Marta Boneschi, La donna segreta

Liliana Moro


 

 

Donne nel Risorgimento: ci sono o non ci sono?
Il dibattito che si è sviluppato attorno alla scadenza dei 150 anni, pone questioni da sempre aperte nella storia delle donne. A tutta prima si osserva la palese assenza di figure femminili di rilievo in un evento o in un fenomeno, come il Risorgimento, appunto, di cui si sa fin dai banchi di scuola che è stato fatto da Garibaldi, Cavour, Mazzini, il re Vittorio Emanuele. Tutti uomini. Naturalmente.
Poi accade che qualcuno, o piuttosto qualcuna, faccia delle ricerche, studi i documenti e si scoprono dei nomi di donna, dei personaggi femminili ben attivi in quegli eventi. Non si tratta solo delle cuoche che hanno cucinato la cena a condottieri e cospiratori, o delle sarte che hanno cucito divise e bandiere, ma emergono le dame della diplomazia, personaggi di primo piano come Cristina Trivulzio Belgiojoso, Eleonora Fonseca Pimentel, Giorgina Saffi.

O come Metilde Viscontini Dembowski (1790 - 1825), esemplare nella sua collocazione centrale e nascosta ad un tempo. Milanese, amica di Foscolo, musa di Stendhal, che per lei scrisse “Dell’amore”, fu al centro dei primi moti insurrezionali nel 1821 e attiva nel gruppo che diede vita al Conciliatore.

Personaggio di rilievo, dunque, ma praticamente ignorata dalla storia fino alla riscoperta ad opera di Marta Boneschi, che giustamente la definisce "donna segreta". L'interessante è che nel suo caso il silenzio fa parte di una strategia di vita, (o forse piuttosto di sopravvivenza ?) attuata dalla stessa Metilde Viscontini.

La giovane milanese ebbe la ventura di contrarre un matrimonio particolarmente infelice: a 17 anni andò sposa a un ufficiale polacco di belle speranze, stanziatosi a Milano con l'armata di Napoleone. Sposo scelto dalla famiglia, com'era normale all'epoca, ma sulla base di una scelta oculata perché la sua era una famiglia della buona borghesia, culturalmente aperta, serena, normalmente preoccupata del benessere e della felicità dei figli. Ma il generale Dembowski si rivelò troppo violento e rude con la moglie. O forse Metilde non era disposta a sopportare ciò che molte donne, anche ricche e nobili sopportavano. Riuscì a separarsi legalmente (il codice napoleonico aveva introdotto anche in Italia il divorzio) e a mantenere la cura del figlio minore (il maggiore finì invece in collegio). Un risultato ottenuto contando quasi esclusivamente sulle proprie forze, sull’accortezza e capacità diplomatica di cui Metilde diede prova, pur attraversando nella sua vita profondi cambiamenti politici e culturali. Milano passò in quegli anni da provincia serena dell'impero austrungarico, al regno napoleonico per poi tornare sotto gli Asburgo, vivendo la stagione dell'importante illuminismo lombardo, poi del romanticismo e del risorgimento.
Era cresciuta nel culto della libertà, negli anni del vortice napoleonico in Lombardia, ed era una donna al momento dell'esplosione della moda romantica a Milano”.
C'è quindi uno stretto legame tra le scelte personali di indipendenza da un marito sbagliato e quelle politiche di indipendenza da un governo oppressivo e deprimente per la cultura e le idee: la contessa Dembowski le compì entrambe.

L'interessante è che l'autonomia di questa donna è un'autonomia anche affettiva, nel senso che non si colloca nel solco delle numerose nobildonne che, per reazione a un’insulsa relazione matrimoniale, accettano la corte di uno o più amanti. Una situazione ben nota a Ugo Foscolo, appunto, che fece anche a Metilde una corte piuttosto stringente finché non si rese conto di aver a che fare con una personalità forte e determinata. Non che la Viscontini fosse un tipo insensibile e arido, tutt’altro, ma era preoccupata soprattutto della sua causa di separazione e non poteva permettersi scandali. Semplice e insieme stupefacente :

“A dispetto di quanti sostengono che una donna sola, senza un marito non è niente, da quando è libera Metilde sente finalmente di non essere più un oggetto, uno strumento per scopi che non condivide”
Scrive Boneschi con evidente empatia. Così Metilde può serenamente rimanere impassibile alla devozione che il giovane Henry Beyle, in arte Stendhal, le dimostra in ogni modo.

Invece si occupa di politica e nel suo salotto di piazza Belgioioso si trova il fior fiore della gioventù liberale milanese: Teresa Casati e il marito Federico Confalonieri, L'abate Ludovico di Breme, il conte Giuseppe Pecchio, Bianca Milesi, sua cugina, Camilla Besana Fè, l'avvocato Giuseppe Vismara.

“... di aspetto fragile e di modi dolcissimi, rivela presto un carattere fermo, convinzioni profonde e una mente agile.  Ad affascinare è più di tutto la sua intelligenza duttile, plasmata da un'educazione aperta, dall'abitudine alle relazioni familiari e sociali, dal gusto sobrio e raffinato, che le consentono di dialogare con filosofi, granduchesse e avventurieri.”

Una fermezza di carattere che le consente anche di reggere gli interrogatori della polizia austriaca successivi al fallimento del tentativo insurrezionale del 1821, uscendone indenne e senza danneggiare nessuno dei suoi amici, ampiamente compromessi.

La segretezza, dunque, come stile di vita e come espressione di idee chiare e ponderate che si traducono in azioni silenziose e incisive. Un modo d’essere comune a molte donne. Dati i tempi di Metilde una necessità, ma come paiono stranamente attuali quei tempi !

 

Marta Boneschi,
La donna segreta. Storia di Metilde Viscontini Dembowski,
Marsilio, 2010, pagg. 237, €18

18-04-2011

 

 

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