Collaboratrici pubbliche ?
di Ileana
Montini
Leggendo l’articolo di Lea Meandri Le immaginarie
‘sintesi’ di Veltroni mi è venuto in mente un ricordo mai sbiadito
della giovinezza.
Erano gli anni sessanta
e partecipavo ai convegni, in qualità di dirigente, del Movimento
Femminile della DC a Ravenna dove veniva sempre, a "portare un saluto”
l’on.Benigno Zaccagnini, figura eminente della Resistenza e della
commissione che aveva preparato la Costituzione.
Saliva sul palco, si sedeva accanto alle dirigenti e quando era invitato a
parlare prima o poi diceva che la Resistenza doveva molto alle mamme e
alle nonne che nelle retrovie vi avevano contribuito con il procacciare
il cibo, riparare gli indumenti ecc.; insomma, con quello che ora
chiamiamo il lavoro di cura.
Ricordo che provavo invariabilmente un certo fastidio perché mi appariva
prima di tutto riduttivo in quanto molte donne, giovani e non, avevano
fatto la Resistenza in montagna e in pianura
come “combattenti” e poi perché mi pareva che volesse, inconsciamente,
invitarci a non montarci la testa con l’appena nato sistema democratico
repubblicano rispetto alla parità dei sessi in politica.
Insomma, il
complimento, che tale doveva suonare per tutte, era in fondo un messaggio
subliminale indirizzato alle donne che cominciavano a chiedere di poter
esserci in regime democratico con pieno riconoscimento e potere.
Quando poi, nel 1968, come Movimento Femminile riuscimmo a ottenere
(faticosamente) due candidature autorevoli: quella di Tina Anselmi a
Treviso e di Franca Falcucci (Delegata Nazionale del M.F.), il Partito ci
lesinò i quattrini per la campagna elettorale, a tal punto che a Roma ci
mobilitammo noi dirigenti (fu della partita, per esempio, anche Rosa Russo
Jervolino) per curare la campagna elettorale di Franca Falcucci.
Con amarezza questi
ricordi sono appunto tornati all’alba del lancio di Veltroni
nell’avventura del nascente PD perché, come scrive Lea, il suo stile è
paternalistico, come lo era quello dell’on. Zaccagnini, figura per tanti
aspetti autorevole e ricca di umanità.
Sembra proprio che gli
uomini – e diciamolo pure soprattutto i “nostri” italiani - siano
inguaribilmente segnati ancora dall’ipocrisia e dalla doppiezza in uso da
sempre presso la Chiesa Cattolica.
Appunto, ipocrisia che trasuda anche nell’affermazione di quella alleanza
necessaria e auspicabile tra i sessi, di cui aveva parlato il cardinale
Ratzinger nella “lettera alle donne”, quale base della naturale famiglia
eterosessuale.
Nella sostanza cosa è mutato dai tempi dell’on. Zaccagnini il linguaggio
politico era infarcito di inviti alle donne a collaborare (“collaborare”)
alla “cosa pubblica, al "bene comune"; il tutto subordinato ai primari
“doveri familiari”?
D’altronde l’assenza
tradizionale e soprattutto italiana, di strutture di Welfare per bambini e
anziani (tra l’altro), sarebbero da analizzare rispetto ai motivi della
permanenza della tradizione patriarcale nel nostro Paese in maniera più
forte rispetto alle altre democrazie europee come la Francia.
Nel pensiero e nello stile veltroniano -che non caso risulta rassicurante
anche a una certa Destra- c’è in fondo, in fondo, un certo cattolicesimo
mentale e pratico.
Vale per tutti? Direi
di sì e a proposito vorrei citare quanto a me è accaduto lo scorso anno
durante la campagna elettorale.
Ebbene, leggo in rassegna stampa on line che il quotidiano la Stampa avrà
l’on. Pecoraio Scanio a disposizione per rispondere alle domande dei
lettori.
Decido di provarci e scrivo l’e-mail per chiedergli delle candidature
femminili.
Un anno dopo leggo per caso in Internet la risposta che suona più o meno
così: “mi auguro che vengono elette al 50 %”.
05/07/2007 |