Vicky Franzinetti
Ci sono più modi per escludere le donne dal mercato del lavoro retribuito o discriminarle. I più comuni sono:
Mentre i primi tre sono ampiamente studiati nel mondo occidentale, negli ex paesi sviluppati ora in declino, il quarto è raramente preso in considerazione se non, che io mi ricordi, in qualche dibattito sul lavoro notturno e sulla interdizione di fatto della notte a molte donne (riprendiamoci la notte) tenutosi negli anni novanta del secolo scorso. Indirettamente la questione viene affrontato nella teoria delle capabilities, quando la Nussbaum e Sen danno l’esempio di una vedova che può morire di fame in alcuni paesi perché non le è permesso andare a ritirare la pensione da sola (ovvero se non accompagnata da un parente maschio) e quindi può essere ridotta alla fame nonostante il diritto alla pensione, perché non lo può esercitare. L’esclusione di fatto è diversa da quella di legge, soprattutto quando un paese è governato dallo jus religionis (il diritto definito in base alla religione), cosa che si profila nella maggior parte del nord Africa: con un colpo di libro sacro si può risolvere il problema della disoccupazione maschile, soprattutto quella dei giovani maschi, escludendo le donne (soprattutto le giovani donne) dal mercato del lavoro. Ovvero il ‘problema della disoccupazione’ viene ridotto a ‘esclusione delle donne’.
Se è vero che il tempo dona l’indifferenza alla causa degli eventi, ovvero che la causa dei fatti storici viene oscurata dal fatto stesso, ciò che è soggetto a discussione è l’interpretazione del fatto e non delle sue cause: col tempo abbiamo la certezza del risultato (ovvero di quello che è successo) e discutiamo come debba venire interpretato, che cosa significa. Ne consegue che possiamo solo interpretare il passato e ‘profetizzare il futuro’ (in politica si dice prevedere). Quando si parla di ciò che succederà in futuro invece a volte si impone uno schema predefinito e lo si estende: vorrei evitare di mettere uno dei tanti abiti ritagliati dal passato a ciò che avverrà, anche perché penso che nella situazione attuale il passato non sarà necessariamente maestro per il futuro, siamo confrontati con dei cambiamenti epocali. Prevedere è sempre rischioso perché presuppone processi lineari, che continuino nella stessa direzione senza cambiamenti di stato o plateau. In altre parole, se noi non sapessimo che l’acqua bolle potremmo ragionevolmente prevedere che diventi sempre più calda, all’infinito, senza cambiare mai di stato, senza bollire. Né il fatto di sapere che l’acqua bolle a 100°C ci dice con certezza che tutti i liquidi bollono a quella temperatura (infatti non è cosi). Come se pensassimo che la caduta tendenziale del profitto possa arrivare a reddito zero senza che succeda qualcosa che sia l’equivalente della rottura di un equilibrio per assenza di cibo, reddito, per umiliazione o ricchezza, e senza sapere quale possa essere la reazione (implosione, rivoluzione etc). Da molto tempo si discute dello jus soli e dello jus sanguinis, ovvero se il diritto nasca dal territorio (e quindi dalla sua rappresentanza -jus soli) o per eredità (jus sanguinis e quindi non in base alla rappresentanza ma all’origine e alla comunità). La discussione per esempio ha riguardato i diritti di cittadinanza dei figli e delle figlie degli immigrati nati in Italia: vale lo jus soli e quindi sono italiani (o anche italiani) o lo jus sanguinis e quindi hanno la nazionalità dei genitori? A me pare che attualmente stia rifacendo capolino lo jus religionis, ovvero che in qualunque parte del mondo ci si trovi si pensa di poter rispondere ai dettami, di credi della religione propria per nascita o scelta. Mi pare anche che in nome di un mal posto rispetto per tutte le credenze (e quindi di nessuna perché rispetto identitario e non di contenuti) molti e molte accettino passivamente qualunque aspetto delle religioni (sopratutto quelle degli ‘altri’), nonostante le stesse persone siano scese in piazza contro quella dominante del proprio paese. Questioni legate al diritto di famiglia – ovvero poligamia, MGF, divorsio, alimenti e diritto ereditario, fanno la parte del leone giuridico. Quindi non più cuius regio eius religio (di chi è il potere, di lui sia la religione) , ma cuius religio, eius regio (di chi è la religione, di lui sia il potere, o meglio risponda alla sua religione) , ovvero che la definizione del luogo viene in base alla religione. una variante del diritto legato alle tradizioni (per definizione legate al passato e non al futuro). In un