La twilight zone di Agnese Seranis
di Daniela Pastor


Ho incontrato la scrittura di Agnese Seranis quando mi trovavo nella twilight zone (zona di crepuscolo). Si chiamava così, in originale, la serie televisiva americana nota in Italia come Ai confini della realtà, ma twilight zone era anche il titolo che scelsi con le allieve della 5 l del liceo linguistico di Lodi,nel ’96, per il progetto interdisciplinare di classe sulla letteratura fantastica, nel senso più ampio, dal sogno, alla fantascienza, alla suggestione dell’incontro con la propria metà oscura.
In quell’occasione, al gruppo di studenti che si occupava della figura dell’alieno, consigliai la lettura di Noi, abitanti di improbabili futuri,  un saggio di Agnese Seranis, pubblicato sulla rivista Lapis del giugno ’94.

L’ho ripreso in mano in questi giorni e la conclusione mi ha fatto quasi sobbalzare: Ah, come mi piacerebbe bucare la dimensione del tempo e incontrare una nostra figlia spaziale per sapere come ci siamo giocate attraverso le migliaia, i milioni di anni a venire,  scriveva allora.. Ma è Clarissa, mi sono detta, la protagonista del suo ultimo libro (Clarissa, ed. Nuove scritture, 2005). Già quando ce lo presentò   all’università delle donne a Milano, nel 2006, le dissi che per me lei è una grande scrittrice di fantascienza,  “una visionaria”, creatrice di  immagini potenti; mi chiedo che cosa sarebbero nelle mani di Spielberg o di Zemeckis  gli abiti senza più corpi del primi capitoli,  il cielo bianchissimo con striature rosso, arancio,  sempre più intense, e i bambini blu.

Non  è certo una novità che una scienziata si occupi di fantascienza o di fantasy: lei stessa nell’ articolo ricorda Asimov e Clarke, ma citerei, fra i più recenti, Paul Anderson,  Robert Jordan, o l’astrofisica Licia Troisi.
Ciò che contraddistingue la Seranis  e  rappresenta il suo fascino è proprio il fatto che lei si muova molto bene nella twilight zone, in un percorso tutto suo fra scienza, sogno, fantascienza e scrittura di esperienza,  come già illustrato nelle righe iniziali del già citato saggio su Lapis: Fantascienza come futuro potenziale, come realtà metafisica, già presente nei sogni umani. E se di essa si vuol parlare come luogo di scrittura, potremmo dire che lì vi si trovano come diritto di cittadinanza ogni fantasia, ogni capovolgimento dimensionale, ogni distorsione e assunzione di nuovi confini fisici e psichici, ogni visionarietà …Ossia, nel gioco di una scrittura improbabile si rarefà, si dissolve ogni inibizione  al disvelamento di strati profondissimi dell’essere umano.

Nel suo secondo romanzo, poi, Il filo del discorso (Eura press, 1997)  la Seranis scrive .
Bisogna obbligare gli alieni all'esistenza. A un'esistenza consapevole. A un'esistenza immersa in un universo di cui ci si ferma ad ascoltare il respiro.
Ecco, nei  pensieri/sentieri lunari di questo romanzo (Smarrirsi in pensieri lunari, Graus editore, 2007) io sono andata alla ricerca di questo alieno consapevole, di tracce di un impianto fantascientifico che svelino parti profonde di sé. Naturalmente la mia non vuole essere la chiave di lettura dell’opera della Seranis, è solo un sentiero che mi è piaciuto percorrere, seguendo certe immagini, certe suggestioni, a partire dal nome che la protagonista sceglie per sé, Alice.

L’Alice di Lewis Carroll era entrata nel Paese delle meraviglie, e nel secondo libro, quasi un’opera horror, Attraverso lo specchio, la bambina si ritrova in un labirinto, una grande scacchiera, dove rischia di esistere solo se il Re rosso, il maschio, quindi, la sogna.
L’Alice di Agnese Seranis, invece, mi sembra aver fatto il percorso inverso, che provenga da oltre lo specchio, che si ritrovi in questa terra come una moderna E.T., ma vista dall’interno, una specie di La donna che cadde sulla terra, traslando il titolo del romanzo di Walter Tevis, L’uomo che cadde sulla Terra, da cui Nicholas Roeg trasse il film con  David Bowie.
La protagonista, all’inizio del romanzo di Agnese,  si trova proprio in un pianeta straniero a cui deve dare un nome alle cose: bellissima l’ immagine delle parole che ha in mano come i cubetti di legno dei bambini e  si chiede dove sono ora? Il nome del paese? La salvezza è un nome? Che paura l’indefinito! Ciò che non ha nome può essere in sé ancora tutto? (p.20)
L’unico riferimento per questa novella  E.T. potrebbe essere il linguaggio della scienza (non si dice forse che con un mondo alieno potremo solo comunicare con la matematica?) ma sorgono nuovi dubbi : il cerchio è un luogo di punti, il punto geometrico però non è un punto fisico, ma è puro spirito?(p.30)

