Rapporti sociali tra i sessi e rapporti di potere

Visto che parli di ragazze di classe media, si può porre il problema dei rapporti di classe nel tuo lavoro. Parli spesso dei rapporti di classe tra uomini e donne:  questi rapporti prevalgono sui rapporti di classe tradizionali?

 
La Grande Beffa tratta dei rapporti sociali tra i sessi, che, seguendo diverse analisi femministe, considero come rapporti di classe. Certo i rapporti di genere prevalgono sui rapporti di classe comunemente intesi: il rapporto di classe uomo/donna è trasversale ai rapporti di classe e ai rapporti cosiddetti di razza. Nell’ultimo capitolo della Grande Beffa – avevo appena letto un testo di Hammar (1992) su una situazione di miseria e di disgregazione sociale catastrofica in una cittadina della Papuasia Nuova Guinea – viene posto un problema: come mai l’uomo più povero, spesso anche nelle condizioni più miserabili, si può pagare dei servizi sessuali, mentre la donna, le donne non solo non possono pagarsi servizi sessuali ma non hanno neppure diritto alla loro sessualità? A gestire la propria sessualità? Con ciò si arriva a un altro problema fondamentale che ho cercato di sollevare rapidamente, ho semplicemente cercato di porre la questione: se le donne non hanno diritto alla propria sessualità, in che modo si arriva a questa spoliazione della sessualità delle donne. Per che vie, con che mezzi? Si pensa spesso alla violenza, al potere della costrizione, della forza. Si pensa meno a un altro aspetto essenziale delle relazioni di potere: la limitazione organizzata e a volte forzata della conoscenza. Ne parlo brevemente alla fine della Grande Beffa ma penso che sarebbe importante dedicarvi ricerche approfondite giacché questo fatto mette in discussione ancora oggi anche la cosiddetta liberazione sessuale.
Vorrei fare una digressione forse, ma su un punto che mi sembra abbastanza importante. Spesso infatti anche la semplice conoscenza da parte delle donne dei loro organi sessuali, in particolare della vulva, non è assolutamente un fatto scontato. Così nell’infanzia, nelle società occidentali, viene di solito impedito o proibito alle bambine (al contrario che ai bambini assai più liberi di giocare con il proprio pisellino) di toccare o giocare con il loro sesso, di fatto viene loro proibito di esplorarsi e conoscersi. E’ per giunta una parte del corpo che è spesso oggetto di eufemismi, indicazioni indirette. Una parte che deve rimanere nascosta al pensiero stesso. Così le donne anziane del mio paese in Toscana non nominano mai la vulva: la indicano semplicemente con un “là sotto”, “laggiù”. Le ragazze che lavorano a un peep-show di San Francisco, Lusty Lady, a gestione femminile, raccontano invece come il fatto di lavorare nude e passare del tempo nude con altre donne le ha portate a conoscere il loro corpo e avere un senso diverso di sé, un senso di “self-awareness”: “ We don’t have ‘private parts’, dismembered from the rest; they are part of the whole” (Dudash 1997). Nota 1 E questo, tra parentesi, mi ricorda l’aneddoto del missionario in Africa che faceva rimostranze perché quelli della tribù dove si trovava offendevano Dio con la loro nudità. Gli rispondono: “Ma anche te offendi Dio : il tuo viso è nudo!” “Ma è il viso!” “Per noi tutto il corpo è viso!”
E infine, come sottolineano diversi ricercatori come Bozon (1999) o Holland, Ramanazoglu e Sharp (1998), la stessa mancanza di parole da parte delle ragazze per indicare le loro pratiche sessuali è segno evidente di una situazione dove, benché alcuni elementi stiano cambiando, la sessualità non è fuori dai rapporti di potere tra i sessi, dal rapporto di dominio maschile.

