Ma quale storia?
di Liliana Moro



Hanno destato allarme le iniziative della Regione Lazio, della Provincia di Milano e di altre amministrazioni, volte a favorire la pubblicazione di testi scolastici di storia con contenuti graditi alle maggioranze politiche di questi enti e ad attaccare testi scolastici che le stesse forze politiche non apprezzano. Giustamente il dibattito è stato vivace e preoccupato per il forte puzzo di totalitarismo emergente da queste delibere. Autorevolmente (un nome per tutti: Claudio Pavone) si era già ricordata la doverosa distinzione tra ricerca storica e interessi politici e si è denunciato il fatto che da tempo, ormai, la politica spicciola, la chiacchiera dei politici ha colonizzato la storia e ne ha fatto un campo aperto dove scorrazza impunemente afferrando termini che stravolge ai propri fini senza alcuna attenzione ai dati di realtà, a quanto è scientificamente accertato.

Ma ora la macchia si allarga e coinvolge anche la scuola. Ogni insegnante di storia si sente improvvisamente sotto i riflettori dell'attualità. Ciò avviene dopo anni di dimenticanza e di marginalità di una disciplina che nessuno sembrava prendere sul serio: non gli studenti, che in maggioranza la collocano tra gli insegnamenti più serenamente e apertamente odiati, non l'amministrazione scolastica nel definire tempi e struttura del suo insegnamento, nemmeno molti docenti che la insegnano per puro dovere e in funzione di altre materie (italiano o filosofia).

Ma questa vicenda suggerisce un'ulteriore riflessione; da decenni, in Italia l'insegnamento della storia è svolto in maggioranza da insegnanti donne: perché non è mai sorta l'esigenza di insegnare una storia in qualche modo 'gradita', una storia corrispondente agli interessi culturali e al punto di vista delle donne? Quante insegnanti hanno cercato di mostrare agli studenti e alle studentesse la presenza delle donne e delle loro iniziative nella storia? Da decenni ormai gruppi di insegnanti nella scuola e storiche nelle università hanno lavorato su questo tema, ma si tratta di una combattiva minoranza. Perché tanto a lungo le donne docenti hanno accettato una lettura dei fatti, un ordine di priorità, come quelli presenti nella stragrande maggioranza dei manuali scolastici, che sono lontani dalla sensibilità e dall'esperienza femminile? Da dove viene questa capacità di trasmettere contenuti e metodi senza vagliarli, senza interrogarli sulla base del proprio personale sapere e del proprio profondo convincimento?

Domande tanto più urgenti ora, quando ci si trova di fronte all'opposta arroganza di chi, in nome di una convinzione ideologica o un tornaconto personale (attaccare testi scolastici crea consenso e porta senz'altro voti) non esita a negare l'evidenza dei fatti e a organizzare commissioni di censura.