RUJIEB

 venerdì 8 novembre 2002

 

Sveglia alle cinque. Ho dormito come un ghiro su questi materassi messi per terra con una coperta variopinta. Phil, assai sensitivo, che dorme nella mia stessa stanza sostiene che ci siano le pulci. Andrea si limita a commentare che russo, ma lo dice in tono mite. Tanto lui dorme lo stesso

Partiamo alle sei sulle scalchignate automobili della famiglia Dweiket che comunque ci portano solo fino all'inizio della salita. Il vecchio signor Dweiket ci aspetta alla sua stalla con un asinello, unico mezzo di trasporto ammesso. Ci inerpichiamo per la salita, sopra di noi c'è una postazione dell'esercito, dietro le nostre spalle, Nablus si indora al sorgere del sole come in un quadro di David Roberts. La terra è rossa

Un branco di gazzelle salta sulle rocce. I Palestinesi ce l’hanno con i  coloni perché tra le tante angherie che mettono in atto, impediscono la caccia delle gazzelle. Arriviamo in cima e attraversiamo la bypass road che porta all'insediamento. Nessuno in vista. Il comandante del DCO ha sentenziato che l'esercito ci può proteggere solo sabato, evidentemente conta sul fatto che i coloni rispettino scrupolosamente lo shabbath e non vogliano uscire di  casa.  Quanto a venerdì (oggi), ha detto, non può garantire niente. Ma la famiglia Dweiket vuole fare il suo raccolto e vuole farlo in due giorni. Siamo quasi alla fine della stagione il tempo stringe

Eccoci  finalmente nell'oliveto. Siamo in tanti, sono le sette. Ci mettiamo subito al lavoro, in silenzio. Si vedono le case dell'insediamento ma non guardiamo da quella parte. Cerchiamo di stare al riparo degli alberi.  Qualcuno commenta che ieri l'atmosfera era più rilassata.  Quando sono le otto Leonie bisbiglia "so fino ad ora tutto bene ". "Inch'allah". Arrivano le nove, le dieci, le undici, nessuno compare. L'atmosfera si fa più tranquilla
 
Il sole scotta, il Ramadan infierisce sui poveri contadini che non possono nè mangiare nè bere, nè tampoco fumare. Per noi infedeli viene imbandito un picnic di pane e olio e acqua. Ogni tanto l'asinello lancia una raglio di protesta, sulle prime viene azzittito in modo poco gentile con un paio di pedate, ma col passar del tempo anche l'asinello viene lasciato libero di lamentarsi. Dall'altra parte della valle risponde un suo fratello, di certo anche i contadini del villaggio di Beit Furik stanno approfittando della distrazione dei coloni. Oppure i coloni sono tutti da loro, perché qui non se ne vedono. E forse è proprio così perché dopo un po' arriva un appello dalla sede centrale dell'ISM: cercano volontari per Beit Furik

Ogni tanto qualcuno si stravacca sotto una pianta cercando di schiacciare un pisolino, ma il  vecchio papà  non perdona, non si ferma un momento e incita tutti "Ialla, Ialla" non c'è tempo da perdere

Non appena  due sacchi sono pieni l'asino viene caricato e viene spronato su per la china per portare le olive raccolte in un luogo sicuro, una grotta vicino alla strada dei coloni

Il campo è stato trascurato, l'anno scorso non si è potuto raccogliere né lavorare la terra, né potare le piante, e le olive sono troppo mature e troppo piccole. Qualche pianta viene presa rabbiosamente a bastonate e le olive schizzano giù come una grandinata

Verso le tre del pomeriggio siamo tutti piuttosto cotti ed è ora di tornare a casa. Risaliamo fino alla strada. Ciascuno degli uomini si carica sulle spalle un pesantissimo sacco e se ne va barcollando, cercando di correre per fare più strada possibile prima di non farcela più. Arriva una camionetta con dei soldati. Karen, salottiera, dice "Good afternoon, nice weather, a bit too hot after a day's work". Quelli la guardano come se fosse un'aliena, ma intanto gli viene da ridere e l'effetto terrore è rovinato. I contadini estraggono le loro carte di identità verdi, a noi nessuno ci chiede niente. "Abbiamo il permesso, mente Joy, abbiamo parlato ieri con il DCO". "Oh, davvero, e con chi avreste parlato?" "Con Ben, lei butta là con noncuranza". "Ah. Ben. Va bene, andate" "Grazie, buona serata". Non rispondono, girano la camionetta e se ne vanno

Scendiamo fino a dove il trattore può arrivare senza correre pericolo e finalmente arriviamo in fondo alla valle, a casa. "Domani  finiamo, inch'allah" dice il vecchio signor Dweiket. Se dio vuole, appunto.

A casa, Rada, timidamente mi chiede "mangi lo yogurt?" "Certo che sì, dico io, mi piace tutto". Anche la carne, anche il pollo?". Dico che la carne mi piace moltissimo. Mi abbraccia come se fossi un'ancora di salvezza. Non deve capirci molto con questi veganisti che non mangiano altro che verdure quando la sua cucina potrebbe offrire ben altro

A cena però mi aspetta Shama, che ieri mi ha prestato i suoi vestiti e si è tenuta i miei tutti lerci per lavarli. Ci andiamo Andrea, io e Phil, che è solo preoccupato di trovarsi di fronte a qualcosa di impuro come formaggio o brodo di pollo. Shama ha un cuore ribelle e parla liberamente della sua vita di donna. Non vorrebbe mai che ce ne andassimo. Non è facile per una donna parlare con qualcuno in questo paese chiuso dall'occupazione e dalle rigide regole dell'Islam.  Ha quattro vispi figli, tre sono ragazzine molto belle e molto eleganti, con grosse  trecce di capelli lucenti, neri

"Le mie figlie non si sposeranno" fa Shama, "loro potranno andare all'università". Rawan e Farah vogliono studiare medicina, Qarahn vuol fare la maestra. Invece Weeham, il maschietto, vuole diventare calciatore. Come Ronaldo

 

Adriana

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