Sinistra Europea, l'impegno "pesante" di un
partito femminista
Atene, grande assemblea di donne al congresso
di Giovanna Capelli
Diana Hakobian
Il grande interesse e la passione per il proprio genere hanno permesso a
donne provenienti da ogni parte d'Europa appartenenti a Partiti, a
sindacati, ad associazioni e a movimenti femministi di incontrarsi ad
Atene venerdì 28 ottobre 2005 in una grande assemblea per mettere a punto
paradigmi analitici, confrontare provenienze e storie diverse, concordare
punti comuni e progetti condivisi di iniziativa politica.
Il collante soggettivo, il di più di ascolto e di attenzione reciproca che
ha reso emotivamente teso, difficile, ma anche produttivo questo
appuntamento scaturiva dalla spinosità del nodo da affrontare: da un lato
la convinzione di tutte che lo spazio pubblico che il Partito della
Sinistra europea si dà il compito di costruire e di animare con
l'obiettivo di contrastare la guerra e il neo liberismo non può essere
efficace e capace di trasformare l'esistente se la caratterizzazione
femminista non è realmente costitutiva della sua cultura e della sua
pratica politica, dall'altro la consapevolezza che il femminismo non è
solo una cultura critica, ma pretende e interroga la soggettività, la
presa di parola delle donne, la costruzione dei luoghi della loro
autonomia, delle modalità con cui questa autonomia diventa forza politica.
E qui stava il primo possibile inciampo: fare interloquire le storie di
tutte noi, 60 anni e più di storia europea segnata dalla rivoluzione più
lunga, di biografie che incrociano la lotta di classe e il conflitto di
genere, fare interagire femminismi diversi, idee diverse di Partito,
differenti pratiche di movimenti di donne, non tutte attraversati dalla
critica esplicita all'emancipazionismo.
Sono state evocate esperienze di movimento apparentemente lontanissime
come le lotte delle donne inglesi contro i missili negli anni 80,
l'esperienza delle "Donne in nero", la pratica del Collettivo "nì putes
nì soumises" delle periferie di Parigi, i movimenti contro la violenza
contro le donne e per l'autodeterminazione, per la signoria sul proprio
corpo nella specificità dei contesti nazionali, la soggettività femminista
che è apparsa nella presenza a volte prevalente di donne nel movimento
altermondialista e che connota le mobilitazioni contro la precarietà, e
ora in Italia anche il movimento contro la Moratti nelle università (le
farfalle rosse!).
Per mettere ordine a questa ricchezza della memoria e dei saperi acquisiti
sono stati proposti a tutte dei paradigmi interpretativi e delle linee di
azione su cui insieme costruire un nuovo femminismo politico. Maite Mola
del Partito Comunista Spagnolo e Laurence Cohen del Partito Comunista
Francese muovendo da una analisi della condizione delle donne in Europa
propongono connessioni transnazionali su lavoro Welfare, migranti e
delineano un programma di azione comune valorizzando la possibilità di una
campagna europea contro la violenza domestica.
A partire dal dibattito intorno alla
legge spagnola, si sottolinea il dato che la prima causa di morte delle
donne fra i 14 e i 44 anni in Europa è la violenza in casa, che precede la
morte per cancro, incidenti stradali e guerra e si pongono le premesse
culturali per contrastare il familismo delle politiche dei governi.
Christine Reymann (Links PDS Germania) analizza il nesso fra neo-liberismo
e patriarcato, il carattere pervasivo delle forme patriarcali nella sfera
pubblica e privata, l'essere le donne al Sud e al Nord del mondo i
soggetti maggiormente aggrediti dagli effetti della guerra, della miseria,
della fame, dell'inquinamento, delle politiche di privatizzazione dei
servizi e di precarizzazione del lavoro. Combattere il patriarcato nella
sua forma moderna di violenta negazione della libertà femminile come
predicano i diversi fondamentalismi significa anche indagare la totale
insufficienza e totale improduttività politica della rappresentazione
della donna come semplice vittima. Elettra Deiana nell'illustrare il
contesto della guerra permanente, il rapporto fra patriarcato e guerra,
decostruisce la idea della naturale estraneità delle donne alla guerra e
indaga sulla loro complicità con il potere e sulla sua origine, che
risiede nella forza del legame d'amore.
Si fa strada così la necessità di
indagare ancora la contraddizione di genere.
Lidia Menapace
ritiene di buon auspicio che l'incontro si tenga ad Atene, dove
realmente affondano le radici europee contro l'opinione di chi le vorrebbe
per definizione cristiane: dalla Grecia ci viene il "logos", la "polis",
la loro chiarezza e luminosità, ma anche la loro convivenza con l'oscurità
ambivalente di Dioniso. La capacità di attraversamento continuo di ragione
e passione, di pubblico e privato costituisce nella storia la pratica
delle donne, antieroica, antiretorica. Se non si recupera nella politica
questa dimensione profonda, nessuna forma di cittadinanza sarà veramente
inclusiva e universale.
Il Manifesto presentato da
Imma Barbarossa suscita interesse
e dibattito acceso, soprattutto rispetto al ruolo della rete europea El.
fem, che in pratica ha costituito di fatto il punto di riferimento, il
retroterra ispiratore dei temi della Assemblea delle donne.
Appartiene all'area della sperimentazione il fatto che ad essa partecipino
compagne e amiche non iscritte ai Partiti nazionali e si sollecitano
modalità di relazione con l'esecutivo della SE, rispettose delle
reciproche autonomie.
Del resto questa innovazione rispetto alle adesioni dirette è approvata
formalmente al Congresso anche in altri ambiti.
Rimane la proposta di El. fem sui contenuti da approfondire nel futuro, in
particolare sul rapporto fra patriarcato e sinistra. Le tesi del congresso
insistono sul concetto di partito femminista e di patriarcato, assumono
insomma impegni pesanti. Essere partito femminista è una scelta
asimmetrica rispetto alla collocazione anticapitalista ed ecologista,
apparentemente portatrice di scompiglio. L'avversario politico è fuori di
noi nella lotta contro il neoliberismo e la guerra, nel patriarcato è
contemporaneamente e in modalità diverse fuori di noi, nella società e nel
Partito.
Essere un Partito femminista chiama gli
uomini nel Partito ad una assunzione di responsabilità, al riconoscimento
di limiti storici, ad un percorso politico nuovo, faticoso e, come ha
detto Bertinotti nel saluto all'Assemblea, forse "doloroso", chiama le
donne femministe a una strategia di ascolto, di rispetto reciproco, di
costruzione paziente di relazione e di progetti. El. fem può essere il
luogo dell'incontro, della caduta delle barriere che la storia del
Novecento ci ha consegnato che hanno diviso il movimento operaio e il
femminismo, e ha lacerato le vite delle comuniste femministe. Azzerare
questo pezzo di infelicità gioverebbe a tutte noi.
questo articolo è apparso su
Liberazione del
4 novembre 2005
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