Rotture e resistenze

Potremmo analizzare allora le evoluzioni recenti della sessualità maschile e femminile. Con le evoluzioni della sessualità, come le rivendicazioni da parte delle donne o l’emergere delle questioni omosessuali, ci si può chiedere se vi siano conseguenze sul modo di funzionare degli scambi economico-sessuali. Vi è una evoluzione storica nelle forme di scambio sessuo-economico, o questi scambi ad esempio sarebbero oggi più contestati ?

Non mi sono posta la questione in questo modo. Bisogna evidentemente considerare le forme di scambio nelle diverse società. Ma la tua domanda credo riguardi piuttosto le società occidentali un po’ nel loro insieme. Certo vi è un’evoluzione. Lo si vede bene anche nelle varie inchieste. Quello che va analizzato con attenzione è in cosa consista questa evoluzione e come stia trasformandosi questo tipo di rapporto,  in relazione a quali fattori si trasformi e anche in quali ambienti, in quali classi. E importa anche capire come le diverse forme politiche di resistenza e di lotta (che si tratti dei movimenti delle donne, dei movimenti gay e lesbici ecc.) incidano su, pesino sui rapporti di potere e provochino delle trasformazioni.
Direi che per il momento gli scambi sessuo-economici sono contemporaneamente e più e meno contestati. E’ una situazione assai complessa e in movimento. Per quanto riguarda il matrimonio la situazione sembra molto incerta. I matrimoni sono assai instabili.  L’indipendenza economica delle donne, il loro lavoro fuori della famiglia, permette una rivolta rispetto a una sessualità che viene loro imposta o richiesta nel matrimonio. Lo si vede bene anche in recenti inchieste negli Stati Uniti. Si sciolgono la metà dei matrimoni : è un dato importante. E negli Stati Uniti come altrove il numero dei single, di persone che non si sposano, è in costante aumento.
E’ vero che alcune cose cambiano, ma in un modo o nell’altro il potere maschile è ancora ben solido. Prendiamo la situazione economica delle donne : è ben noto che tra uomini e donne permane un divario netto rispetto alla possibilità di accedere agli impieghi meglio pagati e di maggior prestigio  che sono generalmente infatti riservati agli uomini… E se questo vale per le classi medie, la ricerca, gli intellettuali, vale ancor più per le donne delle classi povere, in particolare per le migranti : vi sono infatti ancora differenze importanti di salario, di possibilità di lavoro (con spesso i lavori di servizio come estrema risorsa) e infine maggior rischio di disoccupazione.
Il matrimonio è, e soprattutto è stato, il luogo della riproduzione. Lo scambio sessuo-economico non è una scelta. E’ un dato di fatto in una situazione ben nota : quella di una struttura sociale nella quale il marito guadagna di più, possiede più beni, ha più potere, prestigio… Una prova lampante è data dalle situazioni più o meno catastrofiche (per le donne) quando vi è una separazione. Negli Stai Uniti (e senza dubbio in altri paesi) la grande maggioranza degli uomini divorziati dopo un anno non paga più gli alimenti stabiliti dal giudice, e questo anche se vi sono figli. Come non vedere allora che il matrimonio è il fulcro dello scambio ? Finito lo scambio, addio soldi. E nelle separazioni, di fatto, a rimetterci, ad essere penalizzate, e spesso pesantemente penalizzate, sono le donne: le donne che si ritrovano con meno soldi e con i figli sul groppone.
Nello stesso tempo si stanno anche trasformando gli atteggiamenti riguardo alla sessualità. Anche per le donne vi è una più ampia possibilità di esperienze sessuali. E c’è una trasformazione generale dell’ideologia verso una sessualità di disimpegno, una sessualità di tipo ricreativo. Gli stessi servizi sessuali stanno cambiando. Bernstein ce lo mostra bene per quanto riguarda gli Stati Uniti, ma si tratta di un fenomeno a larga diffusione.
Si tratta d’altra parte di qualcosa che è assai presente nelle vita delle classi medie. Direi che fa parte di quel tipo di organizzazione della vita che non richiede quasi né iniziativa né sforzo e di cui ci parla Hochschild (2003). Un’organizzazione dove tutto è sistemato, inquadrato, tutto è già previsto. Hochschild ne parla in particolare a proposito delle grandi imprese di Silicon Valley con i loro «workaholics»,  (alcolizzati del lavoro, lavoro-dipendenti) che tendono a essere totalmente assorbiti dall’impresa, a fare dell’impresa la loro casa e famiglia. E l’impresa dà loro tutto quello di cui hanno bisogno. Lavori ore e ore… hai tempo libero e l’impresa ti organizza e propone un sacco di cose : puoi giocare a scacchi, fare del tennis, puoi seguire gruppi di studio sulla Bibbia. L’impresa ti organizza viaggi o altre attività di “svago”, “tempo libero”.  Partecipi a un congresso, bene, e eccoti la tua serata di lap-dance o di altri svaghi sessuali. Sono le forme di relax già previste dalla ditta. Tu non hai bisogno di prendere l’iniziativa, di esporti a qualche rischio. Le scelte, molte delle scelte di vita, ti sono offerte, sono già determinate, senza il rischio di sorprese negative, quasi non richiedono né iniziativa né sforzo.