Alice quindi  non è un alieno che debba imparare i nomi delle cose, di un mondo esterno a sé, di cui voglia appropriarsi, anzi, ne diffida,  -.. perché loro- gli umani, direi io, gli uomini inparticolare- ti insegnano i nomi di tutte le cose, …tutte le parole che ti servono per quella vita che vogliono loro; i nomi non sono solo dei segni ma hanno un potere che ti possono mettere in gabbia.(p.30)ma ha capito che deve liberare il linguaggio che emerge da una profondità mai raggiunta, che si rivela attraverso immagini che segnalano il legame che tornerà poi profondamente in Clarissa, fra la donna e le origini, il centro, la natura… ci invita ad entrare in quest’ultima fessura , un sentiero in una faggeta dorata che porta in fondo, in fondo, in fondo, dove c’è vita…edemerge alzando il nostro sguardo: io sono  il mare  e tu i pesci, io il cielo e le nubi, il cosmo che pulsa e tu un’onda elettromagnetica che lo attraversa…(p.27)
E’ proprio dalla natura, dai fiori, dal prato, che scopre con gioia profonda, ammetterà, che in realtà  non c’era centro ma ogni punto era ora centro ora periferia e dentro di me ogni cosa si spezzò è cominciò a girare e io mi dissi sono una galassia a spirale con infiniti soli, stelle e pianeti…e non esistono solo questo tipo di galassie, ma anche quelle globulari …e che il cielo è proprio come un prato di fiori e lì  i fiori sono le stelle i pianeti e le galassie.(p.31)

Come anticipavo,  l’aspetto che più mi affascina della scrittura di Agnese è il passare  dopo poche righe dallo sguardo sull’universo, dal fondersi quasi con il cielo, al ‘proprio corpo, alla sessualità, alle più intime corde interiori, come  cercarsi il vero nome proprio, quello che uno ha dentro, e che gli altri spesso non vedono.
Vi invito, se volete, a trovare un vostro sentiero in questo libro, nella fusione fra fantascienza e autocoscienza, per esempio nelle pagine che definirei  sconvolgenti  sulla maternità, in cui lei si sente quasi invasa da un alieno, da un altro essere,che senza pietà mi avrebbe svuotata, mi avrebbe succhiata tutta per poter vivere. (p.60) Sembra una scena de l’Invasione degli ultracorpi,il celebre film di Don Siegel, per trascorrere  poi a momenti diversi in cui sentivi di appartenere alla Natura, e provavi un totale appagamento sapevi perché esistevi : poiché la Vita continuasse.(p.61)

Io preferisco chiudere invece tornando al paragone con l’Alice di Carroll.
Vi dicevo prima che l’Alice della Seranis, a differenza della bambina della fiaba horror,  non è attratta dallo specchio né tanto meno tenta di attraversarlo, non vi si riconosce.Perchè la faccia dello specchio dev’essere quella vera? (p.21)e  ricompare per me, l’immagine di un alieno, con le facce dentro, vecchie, giovani, grande madre, con occhi che guardano dentro e fuori, e nello stesso tempo sento  quello che scrive Lea Meandri nella prefazione : Ma come è riuscita a dire questo? Perché   mi ritrovo  anche profondamente in quel – Sono solo una che ha la faccia dentro che deve venire fuori- e subito dopo  ancora lo scatto della Seranis nel  fantastico: -Accidenti, quando mi guardo allo specchio ogni tanto mi dimentico che sto guardando fuori e allora mi arrabbio e guardo dietro di me per vedere se c’è qualcuno e credo che qualcuno voglia farmi degli scherzi-

Questa immagine mi ha ricordato Borges che nella sua Zoologia fantastica riporta una leggenda  dei boscaioli del Wisconsin e del Minnesota, o forse se l’è inventata lui. C’è un animale che si chiama hide – behind e che sta sempre alle tue spalle, ti segue dappertutto, nella foresta, quando vai per legna; ti volti ma per quanto tu sia svelto lo hide – behind è più svelto ancora e si è già spostato dietro di te; non saprai mai com’è fatto. Per caso, può darsi anche che non ci sia alcun riferimento a Borges, c’è anche un telefilm di Twilight zone, di Ai confini della realtà, in cui il protagonista inventa un occhiale speciale per vedere la specie di mostro, di animale, che ognuno ha dietro alle spalle, e solo quando lo uccide, capisce che è il suo angelo custode.. Per associazione, mi arriva anche l’immagine di una poesia di Montale in cui, forse  un mattino andando in un’aria di vetro, egli si volterà improvvisamente e vedrà il miracolo, la verità che cercava, il nulla alle sue spalle, ma ne avrà una tale paura che continuerà a camminare come gli uomini che non si voltano.

L’Alice di Agnese è una donna, e ha coraggio di ripartire sempre dal nulla, dall’inizio, dallo scendere sempre più in profondità, alla ricerca della sua intima unione con la natura, con la vita e con la morte, e c’è in questo qualcosa che ci riporta ancora alla poesia. Non era forse Leopardi a sostenere che la poesia dell’immaginazione delle origini, degli antichi, nasceva proprio dal sentire la Natura in un modo che poi i moderni avevano perso? Quello  Stavo contribuendo alla scelta di fare esistere un altro essere che era già condannato dall’inizio come me  di Alice (p.64)non ci evoca forse il leopardiano funesto a chi nasce il dì natale del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia?

Quella che prima avevo chiamato creatura aliena consapevole, quindi,  che dà i nomi alle cose,ai sentimenti, che rimpicciolisce l’universo ad un prato e vede le galassie in un fiore, non ricorda forse anche i poeti veggenti, che cercano le corrispondenze fra le cose,quel Rimbaud che la Seranis cita nelle parole che disse alla sorella prima di morire: Quando io sarò morto tu continuerai a camminare nel sole? non è forse anche il fanciullino pascoliano, il novello Adamo che dà i nomi alle cose, e rimpicciolisce ciò che è grande, e il cielo e la costellazione diventano l’aia azzurra e il pigolio di stelle? La capacità visionaria non è  forse anche del poeta, oltre che delle scienziato, e del sognatore?

Dalla twilight zone, allora, oltre alla fantascienza, nasce anche la poesia?

Agnese Seranis,
Smarrirsi in pensieri lunari
Graus Editore, Napoli, 2007

altre letture di
Lea Melandri
Nicoletta Buonapace
Silvia Treves

 

versione integrale dell'articolo pubblicato in "Leggere Donna" n. 131, febbraio-marzo 2008


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