Si possono deprogrammare gli uomini?
di Eleonora Cirant
María Izquierdo
Centri per gli uomini violenti esistono?
La domanda non è provocatoria. Per ogni donna maltrattata o abusata, c'è
(almeno) un uomo che ha molti problemi con se stesso, con gli altri e le
altre. Poiché la violenza è una forma della relazione è inevitabile
chiedersi se intervenire sul lato maschile della relazione violenta sia
possibile e come.
Non è facile, ma nemmeno impraticabile. In
Italia lo si fa molto poco. Mancano la cultura, i soldi, leggi adeguate,
attenzione della politica e delle amministrazioni (spesso più lungimiranti
del governo centrale). Le lettrici e i lettori ricorderanno l'intervento
realizzato nel carcere di Bollate in
collaborazione con il Centro per
la mediazione sociale e penale di Milano,
raccontato da Liberazione della
domenica esattamente un anno
fa. Un certo numero di violentatori ha seguito – il programma continua -
un percorso multidisciplinare e intensivo volto a modificare il proprio
modo di relazionarsi con l'esterno, intervenendo sulla matrice stessa
della pulsione violenta. Si trattava in quel caso di autori di violenza
sessuale, spesso su minori, recidivi.
Quel che accade nel ventre delle famiglie,
in quelle case dove le mura si trasformano per tante donne in sbarre di
prigionia e angoscia, è ancora in parte territorio da pionieri. La rete
dei centri antiviolenza, infatti, si occupa delle donne. Chi si occupa
degli uomini?
A Milano qualche spunto viene da chi ha
inventato il programma di recupero dei
sex offenders
di Bollate. <L'emergenza è lo
stalking – dice Paolo Giulini
del Centro per la mediazione
sociale e penale di Milano –
cioè molestie frequenti, gesti che distillano la violenza quotidianamente
e che possono degenerare in omicidio. E' un fenomeno sempre più diffuso:
quando la donna si prende la sua autonomia, l'uomo rifiuta la sua
decisione di interrompere la relazione e la perseguita. Noi cerchiamo di
agganciare l'autore delle violenze, soprattutto grazie alle segnalazioni
della questura. Prima di tutto per tenerlo sotto controllo.
In questi casi non facciamo certo la mediazione, ma teniamo la donna ben
lontana dal violento, che valutiamo attentamente. Con la presa in carico
del maltrattante riusciamo a fare decantare la violenza. Attenzione,
parliamo di una decina di casi nell'arco di due anni. Anche nei casi di
maltrattamenti in famiglia psicologo e criminologo valutano il violento e
i rischi per la donna. Dove ci sono le condizioni, lo inviamo ai
consultori per un trattamento di lungo periodo>.
Per tutelare la donna si ricorre all'allontanamento del violento, previsto
dalla legge 154/2001 "Misure contro la violenza nelle relazioni
familiari". Ma non basta, se il PM Fabio Roia è arrivato a dichiarare
pubblicamente che in certi casi ci si augura che si arrivi ad un abuso per
poter arrestare l'uomo ed interdirlo.
La proposta di legge sulla violenza sia
ferma da mesi in Parlamento. Qualora andasse in porto, dovrebbe contenere
norme precise sulla presa in carico dell'abusante o del maltrattante.
Ne è convinta anche Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente di
Telefono Rosa: <qui in
Italia questi servizi non esistono, ma sarebbero opportuni. Lo stupratore
ripete il reato nel 30% dei casi. Inasprire le pene è inefficace se non si
interviene per eliminare il disagio che è alla base della violenza
maschile. L'aver già scontato una pena per violenza sessuale o altro reato
con carattere fondamentale comune non rappresenta un deterrente>.
Moscatelli fa riferimento ai dati della ricerca “Violenza sessuale: una
legge non basta”, curata dalla sua Associazione e presentata alla ministra
Barbara Pollastrini nell'iter di consultazioni per
il ddl sulla violenza. <Bisognerebbe fare come nel Stati Uniti, dove
gli uomini violenti, sia in famiglia che fuori, sono seguiti da
associazioni che esigono da loro anche un contibuto economico, per fargli
capire che la violenza è anche un costo per la società, oltre che un danno
enorme per la vittima>.
Un percorso di questo tipo non deve essere alternativo alla pena, dice
Tiziana Catalano, vicepresidente della
Casa delle donne
maltrattate di Milano:
<funziona quando vi è una scelta del carcerato, che non ottiene nessuno
sconto di pena. In ogni caso è necessario intervenire su queste persone,
capire perché fanno violenza>.
