Una donna un voto, ma la piena cittadinanza è lontana

di Alessandra Gissi

comizio durante la resistenza
Comizio di Anna Marengo a Lessona, aprile 1945


Nel febbraio 1945, in virtù del decreto luogotenenziale sull' "Estensione alle donne del diritto di voto" emanato dal secondo governo Bonomi, le donne italiane acquisivano il diritto di eleggere e, con un decreto successivo, di essere elette. L'effettivo esordio nelle cabine elettorali sarebbe avvenuto solo un anno dopo, nella primavera del 1946.
Era il passo decisivo verso la cittadinanza politica eppure le modalità con cui il decreto stesso era stato approvato lasciavano l'impressione che il suffragio fosse stato assegnato con una certa approssimazione, concepito più come un premio che come un diritto. Una valutazione determinata anche dal «carattere dimesso, tutt'altro che solenne», e dalla forma riduttiva di un decreto del consiglio dei Ministri, cioè di uno strumento legislativo poco appropriato per definire una simile rivoluzione.
La guerra era ancora in corso e nessuna assemblea consultiva, come era avvenuto per l'analogo decreto francese del 21 aprile del 1944, si era presa la briga di riannodare le fila del complicato e antico dibattito sul suffragio femminile che, con accenti differenti, resisteva da quasi un secolo.

Il merito di aver ricomposto l'intreccio di quel dibattito va ad alcune storiche, capaci di proporre e mettere a frutto la rottura epistemologica determinata dall'irruzione della storia delle donne e poi dei gender studies nella storiografia e di reinterpretare così il complesso, e troppo a lungo negato, rapporto tra donne e politica.
In occasione del 60° anniversario del voto alle donne italiane, questa feconda tradizione ha riacquistato vigore grazie soprattutto a chi si è dimostrato capace di non cedere alla tentazione di interpretare l'evento nei termini esclusivi di una commemorazione. Di questa lodevole attitudine è un esempio l'ultimo fascicolo di "Genesis", rivista della Società Italiana delle storiche (Viella, euro 21), intitolato programmaticamente Una donna, un voto , quasi a voler restituire la giusta completezza al principio un uomo un voto, cardine del contratto democratico dal quale le donne sono state lungamente escluse.
Come scrive nella bella introduzione Vinzia Fiorino, curatrice del numero - «è la rilevante questione storiografica della lunga negazione dei diritti politici alle donne, di una lettura gendered della moderna costruzione della sfera pubblica, della produzione di significati politici e culturali elaborati dalle donne che rivendicarono i diritti elettorali o - più in generale - un ruolo pubblico» ad essere al centro degli interrogativi da cui prende avvio questo fascicolo monografico della rivista.

Contributi diversi e multiple piste di lettura si propongono (riuscendoci) di offrire riflessioni innovative a supporto del dibattito, non solo storiografico, e si segnalano per una ricerca, ormai indifferibile, della correlazione tra "il corpo" sessuato, nella sua materialità ma anche nella sua rappresentazione, e "la politica".

Olimpia de Gouges
Parigi, 1791, Olympe de Gouges
autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina
condotta alla ghigliottina


Sui significati attribuiti al corpo femminile in un contesto di rottura rivoluzionaria si sofferma il saggio di Elisabetta Bini dedicato all'ampia produzione iconografica che contribuì a costruire il mito delle pétroleuses, fantomatiche spargitrici di petrolio, durante la fase finale della Comune parigina. Donne scarmigliate, perfetta antitesi degli ideali di femminilità della borghesia ottocentesca, divenute l'incarnazione (immaginifica) del radicalismo dell'esperienza rivoluzionaria.
Mentre la ricerca di Angelica Zazzeri, nel passare in rassegna la produzione figurativa, anche satirica, nell'Italia del 1848-'49, esplora il cruciale rapporto tra donne e armi che racchiude aspetti rilevantissimi del discorso sulla cittadinanza moderna dato che a partire dalla Rivoluzione francese il nesso tra guerra e fondazione dello stato nazione ha avuto delle precise implicazioni nell'esclusione delle donne dalla sfera politica. Paradossalmente una simile esclusione dall'esercizio dei diritti non ha impedito che le donne, individualmente o collettivamente, elaborassero pratiche politiche di una certa originalità o si mobilitassero in favore di una causa come nel caso dei plebisciti risorgimentali (Gian Luca Fruci).
Fino a quando con l'avvento di un suffragio autenticamente universale, dopo il 1946, le centrali politiche e culturali intuiscono che "formare" le donne è indispensabile, come mostrano il dibattito e le iniziative prese all'interno delle organizzazioni e dei partiti di massa alla ricerca di una nuova comunicazione politica capace di coinvolgere le "nuove cittadine" (Lunadei-Motti).

Questo intreccio tra corpi e loro rappresentazioni, produzione di linguaggio e politica ci fornisce il quadro chiaro di una nuova posta in gioco nell'analisi dei diritti di cittadinanza che non può mai tradursi in un unicum interpretativo.

Osserva giustamente Elisabetta Vezzosi nel suo saggio, citando Judith Shklar, che «non esiste una nozione più centrale della cittadinanza nell'ambito della politica, e più mutevole nel campo della storia o contestata sul piano della teoria». E, dunque, uno sguardo articolato sull'accidentato percorso delle donne si può rivelare oltremodo fecondo.
Può, intanto, contribuire all'analisi di un paio di questioni aperte più che mai: l'esigua presenza femminile nei luoghi della rappresentanza politica e il persistente divario tra la promessa formale della cittadinanza e l'esperienza concreta.

Può prefigurare scenari che se letti attentamente, possono spingere ad una valutazione critica di fenomeni che ci riguardano più di quanto siamo portate a credere come dimostra la recensione di Andreina De Clementi all'interessante volume Feminist Waves, Feminist Generations: Life Stories from the Academy . Si tratta di quattordici incontri con il femminismo accademico statunitense che esplorano l'esperienza di alcune donne ma anche di alcune discipline all'interno delle università rimodellate, spesso in modi imprevisti, dal neo-liberismo.
Simili piste di indagine si rivelano piuttosto utili anche nell'ottica di ulteriori urgenze presenti. Ad esempio, il ripensamento di una democrazia inclusiva ed efficiente, il superamento delle sovranità nazionali, dei confini e dei limiti della legittimazione democratica scompaginati dal contesto di una governance globale.

 

28-01-2008

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