mondo globalizzato questa inversione tra spazio e tempo si sviluppa con maggior agio, ma i risultati possono essere paurosi. Potrebbe portare ad uno smembramento del diritto territoriale senza che vi sia stata una definizione de-territorializzata del diritto. E’ lecito comprare o vendere esseri umani se lo prevede una religione, o considerare inferiori le donne? Le religioni hanno lo spazio che si danno, se non limitate da uno stato, e quindi se si estendono, sconfinano, non esiste più uno spazio definibile come spazio pubblico laico in cui nessuna religione può governare. Per la destra religiosa si tratta di aprire uno spazio per le religioni, definendone i confini, o sostenendo il prevalere della propria (cattolicesimo in Italia, cristiano- ortodossi nell’est europeo e islam nei paesi a maggioranza islamica, ebraismo, shintoismo, induismo e buddismo dove sono maggioritari). Per la sinistra occidentale la difesa dell’invadenza religiosa negli spazi pubblici è spesso fatta in nome della difesa della differenza, non di un contenuto specifico, ma dell’idea della differenza come valore in sé. In pratica questo atteggiamento porta a non applicare alle religioni degli ‘altri’ gli stessi limiti di spazi laici per cui è morto Giordano Bruno e per i quali molti e molte di noi hanno lottato. La differenza priva di contenuti è l’incapacità di coscienza di sé, il riconoscimento che l’altrui credenza o legge ‘è’, mentre quella di chi parla è solo contenuto, senza reciprocità. Vuol dire non trovare strano, ma solo ‘culturalmente specifico’, che la laicità o lo spazio di altre religioni possano essere scarsamente rispettate nei paesi del nord africa o del medio oriente. E’ uno slittamento semantico dovuto ad una deformità del concetto di alterità, e, come dicevo, se la religione è ‘altra’ diventa accettabile, o perfino auspicabile, accettarne qualunque aspetto indipendentemente dal contenuto. Un processo di questo genere porta poi inevitabilmente ad un relativismo privo di contenuti , una sospensione del giudizio sulla religione e la cultura altrui e quindi contribuisce come reazione anche allo sviluppo e rafforzamento della parte conservatrice delle religioni ‘autoctone’ (cattolicesimo in Italia o ebraismo ortodosso in Israele, islam nel nord africa o in alcuni stati del MO, dove le religioni prevalgono sullo stato laico). Guardando i paesi del Nord Africa dopo che è passata la primavere e ci avviamo ad un lungo inverno di crisi vedo un blocco solido di vittorie islamiche (con vari gradi di ortodossia, dai moderati sunniti agli shiiti, salafiti e waabiti). Quando parlo di queste mie preoccupazioni, qualcuno/a mi dice: ‘Ma da noi c’era la DC’, dimenticando forse che per 40 anni l’abbiamo combattuta ed abbiamo sostenuto l’importanza di uno stato laico o per lo meno cavourriano (in base al principio libero stato in libera chiesa). Per esempio il governo Monti sarà forse necessario, forse, ma non mi dimentico che è fatto da banche e chiesa, forse l’unico modo per battere la mafia del precedente. Qualcun altro mi dice:’Sarà come per i partigiani, loro hanno lottato e poi però la gente ha votato la DC’. Forse, forse si vota la sicurezza, forse non c’era mai stata e non c’è una maggioranza di militanti. Troppi forse. Un tempo la chiamavamo maggioranza silenziosa. Comunque chi vota ha maggiori responsabilità di chi subisce la tirannia, anche quando le donne votano contro quello che, a mio parere è il loro interesse o la loro emancipazione (che porta alla differenza tra donnismo e femminismo). Forse dovremmo pensare/pensarci, interpretare almeno il passato. Lo stesso mi si dice a proposito del velo: ’Lo portano anche le suore’, ed io rispondo ‘Appunto’. Appunto perché non mi entusiasma e l’ho combattuto, ma per lo meno il messaggio è di donne che si sono ritirate dalla vita terrena e si sono ‘sposate con Dio’. Diceva Nawal al Saadawi, in una sua conferenza del 2009-10 a Torino qualche anno fa che il numero di donne velate è un indicatore del numero di donne che sotto il velo saranno mutilate (MGF). Poiché lo jus religionis a differenza dello jus soli è una verità divina e non terrena, nel senso che non basta un’altra elezione per decidere che Dio non è né il metro di misura né il parametro di legge, né il motivo per cui le donne possono essere velate e mutilate, escluse o marginalizzate dal mercato del lavoro, ridotte a perenni minorenni (non perché come l’ex premier si scelgono minorenni, ma perché per sempre minori anche se anziane). Questo diventa particolarmente problematico nel caso