Chi sono le shahidki, «donne martiri» cecene, perché vanno a morire imbottite di esplosivo? In Cecenia solo le donne vanno a morire, e non sempre di propria volontà. Il fanatismo religioso c'entra poco, scrive la giornalista russa che ne ha ricostruito in un libro le storie personali di tragedia e morte


Le mille fidanzate di Allah
di Marina Forti

questo articolo è apparso su il manifesto del 3 settembre 2004



Chi sono? Perché giovani cecene vanno a farsi esplodere in un teatro gremito o nella metropolitana di Mosca, o in un commissariato di polizia? Donne giovanissime, a volte con figli, per chi, o per cosa vanno a morire - e a seminare morte? Fanatismo religioso, si dice: le donne-kamikaze sono il ritrovato più impressionante delle frange più fondamentaliste del movimento islamico in Cecenia, la regione del Caucaso che sta precipitando in una nuova fase di una guerra ormai decennale. La religione però c'entra molto poco con la scelta di tante giovani cecene di farsi shahidki («donne martire»), come le chiamano i russi, dalla parola araba shahid che significa «martire». Le loro storie personali dicono altro: «Sono giunta alla conclusione che l'unica ragione che può spingerle a cercare la morte è una tragedia personale o una vita infelice», scrive la giornalista russa Julija Juzik: donne a cui non è rimasta scelta.

Per un anno, tra il 2002 e il 2003, Juzik ha percorso la Cecenia per capire da dove venivano le giovani che si erano fatte saltare in questo o quell'attentato, va a parlare con familiari o chi ne aveva condiviso gli ultimi mesi di vita, ricostruisce i passaggi che le hanno portate a diventare «martiri». Il risultato di questa indagine è un libro pubblicato a Mosca dall'editore Ultracultura (2003), Le fidanzate di Allah - l'edizione italiana, aggiornata alla primavera 2004, sarà pubblicata con lo stesso titolo dalla Manifestolibri (traduzione di R. Frediani, in libreria a ottobre).

Le kamikaze «sono state create ad arte», dichiara Juzik (in un'intervista citata nella prefazione all'edizione italiana). Osserva: nella storia delle guerre caucasiche, per centinaia di anni, «non c'era mai stato un ceceno - tanto meno una cecena - che si sia coperto di esplosivo»: combattevano, non facevano i martiri. In Russia si suole fare il parallelo tra Cecenia e Palestina, con terrorismo e attentati suicidi: anche in là ci sono donne kamikaze. Ma la differenza, oltre a tante circostanze storiche, è che «in Cecenia gli uomini non si fanno saltare in aria. Danno un valore troppo alto alle proprie vite. (...) In Cecenia muoiono solo le donne». E spesso, neppure di propria volontà...

Più dell'islam, nei destini di quelle ragazze conta una struttura sociale tradizionale in cui le donne sono sottomesse. «Sono donne la cui vita è stata distrutta, che non hanno futuro, che vanno a morire non per dimostrare la loro devozione ad Allah».

Allah compare, certo, nei video che ritraggono giovani velate di nero, bandana verde sulla fronte, occhi vitrei. La prima in assoluto, la diciassettenne Hava Baraeva, è stata trasformata in una leggenda. Era il giugno 2000. Un video la ritrae mentre dice: «Sorelle, è giunto il nostro momento! Dopo che i nemici hanno ucciso quasi tutti i nostri uomini, i nostri fratelli e mariti, solo a noi rimane il compito di vendicarli. (...) E non ci fermeremo neanche se per questo dovremo diventare martiri sulla via di Allah. Allah Akhbar», dio è grande. «Vendicarli»: così nasce il mito delle «vedove nere». Il video la mostra mentre sale su un camion, con viso ispirato, e si lancia contro un distaccamento di polizia speciale in un villaggio della Cecenia. L'immagine seguente mostra da lontano l'esplosione: lei andava a morire e «i suoi compagni stavano vigliaccamente tra i cespugli» a filmare. Hava, ricostruisce la giornalista russa, era cresciuta in affidamento a un uomo, un dirigente islamico indipendentista, di cui si è innamorata - anzi, completamente soggiogata. Molte giovani donne saranno soggiogate e tradite dagli uomini di cui si fidavano. Altre sono devastate dall'aver visto uccidere un uomo che amavano, i figli, la casa. Storie terribili (in questa pagina ne citiamo due). «Solo poche ragazze erano davvero credenti e praticanti; tutte le altre avevano un motivo personale, o semplicemente non avevano scelta». Il martirio? «In Russia le attentatrici cecene di solito non si uccidono da sole. Vengono fatte saltare in aria a distanza. Le uccidono da vigliacchi».

Nella sua indagine, Jilija Juzik raccoglie dettagli molto precisi sui campi di addestramento da cui sono arrivate le giovani andate a morire nel teatro di Mosca, primavera 2002: due villaggi di montagna di cui, scoprirà, la polizia speciale russa è perfettamente al corrente. Raccoglie informazioni su nuovi campi di addestramento. Nella prima edizione (russa) della sua indagine avvertiva: di là verranno le prossime «bombe viventi». Cita nomi, luoghi, «sapevo anche che i leader delle bande armate avevano ricevuto un ordine per l'invio di donne martiri» per azioni programmate tra la fine del 2003 e l'inizio del 2004, alla vigilia delle presidenziali russe: come poi è avvenuto.

Ma perché i servizi russi non le hanno fermate, si chiede? Descrive i «reclutatori» di future martiri: vanno in carca di «donne giovani nelle cui famiglia siano stati distrutti i legami familiari o di clan, o orfane di padre; di giovani donne sorelle o vedove di combattenti uccisi, di donne di famiglie molto religiose o wahabite. ...Coloro, prima di tutto, che non hanno nessuno che possa difenderle». Ma perché le forze speciali non fermano i reclutatori? «Vuol dire che questa guerra serve comunque ancora a qualcuno?».
 


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