Donne a colori e in bianco e nero Anna Maria Imperioso Questa ricerca 1 è la naturale prosecuzione di uno studio sulla figura femminile nella satira tra l’unità d’Italia e il primo novecento, un periodo storico percorso da profondi mutamenti dell’identità femminile e, dunque, della sua percezione sociale. Tale studio, inserito in una mostra iconografica venne presentato nel 1999, all’VIII edizione della biennale internazionale di umorismo femminile di Ferrara 2. L’idea di fondo era quella di accostare e confrontare l’umorismo sulle donne di inizio secolo con quello delle donne contemporanee: l’autoironia delle moderne disegnatrici 3 contrapposta al sarcasmo diretto contro le donne virtuali degli umoristi del passato. La prima ricerca, oltre a mostrare la misoginia del tempo, aveva permesso di cogliere interessanti aspetti del primo movimento femminile italiano, oltre che di sfatare alcuni miti e pregiudizi attorno ad esso. La carrellata di figure femminili ci restituisce l’immagine che la pubblica opinione – la più colta – aveva della donna, e come quell’immagine stesse rapidamente cambiando, di decennio in decennio. La donna ottocentesca è ritratta in pose statiche e pensose, sembra far parte dell’interno della casa, della cornice, in ambienti chiusi ed evocativi di intimità domestiche: l’allusione satirica, venata di moralismo, era affidata quasi esclusivamente alle didascalie che dovevano in qualche modo far comprendere il senso di quelle immagini. Tra le illustrazioni del primo ‘900 e la produzione umoristica del ventennio passa la guerra col suo carico di lutti e dissolvimento di antichi valori e costumi. La satira risparmia ormai i club femministi-emancipazionisti di inizio secolo, ridotti alla marginalità. Sulla scena si affaccia un nuovo tipo di donna: è uscita dal conflitto più forte, ha occupato gli spazi dell’uomo impegnato al fronte, imparando a reclamare i suoi diritti.
Come noto, il voto così insistentemente chiesto dalle associazioni femminili sopravvissute alle divisioni e alle frammentazioni del movimento femminista di inizio secolo, venne concesso con la legge n.2125 del 22.11.1925. Non il suffragio universale, come richiesto dal movimento, ma il voto amministrativo, definito subito “il voto alle signore” perché riservato a una categoria ben selezionata di donne. Inoltre, l’iscrizione nelle liste elettorali non era automatica, ma subordinata alla presentazione della domanda da parte delle interessate. 6 Eravate uno stuolo altoparlante contro il furor maschile Altro bersaglio ricorrente nella satira del ventennio è il lavoro delle donne. L’argomento della “smania degli studi delle donne”, che costituiva un po’ il ‘leit motiv’ degli umoristi di inizio secolo viene abbandonato, malgrado «la vera e propria esplosione dell’istruzione femminile a partire dal 1930 8». La satira, d’altronde, poteva accanirsi facilmente e impunemente contro un bersaglio sostanzialmente debole, culturalmente e politicamente. I pregiudizi intorno all’attività forense femminile erano abbastanza forti: si riteneva che le avvocatesse fossero più adatte alla collaborazione nelle riviste giuridiche o ai commenti sulle decisioni dei magistrati più che «all’aspro attrito fra le parti e ai sottili accorgimenti dialettici». 14 Non a caso la stampa femminile dell’epoca rilevava il grosso scarto fra il numero delle laureate in giurisprudenza e le avvocatesse che esercitavano effettivamente la professione (circa 60 nel 1938 15); si registrava infatti la rinuncia delle donne a irrompere in un ben consolidato territorio tradizionalmente maschile. 16 Il quindicinale romano «Giornale delle donne», il 20 giugno 1940, riferiva che durante il convegno giornalistico femminile tenutosi l’11 e il 12 giugno 1940 presso la VII Triennale, discutendo sul tema “la donna e il giornalismo”, le convenute lamentavano che i quotidiani erano decisamente restii ad ospitare l’opera del giornalismo femminile e deploravano
Sfogliando le riviste femminili del tempo dirette da donne, anche quelle di intrattenimento, meno ideologiche, si sente riecheggiare la divertente rubrica Come ti erudisco il pupo del «Travaso delle Idee»: per definire il lavoro della donna negli uffici, nell’amministrazione pubblica, nelle banche, che allora veniva chiamato «lavoro intellettuale», le riviste usavano il termine «invasione, scesa in campo». Il conformismo uniformava quasi tutte le testate, da «Vita Femminile» a «Rakam», da «Matelda» a «La Fiorita»: si esortavano le disoccupate alla rassegnazione, si blandivano le più riottose cercando di persuaderle della necessità dei licenziamenti o promuovendo pretestuosi dibattiti pro e contro il lavoro femminile, incrociandolo sempre col tema demografico così caro al regime. Si proiettava infatti sulla lavoratrice, sull’emancipata, sulla cosiddetta “donna crisi”, l’ansia della denatalità che aveva ben altre radici, soprattutto la crisi economica che spingeva le donne a controllare con ogni mezzo le nascite e quindi a non aderire alla campagna demografica lanciata dal regime. Si susseguivano le inutili «veline» da parte del Minculpop, come questa del 29.7.1932:
Oppure, questa del 5 febbraio 1935, firmata conte Ciano, che sembra uscita dalla penna di un umorista:
Vorrei sottolineare che, al di là delle continue esortazioni all’obbedienza e del retorico richiamo al sacrificio e alla missione di sposa-madre, molte delle riviste femminili e delle associazioni di riferimento offrivano di fatto una vera solidarietà alle disoccupate, sostenendo varie iniziative che aiutavano concretamente le donne a rientrare nel mercato del lavoro, seppure in altri settori e con altre mansioni.
