Ritanna Armeni, Una donna può tutto.
1941: volano le streghe della notte

Liliana Moro



Donne e guerra: un rapporto complesso e più stretto di quanto si possa immaginare.

Le donne si rapportano in molti modi alla guerra, campo privilegiato dell'azione maschile. Prevalentemente e tradizionalmente sono vittime, bottino o anche trofeo, dal ratto delle Sabine. Comunque oggetto di violenza. Oppure fungono da pretesto: gli uomini motivano i conflitti armati con la necessità di difendere le “loro donne”, dalla guerra di Troia.

Più recentemente, e superando una posizione di pura passività, si sono adoperate per alleviare le sofferenze che gli uomini si infliggono con le armi. Florence Nightingale, divenuta famosa come "la signora della lampada" per la sua attività durante la Guerra di Crimea, fondò di fatto la Croce Rossa; poco prima Cristina di Belgioioso aveva organizzato gli ospedali della Repubblica Romana.
Durante la Prima Guerra Mondiale la grande Marie Curie abbandonò le sue ricerche per usare le proprietà del radio alla ricerca delle schegge e dei proiettili presenti nel corpo dei soldati francesi.
Per fermarci agli esempi più illustri.
Si noti che queste attività vennero ostacolate dalle gerarchie militari, incuranti della sorte di uomini che non erano più utilizzabili in battaglia e infastiditi da presenze femminili.

Fatto meno conosciuto (e non riconosciuto) è che molte donne hanno partecipato alle guerre con le armi in pugno: dalle Amazzoni alle Curde del Rojava, passando per la Resistenza.

Un caso interessante è quello narrato da Ritanna Armeni in Una donna può tutto.

Siamo in URSS durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo stato sovietico aveva fatto della parità tra uomo e donna uno dei suoi obiettivi ed aveva aperto tutti i suoi ordini di scuola alle donne, così molte ragazze si trovarono a frequentare università scientifiche e tecniche negli anni '40. Lo scoppio della guerra produsse un'ondata di passione patriottica generale e anche in molte giovani che si resero disponibili a contribuire allo sforzo bellico. Soprattutto dopo che la Germania nazista ebbe rotto il patto di non aggressione con l'Unione Sovietica ed invaso buona parte del territorio della Bielorussia e dell'Ucraina.

In questo contesto si inserisce la vicenda delle “streghe della notte” aviatrici che facevano parte di un reggimento esclusivamente femminile e che sparsero il terrore tra le truppe occupanti bombardandole solo di notte.
La scelta era dettata dalla necessità poiché pilotavano dei Polikarpov, piccoli aerei di legno “ricoperto di grossa tela. Ci sono due posti...le due aviatrici rimangono col busto fuori. Non è previsto alcun riparo dal freddo, dalla pioggia e dalla neve. … Non c'è alcuno strumento tecnologico e ottico per prendere la mira... Non c'è posto per i paracadute” (p.93)

Se proprio delle donne volevano volare dovevano accontentarsi di questo. E loro trasformarono questa limitazione in una risorsa, poiché arrivavano non viste, sganciavano le bombe poste sotto l'aereo, poi fuggivano alzandosi rapidamente ed erano così piccoli i loro bimotori che i fari della contraerea faticavano a individuarli. Il panico si sommò alla vergogna per i soldati tedeschi, quando -abbattuto un aereo- scoprirono che gli attacchi erano opera femminile. Così divennero le Nachthexen, streghe della notte.

Una definizione che le riempì di orgoglio, quando ne vennero a conoscenza. Perchè il loro obiettivo principale era superare la diffidenza dei propri 'compagni d'arme', delle gerarchie militari e veder riconosciute le proprie capacità. Erano 200 donne che svolgevano in autonomia tutte le mansioni necessarie, tenendo gli uomini a distanza e sviluppando una forte solidarietà al loro interno. Una solidarietà che mi sembra superi quella classica dei 'commilitoni' perchè non nasce solo dalla condivisione del pericolo e delle difficoltà, ma anche dal riconoscimento reciproco del proprio inatteso valore. Legame confermato dal fatto che a guerra finita si sono riviste una volta all'anno.

Hanno usato la guerra come occasione di emancipazione e la coscienza che “una donna può tutto” rimase per molte di loro anche dopo, nella vita civile, quando delle loro imprese era stata dolcemente e inesorabilmente cancellata la memoria.

La loro storia arriva a noi attraverso i ricordi che l'ultima sopravvissuta, Irina Rakobolskaja, narra a Ritanna Armeni e a Eleonora Mancini. Irina, che era la vicecomandante del reggimento, ha superato da un pezzo i 90 anni ma è ancora lucidissima ed esprime una personalità forte e decisa. Del resto nel dopoguerra ebbe una brillante carriera come docente di Fisica all'Università di Mosca.

“Irina ci ha dedicato il suo tempo, ci ha mostrato libri, fotografie, carte geografiche. Ci ha offerto tè, torte e frutta. Ci ha raccontato dei suoi figli... Alla fine degli incontri uscivo con una sensazione di pienezza che mi prendeva la testa, il cuore e lo stomaco... Era lei che decideva che cosa voleva dirci e il momento giusto per farlo” (22).

Come avviene sempre più di frequente, le storie di donne in cui mi imbatto sono sorprendenti nei contenuti inattesi, che si collocano assolutamente fuori dagli stereotipi di genere.
Tuttavia seguono uno schema ricorrente:
- vicende taciute, nascoste, lasciate cadere fuori dalla storia, fino a che una donna, a distanza di anni, non raccoglie un lembo di memoria e la solleva, la illumina, scoprendone magari la folgorante attualità;
- donne che sentono il dovere di partecipare alle imprese degli uomini, sia perchè ne condividono gli scopi ma soprattutto per dimostrare di saperlo fare, di poterlo fare;
- il mondo maschile in difficoltà accetta il contributo stra-ordinario, ad emergenza finita, però, tutto deve rientrare nella normalità, nella norma dello squilibrio di genere.

 

Ritanna Armeni, Una donna può tutto. 1941: volano le streghe della notte,
Ponte alle Grazie, 2018, pagg.230, € 16


4-05-2018

 

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