Zucco: «I feti, non è vero
che hanno vita autonoma
»

di Olivia Fiorilli e Angela Azzaro



Flavia Zucco





Flavia Zucco, ricercatrice presso l'Istituto di Neurobiologia e Medicina molecolare di Roma, presiede l'associazione "Donne e Scienza", nata nel 2003, che ha recentemente pubblicato un Appello critico nei confronti dei «ripetuti attacchi alla legge 194, che sfruttano per finalità ideologiche alcune evidenze scientifiche». Una presa di posizione importante che si aggiunge alle tante voci che in questi giorni si sono sollevate contro l'oscurantismo. L'intellettuale ci mette sull'attenti sui rischi di una scienza che ripropone intatto l'immaginario di potere maschile, stretta tra il delirio di onnipotenza e i dictat della chiesa. In mezzo ci siamo noi. Noi donne. La nostra libertà.

Non è la prima volta che la scienza viene chiamata in causa per attaccare la libertà delle donne. Al centro di quest'ultima crociata, però, stanno proprio le possibilità aperte dalla tecnologia in materia di sopravvivenza del feto, rappresentato come autonomo.

Ci sono due fattori che rendono complesso il quadro. Uno è il rapporto ambiguo che abbiamo tutti con la tecnologia, che è una cosa distinta dalla scienza. Questo atteggiamento assume dei connotati particolari in Italia, dove si è tentato di opporre alla fede l'"obiettività della scienza". La laicità è stata identificata con la scienza. La scienza è il prodotto di un'attività umana, e pure essendo un'attività molto nobile va guardata con una certa criticità. Come dice Rita Levi Montalcini, e non solo lei, non tutto quello che si può fare si deve fare.
Il secondo punto critico è il fatto che la scienza di volta in volta viene condannata oppure accettata senza riserve dalla Chiesa cattolica. Questa ambiguità deve essere smascherata. Se noi possiamo sperimentare, perché di sperimentazione si tratta, sui feti precoci, non si capisce perché non possiamo sperimentare sugli embrioni, attraverso i quali acquisiamo conoscenze che ci possono aiutare a migliorare delle cose. Sperimentando sul neonato precoce acquisiamo conoscenze ma produciamo degli esseri che sono destinati a vivere una vita infame. Per quanto i genitori possano amarli, per quanto monsignor Sgreccia si intenerisca a vedere un bambino con i due emisferi celebrali fusi, non si può negare che la vita di questi individui sarà tremenda. Anche perché i genitori non sono eterni, e la società non è preparata a tutelarli in maniera seria.

Si vuole mettere in discussione il fatto che ci possa essere una scelta, l'esercizio della propria libertà da parte di una donna, motivandolo con la possibilità di sopravvivenza del feto offerta dalla tecnica. Non sappiamo fin dove si potrebbero spingere queste possibilità, nel vostro documento parlate di coltivazione in vitro degli embrioni.

Quella della neonatologia, che sta portando sempre più indietro il limite di potenziale "sopravvivenza" del feto e quella dello studio sugli embrioni, sono due strade che potrebbero convergere. Potremmo anche immaginare di arrivare al punto di coltivare i figli fuori dalle pance delle madri. Non credo sia questo ciò che desidera il mondo. Credo anche che questa sperimentazione sulle possibilità di sopravvivenza dei feti non aiuterà "la vita" ma solo a creare delle situazioni anomale. Andrebbe poi sottolineato che il corpo della donna è sostituito da macchine. Non è che il neonato "è vivo", è tenuto in vita artificialmente fino a che non raggiunga quel minimo di funzioni che consentano di toglierlo dalla macchina. Infatti da tutte le testimonianze che abbiamo avuto sui neonati pre-termine emerge che la prima fase della vita avviene in una macchina, sottratta agli affetti. Penso che sia una forzatura: su questa cosa i medici che hanno coscienza da sempre hanno deciso come intervenire. Quelli che non la hanno e vogliono fare sperimentazione la fanno con la benedizione della Chiesa. Oltretutto è assurdo che si possano tenere in vita malati terminali oltre ogni limite, però non si può isolare una cellula da un embrione per capire se sarà malformato.
E poi ci terrei che sul fronte laico ci fosse un maggiore distacco nei confronti della scienza. Ci troviamo di fronte a una scienza che non è più, se mai lo è stata, quella mitica della torre d'avorio, dettata dalla curiosità di svelare i segreti della natura, ma è ben altra cosa: la scienza delle patenti , dei brevetti, dei filoni di ricerca dettati dai finanziamenti. Uno dei valori che devono appartenere al mondo laico è quello dell' habeas corpus : il corpo ci appartiene e deve essere integro. Il corpo ci mette in relazione con il mondo, e questo ci permette di elaborare la nostra identità, la nostra consapevolezza di noi.


