazioni intime) e transazioni economiche, e come nelle cause era impossibile in passato – ed è tuttora quasi impossibile – fare valutare legalmente sul piano finanziario l’insieme dei servizi domestici, riproduttivi e sessuali forniti dalla donna nel corso del matrimonio poiché la donna non aveva in passato, né ha tuttora,  alcun diritto di stabilire per contratto né di concordare la misura dei suoi servizi. Difatti un accordo contrattuale sui servizi sessuali – sia nel matrimonio che al di fuori di esso – sbatterebbe la donna dal lato della prostituzione. E l’analisi di Zelizer mostra invece come vere e proprie transazioni economiche siano presenti in tutte le forme di relazione personale: sono chiamate e qualificate però in modi diversi, (e per di più trattate in modo diverso nei processi civili).
Molte cose sembra stiano cambiando nei paesi occidentali (e con modalità diverse senza dubbio anche altrove). Ora per fare un esempio vi sono donne che parlano apertamente di rapporti sessuali che permettono loro di farsi delle vacanze o permettono altri svaghi. C’è una certa maggiore indifferenza rispetto a questo.  E in generale è ben più ammessa la pluralità di rapporti di quanto non lo fosse ancora venti o cinquanta anni fa, non c’è dubbio. Se ne parla, si ride…son cose che si vedono tutto il tempo al cinema, sono una presenza costante nel gossip. E i vari modi di incontro sulla rete, qualcosa prima di impensabile che una ragazza o donna di classe media ad esempio si metta a cercare di incontrare qualcuno, assolutamente impensabile !  C’è un grosso cambiamento nelle abitudini, una molteplicità di esperienze ammesse, cercate. E questo forse ha reso più facile per una ragazza che parte per un week-end, che viene invitata a cena e così via, dirsi : « Ma perché non ne ricavo qualcosa, non ci guadagno qualcosa? », e allora trasformare delle relazioni occasionali in servizio sessuale commerciale magari per un periodo : ci si può guadagnare certo molto di più. Il recente libro di Elizabeth Bernstein (2007) lo mostra chiaramente per San Francisco.
Tra parentesi: quello che mi ha colpito è stato che da un lato Zelizer dall’altro Bernstein mostrano questa presenza continua, costitutiva, delle transazioni economiche, l’una nei rapporti matrimoniali, l’altra nelle relazioni di sex work ma che in fondo non stabiliscano il  legame tra le due situazioni. Ma per uno studio dei rapporti sociali tra i sessi, o come si preferisce chiamarli in Italia, per i rapporti di genere è indispensabile analizzare questo legame.

 

Nota 1) Si veda la forma pubblicizzata in rete come « girl friend experience » e cfr. Bernstein 2007.

Nota 2) “Le donne non sanno di essere totalmente dominate dagli uomini, e quando prendono coscienza di questo esse « stentano a crederci”. Così succede spesso che, come ultima risorsa, di fronte alla realtà nuda e cruda, esse rifiutino di “credere” che gli uomini le dominino con piena consapevolezza (poiché l’oppressione è un fenomeno ben più orrendo per gli oppressi che per gli oppressori)”.

 

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