Donne nella seconda guerra mondiale
Liliana Moro


Ausiliarie della RSI

Un gruppo partigiano

 

 

Alcune riflessioni a partire da una ricerca storica sulle donne che hanno aderito alla RSI, quelle che negli anni 1943-45, quando l'Italia era teatro di guerra, si schierarono dalla parte del fascismo e del nazismo, contribuendo o partecipando direttamente ad arresti, deportazioni, torture.

L’incontro con Roberta Cairoli, autrice di Dalla parte del nemico. Ausiliarie, delatrici e spie nella Repubblica Sociale Italiana (1943-1945), (Mimesis,2013) mi ha permesso di approfondire due questioni: il tema della violenza e quello della presenza delle donne in scenari maschili, di come le donne giocano il gioco della guerra, a cui non sono estranee, anche se e quando non combattono.

Si considera naturale e spontanea una profonda affinità tra le donne e la pace dal momento che le donne difendono la vita, sempre e comunque, e quindi si collocano all'antitesi della guerra, ne sono radicalmente estranee. Per converso negli uomini sarebbe innata la propensione al combattimento. Queste sicurezze vacillano ora che le donne non sono più escluse dall'uso delle armi, sia negli eserciti regolari, sia nei gruppi combattenti di vario tipo. Mentre sempre più uomini si schierano per la pace e in molti stati il servizio militare non è più obbligatorio per i cittadini di sesso maschile.

Al di là degli stereotipi, che sono rassicuranti sia per gli uomini che per le donne, ci sono i comportamenti reali, che emergono in modo chiaro soprattutto in situazioni, in momenti particolarmente forti e di vuoto di potere, di sbriciolamento dei ruoli, di smarrimento del consolidato, come nelle guerre appunto.

L’aveva già ben rilevato Anna Bravo quando scrisse con Anna Maria Bruzzone, In guerra senz’armi: il vero eroismo in guerra lo mostrano le donne, gli uomini si ammalano e le donne prendono in mano la situazione, mostrando coraggio, per esempio facendo la borsa nera. Rischiano per mantenere le famiglie, ma escono dalle case anche per fare i lavori tradizionalmente maschili -famose a Milano le tramviere- o per esercitare funzioni direttive nelle industrie, nei laboratori di ricerca, ad esempio la chimica tedesca Erika Cremer inventa il gascromatografo proprio in tale occasione.

Anna Bravo propone una rappresentazione dell’iniziativa femminile in guerra che corrisponde alla funzione materna e c'è un evento molto significativo, di cui parla giustamente come “Maternage di massa” : il fenomeno della conversione dei militari in civili. Un atto davvero simbolico e anche concretissimo di rivestimento che moltissime donne comuni italiane fecero all’indomani dell’8 settembre, regalando abiti normali ai moltissimi soldati che, abbandonati dai loro comandanti, lasciarono le caserme e se ne andarono a casa. Un fatto storico ampiamente dimenticato, perché normalmente quello di cui sono protagoniste delle donne viene sottovalutato e poi lasciato prontamente cadere nell'oblio.

Non fosse per le citazioni sparse nei film di guerra e nella memorialistica, questa gigantesca operazione di travestimento -forse la più grande di tutti i tempi- sarebbe rimasta quasi del tutto ignorata ... Le donne che svestono e rivestono i soldati, disfano quello che l'esercito ha fatto, ma possono farlo solo in modo precario e parziale... resta intatto il rilievo simbolico, e resta quello politico. Cambiare status a un individuo, da militare farlo rinascere civile, attiene al giuridico allo stesso modo del suo precedente inverso, che ha trasformato il civile in militare.” (Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senz'armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, 1995, pag.68)

Ma nella seconda guerra mondiale le donne italiane non compiono solo quelle azioni che sono state definite “resistenza civile”, non fanno solo le crocerossine, prendono anche le armi, sia nelle formazioni fasciste che in quelle partigiane.
Come Elsa Oliva (1921-94) i cui ricordi sono stati raccolti nel fondamentale testo di Bruzzone e Farina. Oliva nel corso della Resistenza è arrivata a comandare un gruppo militare, le hanno poi dato il grado di tenente, e racconta:

Dopo un paio di giorni che ero in formazione, chiedo di riunire gli uomini perché io avrei voluto dire una cosa. Avevo visto che c'era qualche giovane che mi usava dei riguardi diversi... Ho detto...”Non sono venuta qui per cercare un innamorato. Io sono qua per combattere e ci rimango solo se mi date un'arma e mi mettete nel quadro di quelli che devono fare la guardia e le azioni.” (Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina La resistenza taciuta, Bollati Boringhieri, 1976, pag 140)

Spesso questo viene negato poi, anche le partigiane sono per lo più ricordate come staffette.
Le “donne di Salò” negano di aver usato le armi, non dicono di aver agito della violenza, si riservano un ruolo di assistenti, quasi una funzione materna nei confronti dei combattenti.

In effetti l'uso delle armi è senz'altro minoritario, la violenza femminile è piuttosto trasversale, non diretta. Le donne colpiscono attraverso gli uomini. Le delazioni compiute durante la RSI a volte erano vendette, esito di rancori a lungo covati, magari verso persone più ricche, benestanti. Alcune hanno denunciato il marito per liberarsene: con il divorzio non sarebbe stato necessario.
A impedire l'uso diretto della forza nelle donne è un blocco interiore che magari in guerra cade. La violenza, l’aggressività femminile è un tabù, sta nei territori del non-detto, dell'impensabile. E allora assume forme contorte.

