Chi ha paura del sogno d'amore?
di Lea Melandri

Mary Cassat
L'idea di felicità non è entrata a far parte della sfida lanciata dal
femminismo al potere. Ripensare l’astratta contrapposizione tra sé e il
mondo e immettere nella politica la spinta che viene da un’autentica
ricerca esistenziale, potrebbe essere un progetto oggi condivisibile da
uomini e donne.
Se il separatismo, all'inizio degli anni '70, è stato per i primi gruppi
femministi una scelta, consapevole delle rotture e delle sofferenze che
avrebbe provocato, nelle amicizie, negli amori, nei legami famigliari e
politici, oggi è un dato di fatto a cui né uomini né donne sembrano fare
più caso. Intorno alla problematica dei sessi si era aperto allora un
conflitto che, pur prendendo le distanze dalla grande unità della classe
rivoluzionaria, aveva mantenuto un dialogo aspro e appassionato, nella
sfera personale come in quella pubblica, tra movimento delle donne e
sinistra extraparlamentare.
Il "dialogo col femminile" viene ripreso oggi da un gruppo esiguo di
uomini che da anni si interrogano sulla maschilità e che tentano di dare
agli incontri uno spazio pubblico e il carattere della reciprocità. Dei
tre giorni trascorsi presso la Libera Università dell'autobiografìa di
Anghiari (giugno
2004) scrive Stefano Ciccone sulla rivista "Pedagogika" (dicembre 2004) e,
quello che viene in primo piano è un desiderio di comunicazione che si
rivela ancora carico, come era prevedibile, della "diffidenza" prodotta
dal sedimento di pregiudizi, sogni e delusioni, che ognuno si porta dietro
nei confronti dell'altro sesso, ma anche della propria storia.
Diffidare, interrogare il non detto, scavare dentro ogni parola, era stato
anche il modo con cui la pratica dell'autocoscienza era riuscita a
scalzare, partendo dal racconto che ognuna faceva di sé, adattamenti,
complicità e ribellioni improduttive. Se nessuna dubita che la "presa di
coscienza" della diversa sorte toccata a uomini e donne sia stata un fatto
liberatorio, poco tuttavia è stato detto su quanto abbia comportato di
fatica, sforzo, dolorosità, solitudine, la ricerca di un'autonomia da
affetti, convinzioni, amori che sono arrivati fino a noi con la forza
inattaccabile di una presunta "naturalità".
Nel saggio Una stanza tutta per sé,
Virginia Woolf
introduce due immagini illuminanti per dire quali sommovimenti
profondi e quale "innaturale" contorsione comporti il «pensare un sesso
indipendentemente dall'altro». Nelle pagine iniziali è la comparsa di un
gatto senza coda, che la protagonista vede passare davanti alla finestra,
a segnalare che alla conversazione che si sta svolgendo tra uomini e donne
attorno al tavolo del pranzo,con la piacevolezza di sempre, è venuta a
mancare in realtà qualcosa, quella «specie di ronzio inarticolato eppure
musicale, eccitante», come i versi di una poesia d'amore che in momenti
analoghi, prima della guerra, passava tra i commensali. Un'atmosfera, un
sentire comune inconsapevole, un'armonia che, in altre pagine, troverà una
rappresentazione più esplicita nella coppia, un uomo e una donna, che
Virginia vede salire insieme su un taxi. La tensione accumulata nel dover
occuparsi specificamente della letteratura femminile si allenta quando
ricompare la «forza trascurata e nascosta» che vuole il maschile e il
femminile ricomposti nella mente, prima ancora che nel rapporto tra due
persone reali.
Forse non è un caso che il sogno d'amore non sia entrato nella sfida che
il femminismo ha inteso portare alla politica, come se l'idea di felicità,
per le sue remote origini, non potesse che restare la "preistoria" degli
umani, il luogo «dove le acque si confondono», e di cui si può pensare,
come ha scritto Pierre Bourdieu, che sia un'isola scampata miracolosamente
alle logiche del dominio, o la più insidiosa, perché la più invisibile,
delle violenze simboliche.
Ma rivedere l'amore nel suo "anelito primordiale" che vorrebbe, come dice
Freud, "fare di due uno" non voleva dire solo aprire uno strappo
intollerabile nell'illusione eterna della coppia, ma considerare il
dualismo come uno degli "enigmi" della storia, la struttura portante delle
istituzioni e dei saperi che la vita pubblica si è data via via nel tempo.
Lo
spartiacque che ha diviso la storia da un "altrove", considerato parte
della natura, è strettamente connesso alla lacerazione che si è aperta in
quella realtà indivisibile che è il singolo, costretto a cercare
inutilmente nel sesso diverso la completezza di corpo e mente, sensibilità
e intelligenza, che è già in sé.
La
complementarità tra maschile e femminile, e la fatale tendenza alla loro
riunificazione, sono il motore primo di ogni processo dialettico, la
ragione delle attese sempre deluse di chi aspetta da fuori il
riconoscimento che non riesce a dare a se stesso. Dopo un decennio in cui
il femminismo, sia pure con molti ostacoli e lentezze, aveva tentato di
esplorare le zone più oscure dell'esperienza, intersecando privato e
pubblico, biologia e storia, vissuto e realtà storica, con l'ingresso
nelle università e nelle istituzioni tradizionali della politica, il mondo
è tornato ad essere, anche per molte donne, quella "brutta scenografia"
che, come dice Marco Deriu
(sul numero sopra citato di "Pedagogika"), "esiste là fuori", su cui si
crede di poter intervenire e produrre cambiamenti.
La prova
di quanto le donne abbiano fatta propria una rappresentazione del mondo
dettata dall'intelligenza maschile, è il ritorno, da cui neppure il
femminismo è stato esente, a quella concezione strumentale della politica
che «tende a reificare i valori e i desideri di cambiamento sociale,
trasformandoli in qualcosa di esterno, di oggettivo, di quantificabile».
Ripensare l'astratta contrapposizione tra sé e mondo e immettere nella
politica la spinta che viene da un'autentica ricerca esistenziale,
potrebbe essere un progetto oggi condivisibile da uomini e donne disposti
a scoprire, attraverso la critica di astratte "differenze", le diversità e
le somiglianze reali tra i sessi, ma anche tra un individuo e l'altro.
questo articolo è apparso in Queer, inserto di
Liberazione
della domenica, il 3 aprile 2005
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