Emancipazione e liberazione ieri e oggi

Vittoria Longoni

       

 

Vorrei riprendere qui, con tutte e tutti voi, un discorso che abbiamo cominciato l’anno scorso in occasione dell’inaugurazione del Piazzale Donne Partigiane, e proseguito sabato scorso, alla Libera Università delle Donne, discutendo il bel libro recente di Roberta Cairoli sulle donne che “Dalla parte del nemico” hanno agito come “ausiliarie, delatrici e spie  della Repubblica Sociale Italiana”di Salò. Mi fa piacere riprendere il discorso in un’iniziativa unitaria che ha rafforzato le nostre relazioni.
Siamo qui per cercare insieme di comprendere le donne della resistenza italiana meglio, più a fondo, oltre gli stereotipi. E questo lavoro conferma e rende ancora più concreta la gratitudine verso le donne che hanno lottato per la nostra liberazione.

Scelta necessaria, dice il titolo. “Scelta di libertà necessaria” ,  e non è un ossimoro. Scelta che comprendiamo ancora di più confrontandola con la scelta, di segno storico e valoriale opposto, fatta dalle donne che si sono attivate sul fronte opposto. Scelta di libertà necessaria per la storia delle donne.  Per liberarci dal nazifascismo con tutto ciò che ha comportato, e in particolare per tentare di uscire dal virilismo (uso apposta questo termine forse un po’ vecchio ,ma che ci aiuta a distinguere le varie forme assunte dal maschilismo)   dunque dal virilismo opprimente del regime mussoliniano, fatto di militarismo, gerarchia, disciplina, disprezzo ed eliminazione fisica di tutto ciò che era diverso, subordinazione totale al “duce”, con le donne ridotte a devote fattrici di soldati o ad emule adoranti del capo, sebbene le donne fedeli al nazifascismo e alla repubblica di Salò abbiano dato vita anche  ad  alcune forme di pseudo emancipazione.  Per le partigiane avere contrastato il virilismo del regime non significa, ovviamente, essere riuscite ad eliminare il maschilismo in generale- cerchiamo di farlo ancora oggi, in una situazione di patriarcato declinante ma tutt’altro che scomparso. Ci dicono le partigiane stesse che i giovani attivi nella Resistenza erano pur sempre figli di una ben determinata educazione “mussoliniana” e “italiana”.

Infatti oggi siamo qui per  mettere in discussione alcuni stereotipi nella rappresentazione delle donne che ritroviamo anche in alcuni indubbi capolavori che hanno narrato la Resistenza.
Sabato scorso abbiamo rivisto e discusso alcune scene del film “Roma città aperta”: Mi ha colpito notare che anche in quel film riaffiora lo stereotipo che propone la figura preponderante della madre (sia pure una madre-coraggio eroica come Pina) dalla parte “giusta” della resistenza  , e quella della giovane e bella amante traditrice, esposta alla prostituzione e alla tossicodipendenza (Marina), dall’altra parte . Non che non ci fossero addentellati effettivi per queste figure, ma diventano dei simboli esclusivi che vanno interrogati e discussi sul piano storico . Pina è una figura  simbolica fortissima, tra l’altro modellata su una donna effettivamente vissuta a Roma e uccisa dai tedeschi: Ma nella costruzione del suo mito la madre prevale sulla donna e i maschi restano protagonisti dell’azione storica concreta.. Una preponderanza del materno, nel ragionare “da sinistra” su donne e resistenza, che troviamo anche in romanzi come “L’Agnese va a morire” di R. Viganò  e persino in un testo bellissimo e successivo, come “La Storia” di Elsa Morante ( la protagonista è la matura mamma-maestrina di Nino e di Useppe, figlio nata dalla violenza fatta da un soldato tedesco). Il partigiano, invece, non è inglobato nel padre; certo ci sono molte nobili figure di padri nella Resistenza, ma il “ribelle”mantiene nel simbolico un’immagine avventurosa, romantica e sexy (“Ogni contrada è patria del ribelle, ogni donna a lui dona un sospir”). Se rivediamo oggi le immagini della Resistenza – per esempio quelle del filmato “Bandite” - ci colpiscono  le facce giovani, belle, dinamiche e fiere delle partigiane. Donne giovani e belle che sorridono per una libertà sperimentata , per un’intraprendenza scoperta da poco e per la fiducia di poterla conquistare ancora di più in futuro, nonostante tutti gli ostacoli  maschilisti che presto si sono ripresentati, fin dai giorni della salita in montagna e subito dopo.

Emancipazione e liberazione erano termini usati anche allora, con un significato un po’ diverso da quello che diamo loro oggi. L’emancipazione era il termine-chiave di una lunga storia di lotte delle donne per ottenere la parità di diritti coi maschi (poter votare, partecipare alla vita politica, lavorare a parità di condizioni e di salario ecc.- rivendicazione che si è espressa durante la resistenza  e che anche oggi è tutt’altro che scontata) . Liberazione era innanzitutto liberazione dall’invasione tedesca e dal regime fascista. Ma le donne che partecipavano alla resistenza hanno espresso valori che assomigliano anche al concetto attuale di libertà femminile. Non c’era la denuncia dell’oppressione millenaria del patriarcato,  né separatismo né femminismo consapevole (almeno non in tutte). Però c’era  una carica di libertà che ce le fa sentire ancora molto vicine.

Penso che emancipazione e liberazione costituiscano anche oggi termini che esprimono due lati  di un processo, anche se spesso le pratiche che li sostengono sono differenti. La lotta per la parità è ancora in corso, e i limiti delle conquiste sono stati visti ben presto. Assunta Sarlo eFrancesca Zajczyk ci hanno ricordato in un libro recente (Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia) che la legge che dava alle donne il diritto di eleggere si ”dimenticava” di aggiungere anche il diritto di essere elette, che è arrivato solo un anno dopo, e che la rappresentanza femminile è stata storicamente  molto limitata in Italia.
Oggi parliamo di democrazia paritaria e in qualche misura la pratichiamo. Sappiamo bene  oggi che la democrazia paritaria non basta, ma resta importante, e su questo piano si tratta di andare avanti, di renderla semmai più  più effettiva, uno spazio di conflitto tra i sessi e non un rito. Il terreno della liberazione si è molto ampliato, da quando siamo consapevoli di quanto siano complesse e profonde  radici storiche ed emotive del patriarcato, e di quali orizzonti magari ancora difficili persino da immaginare si aprano per la creatività femminile e per le nuove forme di partecipazione e di ridefinizione della politica.
Oggi forse possiamo andare al di là anche della distinzione tra emancipazione e liberazione e parlare, per il movimento delle donne, di un’apertura a 360° di libertà: libertà da (da violenza, sessismo, oppressione , diseguaglianza, stereotipi  ecc. ) e libertà di (di immaginare, relazionarci, aprire, sperimentare,  mettere in questione gli stereotipi,inventare forme nuove di partecipazione politica, ecc.).

 

Intervento all'incontro La scelta necessaria: Donne nella Resistenza italiana
1 marzo 2014, Milano

 

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