E un po’ nello stesso spirito troviamo delle forme di sex work: gli incontri di cui parla Bernstein, le forme di sex work chiamate girl-friend experience. Tutto vi è oggetto di una attenta organizzazione commerciale. Si tratta di una interessante trasformazione del lavoro sessuale, dello scambio sessuale contrattuale in cui ciascun elemento non è in sé necessariamente nuovo ma è attentamente costruito e calcolato sul piano organizzativo e commerciale (e chiaramente per questo Internet è un supporto formidabile).  I clienti si possono concedere un’esperienza (un servizio) più complesso e soddisfacente, un incontro di livello amichevole, affettivo. Ma la relazione ha limiti ben precisi e già stabiliti ed ogni tentativo di superarli, ad esempio la proposta della o del sex worker  di vedersi magari gratuitamente o a tariffa ridotta è generalmente rifiutata dal cliente. Il cliente evita il rischio di impegnarsi a livello psichico e affettivo o semplicemente, secondo me, il rischio di perdere il potere di scelta e decisione comunque dato dallo scambio economico esplicito.  E Bernstein definisce infatti questi rapporti come bounded authenticity, bounded intimacy  (autenticità, intimità con limiti, confini). Al tempo stesso per i sex workers è una forma di relazione che richiede un impegno considerevole sia emotivo che fisico.
Ma – e, benché tutto questo sia ovvio, è necessario sottolinearlo – siamo ancora nella situazione che ciò che cambia, ciò che si evolve, è il servizio dato agli uomini, un servizio che rimpiazza per loro il peso di un impegno affettivo con una persona. Non si tratta di una evoluzione in qualche modo egualitaria dei rapporti: sono le ragazze che offrono una  “girl-friend experience” certo ben accetta, non sono i giovani ad offrire parallelamente una “boy-friend experience”. Ci troviamo in effetti davanti a sviluppi che propongono alternative più gradevoli agli uomini, anzi per la precisione, piuttosto agli uomini bianchi di classe media.  Se diverse cose stanno ristrutturandosi e cambiando è tuttavia ancora in massima parte senza modificare i rapporti sociali tra i sessi come rapporti di classe.
Inoltre, se guardiamo più da vicino dal lato sex workers, troviamo un numero crescente di ragazze, di studentesse uscite dall’università, che hanno finito gli studi universitari, hanno conseguito diplomi, dottorati ecc. che offrono servizi sessuali occasionalmente o a volte anche come sex work regolare. E’ un fenomeno legato anche alla discriminazione sul lavoro: le studentesse, le figlie della nuova piccola borghesia, anche con alti livelli di qualificazione intellettuale, non hanno accesso ai posti di lavoro qualificati e ben pagati che toccano invece ai loro colleghi maschi. Alcune di esse decidono, o in via provvisoria o come scelta professionale, di vendere servizi sessuali come call-girl, girl-friend ecc. Vogliono potersi permettere una certa qualità di vita, avere soldi. Sono abituate anche a forme di scambio meno contrattualizzato ma effettivo – sono invitate a fare vacanze ecc.- e tutto ciò può diventare un vero e proprio lavoro anziché essere solo un regalo che arriva di quando in quando… E, nel 2005, a l’UCLA (University of California – Los Angeles ), viene costituita ufficialmente, per la prima volta in una università di prestigio, un’organizzazione di studentesse sex-workers.
Per avere una situazione economica dello stesso livello di quelle dei maschi a pari livello di studio, laurea, ecc. dunque queste ragazze, finita l’università, sono in pratica indotte a orientarsi a fornire servizi sessuali per quella stessa categoria di uomini che in effetti sono, si può dire, i loro concorrenti intellettuali. Forse la scelta di queste ragazze è facilitata dai cambiamenti degli atteggiamenti riguardo alla sessualità, ma in parte si tratta di decisioni di rivolta. Di affermazione dei loro diritti, ivi compreso il loro diritto alla sessualità, alla sperimentazione sessuale. Ma ricordiamoci che assai spesso non si tratta della loro prima scelta.