Sembra che nel dibattito pubblico la parola libertà abbia perso il riferimento all'integrità del corpo e all'autodeterminazione per essere riassorbita dalle formule "libertà di obiezione" e "libertà di ricerca".

Il concetto di autodeterminazione è stato elaborato dalle donne in anticipo rispetto ad altri soggetti sociali e si estende anche a coloro che vogliono l'eutanasia perché soffrono troppo. Questo concetto si sta estendendo perché l'idea della Vita, e del suo prolungamento, si sta legando sempre più alla sofferenza. L'idea che la sofferenza debba essere sempre e comunque accettata è un'idea che, certamente, ha degli aspetti positivi: coloro che soffrono nella nostra comunità non devono essere emarginati. Ma che si debba accettare la sofferenza come un dato di fatto è un'idea che, secondo me, porta un male enorme. Quello che conta per la Chiesa è mettere al mondo un individuo, senza preoccuparsi di quello che succede dopo. Spostare l'attenzione sull'embrione fa perdere la concezione della dignità di un corpo compiuto, in grado di interagire. Ad esempio mi domando, visto che sostengono che il feto è una persona, perché allora vengono mostrati senza pudore i feti in televisione e invece se si mostra un bambino gli si nasconde la faccia?

Il rifiuto dell'eutanasia, il fatto che si neghi ad una persona la possibilità di scegliere sul proprio corpo, mostra qual è la differenza tra la tutela della "Vita" e quella delle persone nell'esercizio della loro libertà. Prima diceva che i feti da rianimare non hanno possibilità di vita autonoma, ma dipendono dalle macchine. Nell'immaginario prodotto da tutto questo i corpi delle donne sono rappresentati come incubatrici. Penso che questo sia il nucleo dell'attacco: al di là della percentuale di feti che sopravvivono, attraverso l'immagine del corpo femminile-incubatrice si mettono sotto controllo le donne. Voi che vi interrogate come scienziate, come vi ponete rispetto al fatto che la scienza crea immaginario e, per mezzo di questo - al di là dell'uso concreto che si fa delle scoperte - ha un forte impatto sulla società?

Penso che dobbiamo tenere profondamente conto del fatto che ci sia un immaginario che è legato, in particolare nel campo delle scienze della vita, ai corpi, alla vita, alla generazione. Le donne anche su questo hanno anticipato i tempi denunciando il fatto che il loro corpo è stato sempre visto come un contenitore e come una macchina che serviva a fare bambini. Oggi molti sono scontenti di questa mediazione esercitata su di loro dal medico. Si ha la sensazione di essere scomposti in pezzi come una macchina e di avere accanto un medico che non interagisce con la persona, ma col corpo. Questa nuova esigenza sta venendo avanti in un momento in cui la specializzazione è estrema.
Credo che le donne debbano ripartire dal discorso antico della loro subalternità per affermare la necessità del rispetto assoluto della loro autodeterminazione.




articolo apparso su Queer, inserto di Liberazione del 17/02/2008

 

 

home