Ho l’impressione che nel tuo lavoro tu usi temporalità diverse e assai lunghe – specie nel saggio sugli strumenti. Ma questo può essere un mio problema di sociologo…

Le vedi come estremamente lunghe anche perché tu poni i cacciatori-raccoglitori in un passato assai lontano. Si ha infatti tendenza a pensarli nel passato se non addirittura nella preistoria. In realtà tra le società che cito vi sono società di caccia e raccolta contemporanee (ma magari in via di rapida trasformazione o scomparsa) con strutture certo assai differenti da quelle delle attuali società europee, sono società senza stato, c’è un forte dislivello tecnico, vi si usano strumenti arcaici dal punto di vista dell’evoluzione tecnica. Usare allora l’etnologia mi sembra abbia un grandissimo interesse, e per il lavoro sugli strumenti a disposizione di ciascun sesso è stato fondamentale. Ma lo è anche nel caso dello studio sullo scambio sessuo-economico o della riproduzione: poter studiare l’organizzazione dei rapporti di potere e dei rapporti sociali tra i sessi, dei rapporti di genere, in società molto diverse tra loro permette di cogliere, mi sembra, delle costanti importanti che non sono solo legate a società o tipologie sociali specifiche. E questo può aiutare allora a definire e comprendere meglio l’oggetto specifico della ricerca.

In che senso è un rapporto di potere lo scambio sessuo-economico? Come intenderlo in questo modo? Una delle idee del libro è che tra la sessualità maschile e quella femminile vi sia insieme una differenza di statuto e di valore.

Lo statuto e il valore più o meno coincidono nel trattamento che ne fanno le società. Un rapporto di potere? Se una persona – o meglio una classe intera di persone – non ha diritto alla propria sessualità, se fin dalla nascita è destinata a entrare in un rapporto dove dipenderà da un’altra persona e in cambio del mantenimento e di una posizione di legittimità sociale dovrà dare servizi sessuali, domestici e riproduttivi, quando questa persona per di più entrerà in questo rapporto in maniera non contrattuale, ossia per essere chiari, quando questi servizi non sono oggetto di un contratto che ne definisca la misura – essi dunque non sono assolutamente quantificati – quando per di più vi è, e vi è stato in passato, la possibilità, spesso messa in atto, di costringere per mezzo della violenza questa persona a dare questi servizi, penso si possa parlare senza alcuna esitazione di un rapporto di potere. Ma il rapporto di potere è alla base dell’intera organizzazione della società. E il rapporto di potere vale anche per le forme non legittime, anche se queste si possono manifestare come forme di resistenza.
Per il momento dobbiamo constatare che il servizio sessuale delle donne per gli uomini è un fatto ovvio e indiscutibile.

Quando dici che le donne non hanno diritto alla propria sessualità si può dire che non si tratta solo di un fatto economico: la donna più ricca non ha necessariamente per questo accesso a un servizio sessuale. Ci si può chiedere: che posto ha il fattore economico nel tuo lavoro?

E’ una domanda interessante. Di fatto che posto ha l’economia ? Non si tratta semplicemente di una questione economica individuale: quel che è in gioco non è solamente il caso individuale ma un sistema.
”Hanno bisogno di questo”: che gli uomini abbiano diritto ai servizi sessuali delle donne (che li paghino direttamente o meno, che siano dati nel matrimonio o in una delle tante forme di rapporto fuori del matrimonio) è considerato un fatto ovvio, un dato di fatto. Ma una donna invece che cercasse dei servizi sessuali a pagamento (quelli di un gigolò) può essere oggetto di una certa stigmatizzazione. Un uomo no. Che sia ricco o povero la sua posizione è del tutto diversa. In ogni caso, come uomo, ne ha diritto, è qualcosa che gli spetta. Dunque anche se alcune donne si possono pagare servizi sessuali, gli effetti sociali non ne saranno certo gli stessi. Basti pensare agli scandali italiani recenti, con il presidente del consiglio, Berlusconi, che si diverte e riceve di frequente ragazze e escort nelle sue residenze: certo, tutto questo ha fatto il giro della stampa internazionale. Ma immaginiamoci un po’ il putiferio che sarebbe successo, anche per assai meno, se, al posto di Berlusconi si fosse trattato di un primo ministro donna, Angela Merkel per esempio, o, in passato, Margaret Thatcher, a fare festicciole erotiche con giovani amanti o gigolò !
Il problema è dunque più radicale. Non si può ridurlo al semplice fatto di potersi pagare o meno servizi sessuali di una o di un sex worker.  E’ che le donne devono fornire il servizio sessuale agli uomini che sia nell’ambito del matrimonio o in altre forme di relazione : lo scambio sessuo-economico riguarda  l’insieme delle relazioni.  Vi sono senza dubbio casi, rari, dove ad esempio una donna più ricca e più vecchia sposa un giovane che non possiede altro che la sua bellezza e giovinezza. Ma è fuori discussione che a livello mondiale la ricchezza sia saldamente nelle mani degli uomini e altrettanto o quasi lo è il potere. Così sono le donne a dare servizi sessuali. E quando gli etnologi parlano di pagamento, di doni o compensi per la sessualità non si fermano neppure a chiedersi perché questo funzioni solo in un senso, perché sia unidirezionale. Questa domanda proprio non ci si pone neppure.  Il servizio lo danno le donne, il compenso gli uomini. Punto e basta. E’così che sono strutturate le società.