Si potrebbe dire che c’è un rapporto di lotta. Si potrebbe dire che lo scambio sessuo-economico proprio per questa struttura che descrivi è la prima forma da cui le donne  possono cercare di uscire. E’ la questione delle pratiche di resistenza in seno agli scambi sessuo-economici. Ne hai identificato qualcuna?

Le donne, è vero, possono cercare di uscirne, o ne escono. E a volte si vede che la lotta è quella di imporre una misura e un contratto esplicito a un lavoro dato senza contratto né misura. Questo può essere il caso o a volte uno degli aspetti del sex work (ne parlo in questo senso in “I denti della prostituta”).  Anche tra l’altro del sex work come girl- friend.
Pratiche di resistenza: le vediamo in tante società, comprese le società occidentali. Decidere di guadagnare soldi con la vendita di servizi sessuali, di fatto è una resistenza possibile nei confronti di una organizzazione sociale che non dà loro gli stessi diritti nella vita né le stesse possibilità di scelta di lavoro. Ricordiamoci le parole di Pieke Bierman: “La posizione della lesbica e della prostituta è uno dei più alti urli delle donne contro la società sessista. E’ un no alla sessualità obbligata, al destino obbligato per essere integrate nei rapporti sociali esistenti… la forza nel dire no consiste nel prendersi qualcosa: le prostitute prendono soldi in un commercio sessuale che normalmente avviene senza soldi. Il loro urlo parla da solo…” (Tatafiore 1984).
Ma possiamo qui pensare a  qualcosa di più profondo e complesso che una resistenza nel solo ambito dello scambio sessuo-economico.  Con le parole di Pieke Biermann infatti non siamo più nel campo definito dallo scambio sessuo-economico. Le donne considerate come puttane e le lesbiche costituiscono più precisamente un insieme definito dalla rottura e trasgressione delle regole di proprietà  sulla persona delle donne presenti nelle diverse società (Vedi “Dal dono alla tariffa”), le regole dello scambio delle donne tra uomini, base delle società secondo Lévi–Strauss, o le regole dell’”appropriazione privata delle donne” nella visione di Guillaumin. E Monique Wittig considera che il fatto di avere mostrato questa trasgressione comune ai due gruppi, prostitute e lesbiche, permette di stabilire “a link between women as collectively appropriated” e di mettere in luce“a continuum between so-called prostitutes and lesbians as a class of women who are not privately appropriated but are still collectively the object of heterosexuel oppression” (Wittig, 1992, XV) Nota 1.
Nel caso delle donne di varie società africane tali resistenze si manifestano ad esempio quando esse sono costrette a forza a rientrare nel matrimonio, sono perseguitate e cosi via. E lo stesso andirivieni tra matrimonio e vita da “femmes libres”, sex work, può essere visto come una forma di resistenza. Né il matrimonio né il sex work sono scelte del tutto libere: le donne non possono fare altrimenti. Al tempo stesso sono anche manifestazioni di resistenza. Esse scelgono un dato matrimonio che al caso considerano più vantaggioso, preferibile a una vita di vendita diretta del servizio sessuale. Ma è da notare che i matrimoni di quelle che hanno lavorato come “femmes libres” sono di durata più breve, dato che esse conoscono già una possibile alternativa: il ritorno alla vita da “donne libere”. E occorre sottolineare che il matrimonio comporta spesso un grado di violenza superiore a quello dei servizi sessuali contrattuali: questo può anche sorprendere ma è la realtà. In questi casi fuggire dal matrimonio è resistenza. Di fatto è resistenza alla famiglia, al matrimonio, al lavoro imposto. Lo dicono chiaro e tondo le “donne libere”: “non se ne parla neppure”, mi diceva una di loro, di tornare al villaggio da cui era fuggita e dove si ritroverebbe di nuovo con un pesante carico di lavoro addosso, “e in più un marito che picchia?! No no no”.

