Più spazio alle scienziate italiane

di Umberto Veronesi

 

Figlie di Minerva o figlie di un dio minore? Nella giornata AIRC della Azalea della Ricerca, collegata alla festa della mamma, viene spontanea una riflessione sui ruoli femminili che accompagnano oggi quello ancestrale e meraviglioso di madre.

Proprio nel campo della ricerca esiste innegabilmente quello che io chiamo "maschilismo scientifico", la cui tesi è molto chiara: le donne sono brave, ma è meglio che non facciano carriera. "Figlie di Minerva" è il titolo del primo rapporto pubblicato in Italia sulla carriera femminile negli enti pubblici di ricerca, che dimostrò che se nella antica Roma la scienza era donna (Minerva, o Atena, dea delle scienze e le lettere nacque direttamente dal cervello del Re dell' Olimpo), nella Roma moderna sembra essere vero il contrario: la scienza è dell' uomo e le donne sono figlie di un dio minore.

Bastano alcuni dati per capire il livello di discriminazione: la percentuale dei neoassunti del personale di ricerca nel triennio 1995-1998 era formata per il 63% da uomini e per il 37% da donne. Nei pochi casi in cui le donne hanno una parità o un lieve vantaggio al momento dell' assunzione (nelle discipline sociali e biologiche), già al secondo gradino di carriera sono superate dai colleghi maschi e il divario fra sessi si fa sempre più ampio a mano a mano che si sale nella scala gerarchica: in totale le donne non superano il 7% di presenza nei ruoli dirigenziali ai vertici della carriera scientifica.

In dieci anni di campagne e promesse di pari opportunità , in base all' ultima ricerca effettuata da Observa "Donne e Scienza 2008", la situazione non è sostanzialmente cambiata. Le donne ancora non sono presenti nei ruoli chiave dove si decide la strategia di sviluppo scientifico: poco più di un una su dieci fa parte dei comitati scientifici, contro tre su dieci nel Regno Unito e quasi cinque su dieci in Norvegia.

Inoltre l' Italia è uno dei Paesi in cui le ricercatrici guadagnano meno rispetto ai colleghi maschi: in media un donna scienziato guadagna il 33% in meno di un ricercatore e dunque noi rimaniamo il Paese in cui la differenza di stipendio fra sessi è maggiore, superati in questo solo da Estonia, Israele, Portogallo e Repubblica ceca.

Eppure le donne sono davvero brave in scienza. Spesso più degli uomini. Io le vedo nei laboratori ogni giorno. Sono determinate, costanti nell' impegno, concentrate sugli obiettivi e hanno grande spirito di squadra. Uniscono al rigore del metodo, l' intuizione tipicamente femminile che dà loro la forza di perseverare, sempre.

La mia non è una semplice opinione personale. L' Italia ha, secondo l' Unesco, la percentuale più alta in Europa di donne iscritte facoltà scientifiche (49%, su un totale di 57% di universitarie). Inoltre fanno registrare meno abbandoni e ottengono la votazione massima con frequenza maggiore. E non sono solo brave a studiare.

Ad un recente bando europeo per giovani ricercatori scientifici, tra le circa 700 proposte di progetto ritenute più valide, il 12%, vale a dire 70 progetti, erano di giovani italiani, la più alta percentuale in Europa. Di questi 21 erano di ragazze ricercatrici, che sono così risultate prime assolute in Europa, davanti alle Francesi e alle Tedesche. è evidente che abbiamo in Italia una straordinario patrimonio di menti femminili che chiede solo di essere sfruttato per il bene di tutto il Paese.

Ora non dobbiamo deluderle, e dobbiamo fare il modo che non cerchino uno sbocco di carriera in Paesi meno maschilisti, per poi ritrovarcele, con un certo stupore, sulla copertina del Times, come è successo qualche tempo fa per l' astronoma Sandra Savaglio. Gli strumenti ci sarebbero. Ad esempio proprio l' AIRC nel giudicare i progetti da finanziare tiene conto anche degli anni in cui le ricercatrici si dedicano alla maternità e alla cura dei figli, permettendo così alle mamme-scienziato di mantenersi al passo con gli uomini. Ha inoltre inserito nei bandi una particolare policy che giustifica assenze dovute a cure parentali o maternità prolungate.

Quello che manca non sono i buoni modelli, ma la coscienza e la volontà. La coscienza del fatto che nulla potrà invertire il corso di una l' evoluzione sociale che va verso l' era della donna e la volontà di superare i retaggi culturali e le paure antiche per valorizzare concretamente il ruolo femminile in tutti campi in cui già da anni dimostrano una parità, o addirittura una superiorità, rispetto agli uomini.

 

Repubblica — 10 maggio 2008