Di tutti gli spunti stimolanti che il libro di Agnese offre, vorrei indicarne uno, il linguaggio, che mi interessa in modo particolare perché, come Agnese, ho una formazione scientifica e scrivo, sia utilizzando la prosa argomentativa sia quella evocativa. Inoltre, come docente di matematica e scienze, ogni giorno mi confronto con il tema e i limiti della comunicazione. Mano a mano che leggevo Smarrirsi in pensieri lunari, mi rendevo conto che il linguaggio, i suoi limiti, la difficoltà di piegarlo a dire cose non ancora dette attraversano come un filo rosso tutto il testo di Agnese. Dal punto di vista della tecnica di scrittura, la prosa di Agnese è molto interessante: «Io ho cercato di capire cos’era mai quel piacere e mi dicevo: Adesso arriva, stai attenta, ma poi mi sfuggiva cosa accadeva esattamente in quel momento: avrei potuto solo dire come arrivava e come se ne andava. Io credo che bisognerebbe capirlo meglio quel piacere, quel piacere fluido che ti fa perdere nell’indistinto, che ti fa uscire da te in una specie di pausa da quel lavoro continuo che ti si impone per preservare il tuo Io, per definire instancabilmente questa tua identità agli altri e a te stesso. Bandire le parole, bandire le domande, bandire le risposte, liberare il linguaggio che emerge da una profondità mai raggiunta. Quel piacere… È linguaggio che appartiene ai punti di proiezione di ogni vita…» In questo brano (che esplora il piacere fisico provato durante un incontro sessuale) c’è ritmo e fluidità, una sorta di andamento a spirale delle frasi. Nel testo convivono senza fratture, ma anzi illuminandosi a vicenda, la costruzione logica e quella analogica: Agnese auspica un linguaggio liberato, che finalmente dia voce alla profondità, ponendo implicitamente la domanda: «è possibile, procedendo in maniera non soltanto razionale, giungere a nuove, condivisibili, acquisizioni sul mondo? E così si giunge al legame tanto problematico tra linguaggio, parola e scienza. Seguendo le tracce disseminate da Agnese nel suo libro, nonché il lavoro ormai molto cospicuo di studiose italiane e straniere, vorrei sottolineare che la scarsa rappresentanza femminile fra i professionisti della scienza non è soltanto un problema di numeri risolvibile con le quote rosa. Come osserva lo storico David Noble «L’identità maschile della scienza non è […] un mero costrutto artificioso della storiografia sessista: lungo la maggior parte della sua evoluzione, la cultura della scienza non solo ha escluso le donne, ma è stata definita in sfida alle donne e in loro assenza». Un meccanismo di esclusione tanto efficace da diventare spesso autoesclusione.
In realtà, il «metodo scientifico» della scienza moderna ricalca quello - sicuramente efficace - inventato dai primi fisici del Seicento; è un metodo non sempre applicabile a tutte le discipline e a tutti gli ambiti, che genera una sorta di gerarchia tra le scienze e, assunto come l’unico possibile, può restituirci la realtà nella sua parzialità senza però consentirci di coglierne le infinite interrelazioni. La semplice concatenazione causa-effetto può pericolosamente illuderci di poter raggiungere «La Verità» e di poter sempre controllare fatti e fenomeni naturali. La logica dell’osservatore studia la natura che viene osservata. Il binomio osservatore/osservato crea una frattura tra soggetto indagante e oggetto indagato che, nella realtà vissuta da tutti noi, è inapplicabile; tale frattura è pericolosa anche dal punto di vista scientifico perché induce il soggetto a vedere e a prendere in considerazione soltanto ciò che vuole vedere, tacendo su ciò che ritiene superfluo perché non è funzionale alla propria ricerca o, peggio, perché non è in accordo con la propria visione del mondo (basta pensare a quanto appoggio discipline come l’antropologia e le altre cosiddette «scienze umane» abbiano fornito al razzismo e al sessismo). E fa rievocare al proprio io narrante la partecipazione a una tavola rotonda scientifica: Può sembrare l’espressione di un pensiero ingenuo, buonista, eppure è una domanda seria, che va assolutamente posta a fianco delle altre mentre conduciamo la nostra indagine scientifica, perché, mentre indaghiamo il mondo e ci prefiggiamo di cambiarlo, dobbiamo anche essere responsabili e confrontare ciò che pensiamo e progettiamo con i limiti che dovremmo porci come specie. Ciò che forse serve alla scienza moderna occidentale è uno sguardo che sia «distaccato» soltanto per mantenere una visione d’insieme e non riduzionista, uno sguardo capace di distaccarsi non da ciò che osserva ma dalla propria, pur sempre opinabile e limitata, visione scientifica. Uno sguardo che coltivi il senso della limite e della responsabilità e che si confronti sempre con il concetto di rischio. Uno sguardo che non dimentichi che la scienza, ogni scienza è figlia del proprio tempo e come tale non può, per definizione, essere neutrale. «Le donne possono contribuire a restituirle [alla scienza] una valenza etica… all’inizio della sua storia, ai tempi di Pitagora, l’uomo matematico era in primo luogo un individuo morale. Una delle ragioni per cui nel tempo è andato perdendo quel carattere è il fatto di essere rimasto senza compagnia femminile tanto a lungo. Con questo non intendo dire che una maggiore rappresentanza femminile possa trasformare la fisica da un giorno all’altro in una scienza ideale. Ma credo che le donne porterebbero un influsso equilibrante, come del resto avviene ovunque vi sia una loro presenza. I migliori obiettivi, di solito, sono quelli che emergono dai sogni comuni di donne e uomini». Il libro di Agnese Seranis è rivelatore sia per «ciò» che dice, sia per «come» lo dice, accostando liberamente pensieri non gerarchizzati, non costruiti soltanto con modalità razionali. Vorrei citare, in conclusione una frase che ho molto apprezzato: Mi pare molto efficace il confronto tra lo studioso arroccato in una «scienza» definitoria, che cerca di portare alla luce soltanto le somiglianze (di sintomi), e l’«oggetto» studiato, portatore di una «sapienza consapevole» che tiene conto delle differenze. Un grazie particolare ad Agata Schiera per il suo testo Fare scienza a scuola Silvia Treves
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Wertheim Margaret, I pantaloni di Pitagora, Dio, le donne e la matematica, Instar libri, 1996
Agnese Seranis, altre letture di 5-01-2008 |