Sarebbero pratiche di microresistenza.

No, non solo. Non si tratta di pratiche solo individuali. Nella Grande Beffa ho portato vari esempi delle politiche tese a rimettere nel matrimonio le donne che ne erano uscite ed esempi della resistenza delle donne. Voglio  ricordarne due.
Nelle società africane quelle che nell’Africa francofona vengono dette “femmes libres” o “free women” nell’Africa anglofona, sono state periodicamente costrette con la violenza a rientrare nel matrimonio: ad esempio in Ghana e in Nigeria, negli anni 30 e successivamente, negli anni 1960-70 ad esempio, a seguito di editti delle autorità, esse venivano imprigionate e date come spose a metà prezzo (come “second hand wives”, “mogli di seconda mano”) a qualsiasi uomo volesse prenderle e impedire loro di continuare le loro riprovevoli attività. Da ricordare che “donne libere” sono sia quelle che fanno forme di sex work che altre, ad esempio donne commercianti, non sposate. Qualsiasi donna infatti doveva essere sotto il controllo di un uomo. E le donne cercavano continuamente di sfuggirvi. Infatti passato un po’ di tempo le donne lasciavano questi matrimoni o altre soluzioni trovate per proteggersi dagli editti e tornavano alla vita da “femmes libres”. Si tratta chiaramente di forme di resistenza.
Altro esempio: le leggi contro la prostituzione nella Cina popolare degli anni ’50. Il bel libro di Gail Hershatter (1997) sulla prostituzione a Shanghai lo racconta bene. Le prostitute sono, per prima cosa, internate in centri di rieducazione, poi, alla loro dimissione sono restituite ai loro mariti o, se nubili, le istituzioni cercano di darle in matrimonio.
Ci vorrebbero più studi sulle diverse forme di intervento politico contro le donne in qualche modo “transfughe” rispetto alle regole di base del potere maschile e sulle resistenze delle donne. Resistenze che possono prendere molte forme come quelle di uscire dal matrimonio dandosi alla fuga, anche ripetutamente (ne ho diverse testimonianze anche per il Niger) o anche, come attualmente avviene spesso, emigrando. Per questo motivo ho parlato nel mio libro della storia delle “donne libere” africane, delle prostitute d’Africa e di altri continenti, come della storia, difficile e complessa, di una resistenza.
Ma tu volevi parlare di resistenze collettive o individuali?

Di ambedue: nel caso della famiglia o del matrimonio, la questione della resistenza collettiva è difficile da porre.

E’ difficile da porre ma i casi che ho appena citato mostrano già chiaramente la presenza di resistenze che sono insieme individuali e collettive. E bisogna considerare che in Francia, negli Stati Uniti e altrove la metà dei matrimoni si sciolgono. Non è certo sempre pensabile che si tratti di resistenza: una parte dei matrimoni si sciolgono perché magari marito ha trovato un’altra, spesso una ragazza più giovane, o per altri motivi. Ma molte donne non accettano più la situazione familiare, bambini, lavoro, casa… C’è una sessualità che tende a essere un po’ più libera, mi sembra: anche le ragazze, sia nei paesi occidentali che altrove, tendono a avere più esperienze. In Europa o in America il matrimonio non è più il luogo della prima esperienza sessuale, e anche questo lo rende meno rigidamente definitivo. E anche le donne, non solo gli uomini, possono cercare altri partner o scegliere la vita da single.

La tua analisi si basa sul fatto che le disuguaglianze sono al centro degli scambi sessuo-economici…

