Zarema, sposa a tradimento
di Julija Juzik

Elisa Katsayeva
ragazza cecena rapita in agosto e tornata dopo 4 giorni
questo articolo è apparso su
il manifesto
del 3 settembre 2004
Pomeriggio, intorno alle 15. Un auto con due uomini e una ragazzina si
aggira poco lontano dall'edificio della polizia di quartiere. «Al diavolo,
non c'è ancora!». Circa un'ora dopo: «Oh, è arrivato, finalmente!». Il
giovane si rivolge alla ragazza: «Tu, come va?». «Ho paura». «Stai
tranquilla. E poi forza, sei coraggiosa, lo so che ce la fai. Dai! Non
sentirai nulla: una puntura di zanzara e fine». Apre la portiera, dà alla
ragazza una borsa pesante mentre l'altro nel frattempo tira fuori la
videocamera. «Guarda di tenere la borsa solo sulla spalla, capito? Ti
terrò d'occhio io, stai tranquilla: guarda solo di non toglierti la borsa
dalla spalla!». «èamil... èamil ...». La ragazza sembra sul punto di
scoppiare in lacrime. Ha uno sguardo strano. «Basta. Smettila. Vai». E la
ragazza docile va verso l'edificio del ROVD (posto di polizia del
quartiere, ndr). Entra. Sale per le scale. Cerca l'ufficio di Zaurbek
Amranov. Infine, quando ormai dalla strada non è più possibile vederla, si
toglie la borsa dalla spalla e la appoggia accanto a sé. Si ferma. Non sa
cosa fare. Se torna indietro, la uccidono, e lei lo sa. Se si consegna
alla polizia non si sa chi la ucciderà: questi o quegli altri. Farsi
saltare in aria da sola? Ma... Nel corridoio del ROVD risuona uno schianto
tremendo. Fumo, grida di donne. «Missione compiuta», dice l'uomo
nell'auto. Ha appena azionato il meccanismo a distanza che ha fatto
esplodere l'ordigno contenuto nella borsa della ragazza. Ride soddisfatto,
spegne la videocamera. In quel momento non sa ancora che la ragazza è
riuscita a sopravvivere, perché si è sfilata la borsa dalla spalla. Non sa
ancora neanche che è vivo il suo nemico, quello che lui voleva uccidere
con una «bomba vivente»: la ragazza infatti non era entrata nel suo
ufficio. (...) Lei - Zarema, sedici anni - sopravvisse. La operarono ad
un'anca, le estrassero un mucchio di frammenti ma quello che importa è che
sopravvisse. E si mise a raccontare. «Tutto era cominciato molto prima.
èamil Garibekov mi veniva dietro. Mi sorrideva, mi diceva che ero bella.
Poi - questo succedeva a dicembre - io camminavo per la strada, la sua
auto mi si ferma accanto, saltano fuori dei ragazzi e mi spingono dentro
la macchina. (...) Poi mi portarono in un appartamento, dove vivevano
altre tre ragazze. Questo mi spaventò. Le ragazze erano carine con me, ma
avevano un'aria molto infelice. Si chiamavano: Asja, Aset e Elvira.
Cominciai a dire a èamil che non mi volevo sposare, che bisognava avvisare
la mamma, che non avevo portato niente con me. Dopo mi dettero da
mangiare, e mi addormentai. Credo che avessero messo qualcosa nel cibo,
perché cominciò a girarmi la testa, le braccia e le gambe si fecero
pesanti e mi addormentai, anche se fino a quel momento non avevo per
niente sonno. Mi sveglio e vedo che i miei vestiti sono già lì. Erano
stati a casa mia, avevano detto che mi sposavo, e la mamma gli aveva dato
tutto quello che le avevano chiesto. (...). I ragazzi erano sempre carichi
di armi: mitra, pistole, granate. Il mio - èamil - lavorava nella polizia,
per questo all'inizio non mi era neanche passato per la testa che fosse un
wahhabita. Invece cominciò a darmi dei libri da leggere, di quelli dei
wahhabiti. (...) Una volta èamil mi "offrì" al "capo", Halid Sedaev.
L'indomani mattina Halid disse qualcosa di me a èamil. Dopodiché èamil
venne da me, chiuse la porta e mi disse che aveva un compito importante
per me: restituire una borsa ad un suo amico. Io capii immediatamente che
c'era qualcosa di losco. (...) Eppure prima io ero innamorata di èamil,
eppure prima lui flirtava con me, mi veniva dietro, io avevo pensato che
fosse serio (...)».
Quando ci salutammo, Zarema di nascosto mi chiese: «Ti dispiace se ti
telefono qualche volta? Sto così male, non ho neanche un'amica con cui
parlare». (...) In seguito prese a chiamarmi a tarda notte. «Ciao. Non
dormi?». «Dormivo», confesso sinceramente. «Io no. Sto così male, Julja»,
e nella cornetta risuonava il riso ubriaco di un uomo. Mi telefonava ogni
volta da numeri di telefono diversi, ogni volta di notte, ed ogni volta
accanto si sentiva il riso di un uomo. Zarema si prostituiva.
Tratto dal libro
pubblicato a Mosca dall'editore Ultracultura (2003),
Le fidanzate di Allah - l'edizione italiana,
aggiornata alla primavera 2004, sarà pubblicata con lo stesso titolo dalla
Manifestolibri (traduzione di R. Frediani, in libreria a ottobre).
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