Un modo di pensare la politica

 di Laura Disilvestro

 
Natalia Goncharova

 

In un incontro di tempo fa, nella seconda parte della riunione siamo finite a parlare del senso del separatismo femminile e poi più in generale di politica. Ci siamo riferite anche allo scambio di articoli Lea - Bertinotti e ci siamo interrogate su cosa vuol dire inserire il punto di vista femminile nella politica e quali siano i suoi limiti (vedi considerazione finale di Bertinotti).

A un certo momento mi sono ricordata una cosa. Sono andata indietro negli anni fino alla stagione dei cambiamenti e delle lotte femministe. Cosa intendevo dire affermando che il privato è politico? Secondo me quello che principalmente intendevo/vamo dire era che “poteva cambiare”. E questo mi dava un’idea di libertà bellissima, era come respirare aria pura

Se qualcosa è politico vuol dire che la sua forma nasce da rapporti di forza, dalla storia e perciò è modificabile. Politico è il contrario di naturale cosa che noi sentiamo come immodificabile.

Se il lavoro domestico della donna è un fatto politico, non naturale, se dipende dal ruolo che nella società ha assunto la donna rispetto all’uomo, vuol dire che è contrattabile, che si può aprire una nuova stagione, si può dividere con gli uomini, sostituire con dei servizi, socializzare.

Si trattava di far entrare quei temi nella politica, nei programmi non perché si dovesse necessariamente legiferare in proposito, ma in quanto si poteva pensare di modificare un assetto, creare un altro modo di pensare, contrattare altre forme organizzative. Niente era immutabile, dato una volta per tutte, naturale, l’essere donna o uomo, confuso spesso con il rispettivo ruolo, poteva modificarsi secondo nuovi rapporti di forza che nascevano anche da una diversa coscienza.

La politica intesa come regno della mediazione, quindi regno del cambiamento.

Per esempio sull’aborto si può legiferare, non è necessario entrare in merito (un peccato, contro la vita, un errore) ma partendo dal dato di fatto che esiste può diventare qualcosa sulle cui modalità si può intervenire per raggiungere il minor danno possibile.

Da questa angolatura la politica non è tanto la gestione del potere quanto la gestione del cambiamento, il posto in cui le cose vengono viste come prodotto storico e contrattabili.

La frase conclusiva di Bertinotti (non si può chiedere alla politica di essere tutto) quindi mi è apparsa meno giusta e ragionevole di quello che mi era sembrata a prima vista. Tutto è politica nel senso che tutto si può cambiare, che realtà prima di ora considerate immutabili, nascoste, quasi invisibili, emergono e diventano oggetto di regole condivise (ad es. le relazioni omosessuali possono diventare pacs).

Nessun campo escluso, anche quello sacro della religione è diventato luogo di libertà religiosa. Non si entra in merito alla natura della religione e non si dà a una religione il potere sulle altre, ma essa entra nella storia, diventa un fatto politico quando viene data la possibilità ad ogni coscienza di esprimersi e a tutti è riconosciuta la libertà religiosa.

Questo è quello che intendo ancora oggi con politica delle donne, far entrare la possibilità del cambiamento nei campi, da sempre considerati naturali e immutabili che riguardano soprattutto la nostra vita. E inoltre far entrare il cambiamento favorendo la donna, le sue ragioni e le sue necessità, perché in realtà il cambiamento è sempre entrato ma sempre seguendo l’interesse del sesso dominante.
 

 06 gennaio 2006