Sembra evidente, qui, il tentativo di aggirare le clausole di nubilato presenti nei regolamenti interni delle aziende.
Nel numero dell’ottobre/dicembre 1938, di fronte alle nuove limitazioni imposte al lavoro femminile dal decreto legge del 5 settembre 1938 31, Luigia Pirovano, la direttrice del foglio, che dal 1933 si chiamava «Attività Muliebre» e che nel corso degli anni aveva dovuto adattarsi progressivamente alla realtà politica, si rivolgeva a certi giornali femminili criticandone l’ambivalenza. In un editoriale molto duro: Due parole fra noi donne, la direttrice sosteneva la necessità del «sacrificio di abbandonare posizioni splendide faticosamente raggiunte», ma lo rivendicava come una scelta di sacrificio e di patriottismo, parole che ricorrono spesso nel suo editoriale:
NOTE 1 Ringrazio vivamente il Prof. Luciano Pazzaglia, Direttore dell’Archivio per la Storia dell’Educazione in Italia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia e il Prof. Fulvio De Giorgi, che hanno dimostrato apprezzamento per questa testimonianza sulla stampa del periodo fascista, ospitando la mostra iconografica sulla donna nella satira durante gli anni del fascismo, assieme allo stimolante seminario di studio su “Immagine e realtà. Donna, Educazione, Fascismo”. L’apporto dei collaboratori dell’Archivio è stato prezioso e ringrazio in particolare la dott. Renata Bressanelli e la dott. Sara Lombardi. 2 La biennale internazionale di umorismo femminile è stata ideata e organizzata, dal 1985, da Luciana Tufani, titolare della Casa editrice Tufani e dal Centro Documentazione Donna di Ferrara 3 Le venti autrici contemporanee esposte nella mostra, presso il Castello di Ferrara, sono rappresentate nel catalogo Così ridiamo, Tufani, Ferrara 1999. 4Vedi R.Coarelli e A.M.Imperioso (a cura di), Così ridevano, Raccolta di vignette satirico-umoristiche sulla figura femminile nei periodici milanesi: 1870-1925, Tufani, Ferrara 1999. 7 Dalle pagine de «Il Popolo d’Italia» del marzo 1926, trapela l’attivismo delle associazioni femminili lombarde per raccogliere la documentazione necessaria all’iscrizione delle donne nelle liste elettorali: vengono citate l’Unione Femminile Nazionale, l’Associazione generale delle operaie, i Fasci femminili, il Comitato lombardo per il suffragio femminile, ecc. L’Unione Femminile Nazionale organizza anche «corsi serali rapidi per le donne del popolo» per conseguire il diploma scolastico richiesto dalla legge. Da più parti viene chiesta al Ministero dell’Interno una proroga del termine per la presentazione delle domande di iscrizione nelle liste elettorali. All’indomani della sconfitta, l’amarezza determinò reciproci scambi di accuse e polemiche fra le rappresentanti dell’associazionismo femminile italiano. Ester Lombardo, l’intraprendente curatrice della Rassegna del Movimento Femminile Italiano in «Almanacco delle donne italiane» ( nel 1926 la Lombardo, militante fascista, sostituì la socialista Laura Casartelli Cabrini che aveva denunciato le ambiguità del regime nei confronti del movimento femminile anche sul problema del voto), scrisse nella Rassegna del 1927: « […] l’esperimento del voto femminile amministrativo e precisamente delle iscrizioni alle liste elettorali […] è stato quanto mai sconfortante ed ha fatto dire agli uomini che il voto in Italia era stato chiesto da un gruppo, ahimè! di esaltate (dico, ahimè, poiché c’era anch’io) e che la massa cosciente non la voleva. Duemila iscritte a Roma e cinquemila a Milano rappresentano un fiasco bello e buono. La causa? Cause diverse. Prima, la mancanza di propaganda […]». A fronte di questi eventi, in Inghilterra il Matrimonial Causes Act nel 1923 parifica l’adulterio maschile a quello femminile nella legislazione sul divorzio. Nel 1928 le donne inglesi ottengono il voto alla stessa età degli uomini. 