di non interpretabilità, dovuta alla presenza di dogmi o di testo-verità. La legge è un atto umano illocutorio, ovvero esiste se pronunciata, se scritta, se detta, e rappresenta in teoria per lo meno, la decisione della maggioranza sulle regole che ci governano. Nelle opportune sedi (parlamento, tribunali) è cambiabile, emendabile. Tuttavia, se la legge diventa divina (come per esempio l’aborto per i cattolici, la sharia per l’islam o la letteralità del libro per ebrei ortodossi o protestanti fondamentalisti) diventa verbo di un dio, un atto illocutorio divino (forse per alcuni tutti gli atti divini sono illocutori, ma questo aspetto lo lascio da parte). Se invece del luogo (jus soli) cominciassero a contare gli jus religionis, una persona verrebbe forse giudicata in base alle proprie credenze, in uno scorporamento o disancarnazione globalizzata? Vuol dire forse che la poligamia non sarebbe illegale se la persona vi crede? E se io mi inventassi una religione per cui le donne sono superiori, castro i maschi un po’ ribelli e gli altri li uso per diletto e riproduzione? Lo renderebbe forse legale? Potrei chiedere l’8 per mille? Ma invece perché la clitoridectomia o le mutilazioni genitali femminili sono ‘culturizzabili’? Le donne sono diventate nuovamente, o sono sempre state se non per attimi brevi, merci di scambio tra maschi, per usare le parole di Luce Irigaray. Manca uno spazio laico, anche tra donne, ma in generale di tipo societario in cui queste ‘verità’ possano/debbano essere interpretate, in cui valgano i principi della rappresentanza terrena e non divina, in cui sia lecito ingaggiare una battaglia politica per far prevalere le proprie idee, in cui le battaglie politiche sono vinte o perse. Ci deve essere un ambito di discussione politica, un’arena, che si collochi tra la sicumera di aver detto 40 anni fa a donne che avere 8 figli le rendeva schiave e la sicumera di dire adesso che 8 figli sono la loro cultura. Deve esserci un luogo in cui anche le donne sono individui e non solo membri di comunità o religioni, in cui non si sia tornate a vedersi dietro l’ombra dell’uomo. Forse la regressione in atto è un modo per affrontare la globalizzazione, ma anche se cosi fosse non la trovo divertente, la trovo umiliante: a poche donne (e qui mi avventuro nella profezia) sarà permesso di realizzarsi nel lavoro, cosi come era permesso alle madri badesse un tempo, a molte di pulire pavimenti (propri o altrui) , a tante di ricercare la propria identità all’ombra della comunità di nascita (o anche di scelta). Mentre si chiudono gli spazi per le donne sulle due sponde del Mediterraneo, gli uomini stanno a guardare, osservando come l’emigrazione permetta la ridefinizione di una borghesia che si era in parte sdefinita, incapace di riprodursi culturalmente. Tornano le religioni, i/le benpensanti rendendo terribilmente attuale Balzac, con le mogli e le amanti, i mariti e gli uomini con cui ci si diverte, nel vuoto delle idee e di spazi pubblici, dove solo il conformismo riempie lo spazio e il contenuto o sentimenti si lasciano agli adolescenti. Ci si potrebbe anche chiedere che cosa ha voluto dire che noi – le donne che furono giovani alla fine degli anni 60- di figli ne abbiamo fatti pochi o nessuno, ovvero che abbiamo causato l’invecchiamento della popolazione. Ovvio no? Dalle lamentele che sento spesso alzarsi quando nullipare attempate dicono con un sorriso: ‘Eh ma loro sono una società giovane non vecchia come noi (sottintendendo, vecchia decadente etc). Certo, basterebbe che le giovani donne, le nostre nipoti, cominciassero a fare tanti figli dai 16 ai 40, per poi morire a 60 che la società ringiovanisce nel giro di una generazione. La decisione individuale – ma di massa- di non fare figli o di farne pochi e magari tardi fu una decisione di libertà, di voler lavorare, vivere, di non essere legate ai pannolini e quindi al maschio con cui si sono generati gli otto allegri pargoli. Tuttavia azioni come quelle, ovvero la scelta di autonomia (in tutte le classi sociali) di maggiore libertà ha delle conseguenze quando è presa da cosi tante persone. Una per esempio è che la società invecchia. Certo, se ci fossero stati più servizi, se fare figli non fosse stato cosi penalizzante, invece di un figlio forse ne avrei fatto un altro. Forse. Siamo una società più vecchia e quindi più conservatrice. OK. Abbiamo bisogno di più servizi alla persona, ovvio. Ma le donne, le native, sono più libere. Non è poco. Ma a che prezzo? Gli uomini hanno scaricato il lavoro domestico sulle donne e