Molte hanno operato perché volevano essere come gli uomini, portare avanti i “valori” maschili.
Le ragazze che scelsero Salò... seguirono valori tipici del genere maschile, che erano stati loro inculcati con l'educazione” (Marina Addis Saba, La scelta, Editori Riuniti, 2005, pag.157)
Volevano finalmente vivere delle avventure, come gli uomini, essere importanti, protagoniste sulla scena pubblica. Una possibilità sempre negata dall'ideologia e dalla politica fascista che ha promulgato leggi per escluderle dall'istruzione superiore e anche dall'insegnamento nei licei, dalle libere professioni. Suscita interrogativi l'adesione di tante al fascismo, che porta avanti una politica restrittiva nei confronti del lavoro e dell’istruzione femminile e ha una visione così svilente delle donne.
Come è ben dimostrato dalla mostra “La donna nella satira fascista” organizzata da Anna Maria Imperioso e Rossella Coarelli.

L'estraneità dalla politica diventa irresponsabilità, proprio nel senso di non-responsabilità, posizione che viene usata dalle delatrici, a guerra finita, in funzione difensiva davanti ai tribunali: se anche hanno commesso qualche delitto sono comunque non-responsabili delle proprie azioni. La cosa funziona perché corrisponde perfettamente all'immaginario maschile, i giudici nei processi condividono in pieno questo giudizio: molte Corti pronunciano un verdetto assolutorio perché l'imputata ha agito sotto impulsi passionali o influenzata dagli uomini che frequentava. Ad esempio in una sentenza del tribunale di Cuneo si legge : “ i contatti che manteneva … con gli elementi nazifascisti più elevati, non a scopo politico, ma per ragioni amorose”. Si riferisce a una giovane che "per intercessione di uno dei suoi amanti si era assicurata un impiego presso la prefetttura, arrivando a percepire uno stipendio mensile di 3000 lire" ( Dalla parte del nemico., pag.41). Per un raffronto si tenga presente che la taglia pagata dalle autorità per un uomo di "razza ebraica" era di 5000 lire e per una donna di 2000.

In fondo hanno aderito al fascismo ma senza nemmeno capire bene di che si trattasse. Le donne sono considerate delle eterne bambine, sono immigrate in un territorio non loro. E questo vale anche in altri momenti storici:

In quanto “sesso lussurioso, disordinato e instabile” le donne non sono state ritenute complessivamente responsabili “del loro operato” scrive Natalie Zemon Davis citata da Jean Bethke Elshtain, (Donne e guerra, Il Mulino, 1991)

La ricerca di Roberta Cairoli è condotta sugli atti processuali e documenta con precisione e dovizia i casi di donne finite sotto processo per azioni di delazione, spionaggio. La Corte di Cassazione le scagiona in seconda istanza in seguito all'amnistia Togliatti, ma io credo anche perché nel 1946 si era ormai fuori dall'emergenza e occorreva che le donne tornassero 'al loro posto', a casa, ad occuparsi d'altro; meglio passare la spugna su tutto quel sangue che avevano contribuito a spargere. E che gli uomini riprendessero in mano la situazione.

Altro che irrazionali e irresponsabili: proprio in quel momento storico lo schierarsi nelle fazioni in lotta, per le donne che lo fecero, risponde a una scelta più forte di quella degli uomini. Le fasciste non erano state arruolate, le resistenti non dovevano sfuggire alla leva, come i loro coetanei. Ciascuna si mosse per motivazioni interne, non costretta dalle circostanze.

Quando le donne si muovono in territori maschili, per lo più incarnano il sogno dell'uomo, perchè sono bravissime ad adeguarsi : la capacità camaleontica venne appunto sfruttata dalle spie che attraversavano la linea del fronte; attraversare i confini, gli schieramenti è una peculiarità femminile.

Mi sembra di poter dire che in situazioni belliche, molte donne agiscono per imitazione: desiderano fortemente essere come un uomo e mostrare di valere allo stesso modo, di non essere inferiori. Un'altra spinta potente è l'adesione affettiva: seguire i convincimenti di fidanzati, mariti, fratelli. In questo caso lo fanno in modo totale e acritico, con dedizione assoluta, con la volontà di sacrificarsi fino alla fine e contro tutti. Buttarsi “a corpo morto” si dice, e in effetti le donne in questo dimenticano, abbandono il proprio corpo, la propria identità di genere, in qualche modo. Lasciano fuori la testa. La loro testa, il pensiero femminile autonomo. E la solidarietà tra donne.

Rivelatore il fatto che l'accusa che le donne fasciste lanciavano alle partigiane era quella di essere prostitute, facendo proprio un giudizio maschile sulla condotta sessuale.
Del resto il timore di una simile accusa tenne lontane molte partigiane dalle manifestazioni dei giorni della Liberazione nel 1945: per una donna rimane sempre prioritario il giudizio sulla sua sessualità piuttosto che sulla sua moralità civile.

 

26-02-2014

 

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