11Vedi M.Addis Saba, La corporazione delle donne, Ricerche e studi sui modelli femminili nel ventennio fascista, Vallecchi, Firenze 1988 12 Fra i tanti romanzi sull’argomento: M. Van Vorst, La dattilografa e l’amore, Salani, Firenze 1933; G.Gerbino, Barbara la dattilografa, Morreale, Milano 1929; G. Andini, Bianca, la piccola dattilografa: emozionante romanzo, S.L.Ne’ Tip.1932; C. Mandel, Il romanzo di una dattilografa, Studio Letterario, Milano 1943; R. Bazin, Il matrimonio della signorina gimel dattilografa, Salani, Firenze 1930; Il matrimonio della dattilografa, Cappelli, Bologna 1928; Dyvonne, Titti, dattilografa e lui, Salani, Firenze 1934; G. Filotti, Ideali delle dattilografe, Tip. Ind. Piemontese, Torino, 1932; L. Peverelli, Sogni in grembiule nero, Mani di Fata, Milano 1940. 16 La penalista Lina Furlan, nel 1939, precisa che le iscritte all’Albo degli Avvocati sono due mentre nell’Albo dei Procuratori la schiera è più numerosa. Rispetto ai pregiudizi dell’opinione pubblica sulle donne avvocato, aggiunge: […] «La donna avvocato non casca nel ridicolo o nel sentimentale né coll’esporre tesi assurde, né coll’assumere atteggiamenti da Crocerossina verso i delinquenti che deve difendere. La mia comprensione delle manchevolezze di coscienza e di tutte le debolezze dell’istinto non si trasforma in solidarietà. La mia fraternità non arriva sino all’evangelico bacio del lebbroso. E non credo di cadere nel peccato di superbia se io mi impongo di mantenere le distanze […] Si ricomincia poi all’indomani con cuore vergine ad analizzare nuovi drammi, confidando solamente nella forza della nostra parola, nel gioco della nostra dialettica.» Cfr. L.Furlan, Le donne avvocato dell’Almanacco Annuario “donne italiane”, «Attività Muliebre», 4-5-6, (1939), IX, p.6. 18 Secondo gli elenchi delle donne professioniste stilati dall’«Almanacco della donna italiana» nel 1938, le donne medico in Italia erano 297. La maggior parte delle “medichesse” dell’epoca si dedicava alle malattie di donne e bambini, che richiedevano «speciale finezza e pazienza»: radioterapia, malattie cutanee, laringologia, ed erano inserite nelle opere assistenziali, in dispensari antitubercolari, scuole di puericultura e asili. Cfr. M.A.Loschi, Attualità femminile, «La donna italiana», 5 (1927), IV. 19 N.Tranfaglia, P.Murialdi, M.Legnani, La stampa italiana nell’età fascista, in V.Castronovo, N.Tranfaglia (a cura di) 20 V. Daria Banfi Malaguzzi, Rassegna letteraria, Scrittrici d’Italia, «Almanacco della donna italiana», 1933, pp.135-136. 21 H.Dittrich Johansen, La “donna nuova” di Mussolini tra evasione e consumismo, «Studi storici», 3 (1995), anno 36, p.823. 23 N.Tranfaglia, La stampa del regime 1932-1943. Le veline del Minculpop per orientare l’informazione, Bompiani, Milano 2005, p. 168. 27 La rivista, nel gennaio 1933, cambiava il nome della testata in «Attività Muliebre», ufficialmente per divenire più aderente all’attività dell’associazione: raccogliere notizie, principi e stringere vincoli di solidarietà fra donne che studiano e producono nel campo del pensiero. 28 La Fildis (Federazione Nazionale Laureate e Diplomate) sorse negli anni 1920-22 e fu costretta a sciogliersi nel 1935. 29 R.Carrarini - M.Giordano, a cura di, Bibliografia dei periodici femminili lombardi:1786-1945, Bibliografica, Milano1993, pag.89. 31 Cfr. M.R. Cutrufelli et al., Piccole italiane: un raggiro durato vent’anni, Anabasi, Milano 1994, p.115: «Viene varata una legge che ammette negli uffici pubblici e privati l’impiego di un massimo del 10% di donne in proporzione ai posti e stabilisce l’esclusione totale delle donne da quei pubblici impieghi per i quali siano ritenute inadatte per inidoneità fisica o per le caratteristiche degli impieghi stessi […]».
vedi anche:
11-04-2011 |