le donne native sulle immigrate quindi le giovani adesso possono fare più figli se hanno il reddito che permette una colf. Le donne giovani negli anni 90 del secolo (e del millennio) passato possono contare su nonne sane anche perché invece di aver avuto 8 figli e condizioni di lavoro paurose, hanno avuto forse uno e due figli, buone pensioni e quindi sono nonne attive, cosa che la generazione prima si sognava e quelle dopo non potranno fare per lavoro. Conta anche lo scarso numero di figli: ci si può occupare appieno dei nipoti di 1-2 figli/ie, provate a fare la nonna dei figli di otto figli (o anche della metà considerando i consuoceri). Pochi figli, qua come in Cina, ha portato ad un’accumulazione di capitali (4 nonni che lasciano a due figli che lasciano a 1.2 nipote, un accumulo quasi primitivo) che difficilmente si ripeterà. Tale concentrazione di capitale ha permesso acquisto o proprietà di beni immobili e di istruzione come non mai prima, ed adesso questi genitori dovranno educare i figli ad avere sempre meno. Di ciò non possiamo lamentarci. E’ il risultato, il prezzo delle nostre scelte di libertà. Le religioni si stanno ridefinendo in base al controllo sulle donne (cioè in base a come sono definite le donne) e sulla definizione degli spazi pubblici e privati: per esempio se una donna non deve stare nello spazio pubblico perché causa vergogna (più frequente nelle tre religioni del mediterraneo, e anche nell’induismo), oppure se le donne possono stare nello spazio pubblico ma solo con alcune regole (più comune nel nord Europa e paesi di cultura anglosassone), se siano tradizionalmente merce (come era in Cina prima della rivoluzione e in passato nell’africa sub sahariana) etc. La reintroduzione dello jus religionis fa parte a mio parere di una ridefinizione degli spazi e della divisione della ricchezza nella globalizzazione, e questo porta ad una ridefinizione delle donne come parte della ricchezza maschile, con la complicità di alcuni strati di donne che pensano di trarne un vantaggio individuale. L’allargamento dei confini o il cambiamento di dimensione spesso portano ad una reazione di ricerca di purezza. Come diceva in una conferenza Stefano Levi Della Torre a proposito del 1492 e della purezza del sangue mettendo in rapporto la scoperta europea dell’America e l’editto di Isabella che portò all’espulsione degli ebrei, allo stesso modo io vorrei sostenere che la globalizzazione sta portando ad una spinta per la ‘purezza’ o il maggior controllo sulle donne. Come se la definizione dei confini, della produzione richiedesse un contrappeso.
La critica femminista degli anni 70 e 80 portò alla messa in discussione del punto di vista esclusivamente maschile, proponendo il dualismo (i due punti di vista) : oggi con la moltitudine dei punti di vista in realtà si è andata formando una multipolarità da cui emerge però il punto di vista maschile. La maggior parte delle donne non hanno avuto il coraggio di sostenere che in realtà era solo il punto di vista delle donne che andava assunto per poter essere efficace, perché non si diluisse in un mare di differenze.
Nella ridefinizione dei confini, delle gerarchie internazionali (il rapidissimo declino dell’occidente con il sorgere della Cina e dell’India), sta avvenendo la riorganizzazione di quel che un tempo si chiamavano rapporti di classe (ora più cortesemente noti come rapporti sociali) all’interno dei vari paesi. Per quel che riguarda i rapporti sociali in un paese come l’Italia la riorganizzazione si incrocia con l’immigrazione, e le donne immigrate svolgono una parte dei lavori (precedentemente ed in parte ora nuovamente svolti gratuitamente da donne italiane) di cura e di servizi sessuali, ovvero colf, badanti e prostituzione. In un paese in declino come il nostro, le soluzioni individuali, ossia la sostituzione individuale alla mancanza dei servizi sembra essere una caratteristica costante. Come detto, aumenta, soprattutto nei paesi del mediterraneo, il controllo sulle donne tramite le religioni, un processo spesso descritto (e vissuto) come scelta volontaria delle donne stesse, vittime di quello che in altre epoche avremmo chiamato egemonia dell’ideologia religiosa, ma che ora siamo incapaci di descrivere. Aumenta, come detto, l’uso delle donne per risolvere problemi di disoccupazione maschile (e femminile), aumenta l’uso della forza lavoro gratuita per gestire il declino dello stato sociale, diminuisce l’uso della forza lavoro femminile retribuita.
2-01-2012
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