Della stessa opinione Emanuela Moroli, presidente
di Differenza donna,
che con il finanziamento del Comune ha attivato un percorso di formazione
per Centri antiviolenza, Asl, servizi sociali e forze di polizia sulla
valutazione del rischio di violenza. Circa 600 i poliziotti sensibilizzati
nell'area di Roma e provincia: <torni a casa che i suoi figli l'aspettano:
questo una volta si diceva, ora non più>, dice Moroli.
Ci vorrebbe anche in Italia qualcosa come
Vires,
che in Svizzera realizza pratiche terapeutiche con gli autori (e le
autrici) di violenza. Qui, dopo averne ripercorso la storia personale e
familiare e valutandone le motivazioni, l'autore di violenza partecipa a
terapie di gruppo, di coppia, individuali. Ad orientare l'azione di
Vires
è il presupposto che la problematica della violenza debba essere
articolata tra sanzione giudiziaria e intervento psicoterapeutico, con una
convergenza di risorse medico-psico-sociali, giudiziarie e di polizia.
Riguardo alla relazione, autore e vittima sono considerati corresponsabili
di mantenere l'interazione dentro la quale i comportamenti violenti si
manifestano, e come tali trattati. Un nodo da discutere.
Se prevenire è meglio che curare, uno
sguardo va alle iniziative di sensibilizzazione. Alzi la mano chi non ha
mai sentito l'amico o il conoscente pronunciare frasi consunte, tipo: <ci
sono problemi più gravi>, oppure <la violenza nell'uomo è naturale, quando
lei fa arrabbiare lui può volare uno schiaffone perché lui ha la forza
fisica>.
Smontare i luoghi comuni è un modo per liberare le relazioni uomo-donna
dalla violenza. Per questo i Centri antiviolenza fanno tanta attività
nelle scuole. <Io però dai ragazzi queste frasi non le ho mai sentite,
nemmeno il classico “lei se l'è cercata”. Manifestano rabbia e stupore,
questo sì, verso le donne che non si sottraggono>, dice Catalano.
Proprio perché ci si muove su un terreno
culturale, le campagne di sensibilizzazione sono importanti. Quella
promossa dall'Associazione Artemisia si dispiega tra il 25 novembre e il 6
dicembre in diversi comuni e ha come simbolo un fiocco bianco che,
indossato dagli uomini, vuole rappresentare l'impegno personale a non
commettere, non tollerare, non rimanere in silenzio rispetto alla violenza
contro le donne.
Oltre a dibattiti, anche nelle scuole, prevede la diffusione di manifesti
e depliant in luoghi molto frequentati (palestre, autobus, ecc.).
<Colpevolizzare gli uomini che non si riconoscono nel comportamento
violento ma si sentono chiamati in causa è controproducente. Dobbiamo
responsabilizzarli, far capire che la violenza è un problema sociale e non
privato delle donne>, dice Alessandra Pauncz, responsabile della campagna.
Attenzione però a non riprodurre gli stereotipi che alimentano le storture
del rapporto tra uomo e donna, avverte Stefano
Ciccone, del gruppo Maschile plurale, da anni impegnato nella
elaborazione e diffusione di un percorso di presa di coscienza maschile
dei rapporti di potere tra uomini e donne. <Le campagne antiviolenza
troppo spesso sono centrate sulla donna come vittima, oscurando il
soggetto che agisce la violenza e raffigurando lei ripiegata su se stessa
o con i lividi addosso. Oppure fanno leva su stereotipi riguardanti il
maschile, come l'autocontrollo, il dominio di presunti istinti violenti.
Ad esempio, quella del fiocco bianco dell'anno scorso diceva che “i veri
uomini non picchiano le donne”. Non bisogna dire che come sia o non sia un
vero uomo, ma puntare sulla libertà maschile: tu che cosa vuoi per te
stesso? Che tipo di relazione ti fa stare bene? Come si esprime il tuo
desiderio? Preferisci che la tua compagna sia succube o autonoma? Perché
gli stereotipi con cui si definisce la natura maschile sono una gabbia
anche per gli uomini>. <Abbiamo accolto queste critiche, che riteniamo
fondate – risponde Pauncz – infatti quest'anno il messaggio della campagna
è “la mia forza è nel rispetto, quando lei dice no io dico ok”. Anche la
forza maschile è uno stereotipo, ma noi vogliamo raggiungere tutti e così
proviamo a riempirlo di un significato diverso da quello tradizionale.
Quando lei dice no è no, e non può mai essere scambiato per un sì>. Troppo
esplicito sessualmente, secondo alcune amministrazioni che hanno per
questo rifiutato di sostenere la campagna. Ce n'è ancora di strada da
fare.
articolo
pubblicato nell'inserto di
Liberazione di domenica 18 novembre 2007
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