Da questo punto di vista il tuo lavoro si pone sulla linea di quello che l’ultima inchiesta sulla sessualità in Francia chiama una visione differenzialista della sessualità : una sessualità maschile che sarebbe più una pulsione naturale, una sessualità femminile più dell’ordine dei sentimenti.

No. Mi sembra evidente che la visione differenzialista proprio non mi appartiene. Non condivido in nessun modo una visione differenzialista: una visione secondo cui “per natura” gli uomini avrebbero più bisogno di sesso che le donne, e le donne tenderebbero piuttosto a una sessualità di relazione ecc. E’ un’ideologia che tende a giustificare la dominazione, tra l’altro sessuale, degli uomini : essi avrebbero “naturalmente” più bisogno di sesso che le donne. Perciò le donne glielo devono dare. Tra l’altro, come mostra la recente inchiesta sulla sessualità in Francia (Bozon, Ferrand, Andro, 2008) “la naturalizzazione dei bisogni sessuali maschili stabilisce il loro carattere irreprimibile e giustifica per le donne la necessità di ottemperarvi per sostenere la relazione”. E questo tende a rendere accettabile e si può dire “normale” il fatto di subire una sessualità imposta. Tanto che si vede statisticamente che le donne che “considerano che gli uomini hanno per natura più bisogni sessuali che le donne riconoscono di accettare più spesso rapporti senza averne voglia”.  Accettando l’ideologia differenzialista è più facile per le donne accettare differenze economiche e di potere (e con esse lo scambio sessuo-economico). Un’ideologia che fonda la differenza nella natura è certo ben utile per la parte dominante.

Per concludere su questo punto, quando tu citi Lévi-Strauss e Malinowski, fai vedere che vi erano dei dati già ben presenti ma che non risultavano evidenti nelle analisi.

No, questo non vale per Lévi-Strauss. La sua teoria dello scambio delle donne implica chiaramente l’assenza di reciprocità dal momento che nel matrimonio la donna non è partner ma piuttosto un oggetto dello scambio che ha luogo tra gli uomini : essa non ha che uno spazio ridotto che dipenderà al caso dalla sua “disponibilità”: è lo spazio dei “servizi personali che essi siano di ordine sessuale o domestico”. Che le cose stiano così in questo rapporto di potere è dunque un dato di fatto. E Lévi-Strauss (1967) critica Malinowski che non lo capisce.
Malinowski (1922, 1929) in effetti, nella sua ricerca sulla vita sessuale nelle Isole Trobriand, pensa che le donne trobriandesi siano altrettanto disposte alla sessualità (“inclined” scrive Malinowski) e altrettanto libere che gli uomini, ma al tempo stesso gli atti sessuali delle donne sono definiti dai Trobriandesi stessi come dei servizi, e come qualsiasi servizio, regolarmente ricompensati. Ora questo per Malinowski è incomprensibile. Ma se leggiamo con attenzione la sua etnografia, se guardiamo da vicino i dettagli che lui stesso ci fornisce sui rapporti sessuali, su chi può avere l’iniziativa del rapporto, sul diritto o meno che hanno le ragazze di rifiutare una proposta, e così via, si vede bene che le cose non stanno proprio come lui vuole mostrarle: non vi è uguale libertà per i due sessi, vi è anzi una profonda differenza tra i due soggetti, tra le due sessualità. Un solo dettaglio piccolo forse ma significativo : che gli uomini possano desiderare e avere più partner è considerato normale, ma una donna che ha molti partner, ossia più partner di quello che gli uomini giudicano corretto, viene chiamata “grossa vagina sempre assetata” o con altri insulti di questo tipo. E la donna che prende l’iniziativa diretta di un rapporto viene considerata una puttana. La definizione che i Trobriandesi stessi danno della sessualità femminile come servizio dato agli uomini dunque risulta assai più corretta sociologicamente di quella dell’etnologo Malinowski: nella sessualità i due sessi non sono uguali.

 

Nota 1 “Noi non abbiamo ‘parti intime’ smembrate dal resto, esse sono parte del tutto”.

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