Sì, sono alla base degli scambi sessuo-economici e nello stesso tempo gli scambi sessuo-economici sono il cemento del potere maschile, un potere, per così dire, blindato…
L’organizzazione dei rapporti di scambio sessuo-economico. Riprendiamo un caso, quello di Nisa (Shostak 1983). Nisa è una donna di una popolazione di cacciatori raccoglitori del deserto del Kalahari in Namibia, i !Kung.. Ne parlo nella Grande Beffa per mostrare come lo scambio sessuo-economico faccia parte di un saldo intreccio strutturale. E come ne sia un elemento determinante.
Nisa assai giovane, di fatto ancora una bambina, apprende che verrà presto data in sposa, dovrà accettare un marito: se prima le dava da mangiare suo padre, ora sarà lui, il marito, a procurarle il cibo, le cose indispensabili per vivere, in primo luogo la carne, I prodotti della caccia ai quali le donne non hanno altrimenti accesso. In cambio lei gli deve riconoscenza, gratitudine e rapporti sessuali. E Nisa, nonostante una lunga resistenza alla fine sarà costretta, in primo luogo con la violenza, ad accettare la sessualità che le viene imposta, ad adattarsi ad essa.
In numerose società le donne dipendono da un uomo per avere accesso alle risorse indispensabili per vivere. Questa dipendenza è legata alla divisione sessuale del lavoro: le donne non hanno strumenti e in particolare non hanno accesso alle armi (e questo nel nostro caso, il caso dei !Kung, vuol dire non potere cacciare). Ne parlo nel testo “Mani, strumenti, armi” (Tabet 1979). Allora metti insieme in una coppia, come nella società nel suo insieme, divisione sessuale del lavoro, scambio sessuo-economico, sessualità e riproduzione e hai l’intreccio potente che costituisce la struttura di base della dominazione degli uomini sulle donne.
Ora è chiaro che nelle società occidentali attuali le cose non sono proprio così. E tuttavia…

Tu usi nel tuo libro l’espressione “eterosessualità entusiasta”…

Bè, eterosessualità “entusiasta” non è proprio una mia espressione! E’ l’inverosimile formulazione di un etnologo (Gregor 1985) che ha studiato una popolazione dell’Amazzonia, i Mehinaku. E’ piuttosto un altro esempio assai parlante (ma ce ne sarebbero tanti) del rapporto tra divisione sessuale del lavoro e scambio sessuo-economico obbligatorio, si può dire. Si tratta magari di una eterosessualità entusiasta, se la si vuol chiamare così, ma solamente da parte degli uomini, in una popolazione dove lo scambio è assolutamente dominante e continuo. Oggetto predominante dello scambio sono i pesci che le donne stesse non possono pescare. Infatti la divisione del lavoro tra i sessi non permette alle donne , né in questa popolazione né in altre, di accedere a una larga parte delle proteine, carne, i pesci più grossi, perché non possono usare né le imbarcazioni né le armi. Possono acchiappare solo piccoli animali. Ma la caccia, l’accesso dunque al nutrimento più consistente, più ricercato è pressoché totalmente appannaggio maschile nella maggior parte delle società (rimando ancora all’analisi della divisione sessuale del lavoro fatta nel testo “Mani, strumenti, armi”). Sono gli uomini che hanno a che fare con le armi, comprese le armi da caccia, e sono gli uomini a usare i mezzi più efficaci e tecnicamente avanzati per ciascuna società, come, nel nostro esempio, le barche da pesca. E le donne per avere accesso a questo genere di cibo non hanno che una soluzione: il servizio sessuale nel matrimonio e/o fuori del matrimonio. Nota 2 Che questo ricercatore sia arrivato allora a parlare per i Mehinaku di una eterosessualità entusiasta per me è assolutamente sorprendente, E’ una popolazione dove lo stupro collettivo costituisce per le donne una minaccia permanente, dove una parte consistente delle relazioni sessuali viene ottenuta trascinando per il braccio la donna nei cespugli, una popolazione dove le donne non conoscono l’orgasmo né altra forma di rapporto al di fuori della penetrazione. Nota 3 E questo autore parlando di un caso di incesto tra padre e figlia scrive che questo non poneva nessun problema “almeno non per il padre”! A volte c’è da domandarsi che diavolo sia l’etnologia, ma questo del resto vale per tutta la ricerca, sociologica o altro. Ci sono certo cose assai più serie. Ma sulle questioni dei rapporti tra i sessi è anche troppo facile avere una visione assai “personale” per così dire, e come in questo caso una visione che direi totalmente della parte dominante.

 

Nota 1 “ un legame tra donne in quanto collettivamente appropriate” e di mettere in luce “ un continuum tra cosiddette prostitute e lesbiche come classe di donne che non sono appropriate privatamente ma sono ugualmente oggetto di oppressione eterosessuale” .

Nota 2 “Le donne usano  la loro sessualità per assicurarsi cibo e aiuto, dando in cambio rapporti sessuali” (Gregor 1985: 33). E Gregor conta 88 relazioni extraconiugali (in corso al momento della ricerca) in una popolazione adulta di 20 uomini e 17 donne.

Nota 3 Tutto questo risulta dal testo in questione.

 

 

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