Nuovi linguaggi, nuovi pensieri

di Silvia Treves

 

Di tutti gli spunti stimolanti che il libro di Agnese offre, vorrei indicarne uno, il linguaggio, che mi interessa in modo particolare perché, come Agnese, ho una formazione scientifica e scrivo, sia utilizzando la prosa argomentativa sia quella evocativa. Inoltre, come docente di matematica e scienze, ogni giorno mi confronto con il tema e i limiti della comunicazione. Mano a mano che leggevo Smarrirsi in pensieri lunari, mi rendevo conto che il linguaggio, i suoi limiti, la difficoltà di piegarlo a dire cose non ancora dette attraversano come un filo rosso tutto il testo di Agnese.
È il linguaggio della narrazione di Agnese, innanzitutto, un flusso di coscienza ininterrotto e torrenziale – libero ed estremo, fino a ciò che Lea Melandri chiama molto opportunamente «sogno, vaneggiamento, esplosione creativa» – al quale si intrecciano senza soluzione di continuità in quella che Melandri definisce «macina di pensieri indagatori», domande e riflessioni sul mondo.
Ma è anche, tema più volte riproposto compiutamente o accostato in maniera obliqua nel testo di Agnese, il linguaggio che dà forma ai nostri pensieri, quindi anche il linguaggio che esprime e contemporaneamente dà vita alla costruzione scientifica.

Dal punto di vista della tecnica di scrittura, la prosa di Agnese è molto interessante:

«Io ho cercato di capire cos’era mai quel piacere e mi dicevo: Adesso arriva, stai attenta, ma poi mi sfuggiva cosa accadeva esattamente in quel momento: avrei potuto solo dire come arrivava e come se ne andava. Io credo che bisognerebbe capirlo meglio quel piacere, quel piacere fluido che ti fa perdere nell’indistinto, che ti fa uscire da te in una specie di pausa da quel lavoro continuo che ti si impone per preservare il tuo Io, per definire instancabilmente questa tua identità agli altri e a te stesso. Bandire le parole, bandire le domande, bandire le risposte, liberare il linguaggio che emerge da una profondità mai raggiunta. Quel piacere… È linguaggio che appartiene ai punti di proiezione di ogni vita…»

In questo brano (che esplora il piacere fisico provato durante un incontro sessuale) c’è ritmo e fluidità, una sorta di andamento a spirale delle frasi. Nel testo convivono senza fratture, ma anzi illuminandosi a vicenda, la costruzione logica e quella analogica: Agnese auspica un linguaggio liberato, che finalmente dia voce alla profondità, ponendo implicitamente la domanda: «è possibile, procedendo in maniera non soltanto razionale, giungere a nuove, condivisibili, acquisizioni sul mondo?
L’analogia, l’intuizione che abbandona le fasi intermedie del semplice discendere razionale di un concetto dall’altro, è il linguaggio della poesia (e Agnese proprio con una poesia chiude il libro) ma anche, contrariamente a ciò che si continua a ripetere agli alunni, il percorso che molto spesso porta alla scoperta scientifica. La metafora scientifica, la narrazione scientifica, possono comunicare informazioni con altrettanta precisione e intensità del puro argomentare razionale.

E così si giunge al legame tanto problematico tra linguaggio, parola e scienza.
La mia esperienza come docente mi ha convinta che, se non sai esprimere con parole tue un concetto, un ragionamento, una serie di informazioni collegate fra loro, non li possiedi, non li hai assimilati, resi tuoi. Ovvero, i nostri pensieri sul mondo sono fatti di parole, di frasi. Fino a che non li articoliamo e quindi non li rimettiamo in gioco, non li pensiamo completamente. Non si tratta, qui, ovviamente, di rispettare le regole sintattiche di una lingua, ma di dare a ciò che ci attraversa la mente una forma sufficientemente strutturata a renderli compiutamente pensabili. Allora, fare scienza in modo diverso dovrebbe significare anche dirla, raccontarla, comunicarla in maniera diversa. Potrebbero le donne contribuire in maniera originale a pensarla, a dirla?

Seguendo le tracce disseminate da Agnese nel suo libro, nonché il lavoro ormai molto cospicuo di studiose italiane e straniere, vorrei sottolineare che la scarsa rappresentanza femminile fra i professionisti della scienza non è soltanto un problema di numeri risolvibile con le quote rosa. Come osserva lo storico David Noble «L’identità maschile della scienza non è […] un mero costrutto artificioso della storiografia sessista: lungo la maggior parte della sua evoluzione, la cultura della scienza non solo ha escluso le donne, ma è stata definita in sfida alle donne e in loro assenza». Un meccanismo di esclusione tanto efficace da diventare spesso autoesclusione.
Viene da chiedersi se questa scienza, escludendo le donne, non abbia impoverito se stessa e i propri connotati fondanti.
Prendiamo in considerazione due «dogmi» della scienza, tanto ripetuti e irrinunciabili da essere considerato l’unico modo «naturale» di procedere:

  1. La conoscenza scientifica deve fondarsi su una separazione: da una parte il soggetto che indaga, dall’altra l’oggetto indagato.
  2. Il ragionamento scientifico opera razionalmente su oggetti per costruire modelli, leggi, teoremi

In realtà, il «metodo scientifico» della scienza moderna ricalca quello - sicuramente efficace - inventato dai primi fisici del Seicento; è un metodo non sempre applicabile a tutte le discipline e a tutti gli ambiti, che genera una sorta di gerarchia tra le scienze e, assunto come l’unico possibile, può restituirci la realtà nella sua parzialità senza però consentirci di coglierne le infinite interrelazioni.   La semplice concatenazione causa-effetto può pericolosamente illuderci di poter raggiungere «La Verità» e di poter sempre controllare fatti e fenomeni naturali.  
Come anche Agnese evidenzia in vari punti del suo libro e come l’analisi di genere ha più volte sottolineato, la «oggettività» tiene lontano il vissuto personale, la sfera emozionale, ogni contiguità che pure è parte ineliminabile del processo conoscitivo. Universalità, oggettività, astrazione riecheggiano gli stereotipi attribuiti alla «natura» maschile - l’obiettività e il raziocinio - e si contrappongono agli stereotipi attribuiti alla «natura» per eccellenza, quella femminile: la soggettività e l’intuito (che invece, secondo molti studiosi, stanno alla base della scoperta scientifica).

La logica dell’osservatore studia la natura che viene osservata. Il binomio osservatore/osservato crea una frattura tra soggetto indagante e oggetto indagato che, nella realtà vissuta da tutti noi, è inapplicabile; tale frattura è pericolosa anche dal punto di vista scientifico perché induce il soggetto a vedere e a prendere in considerazione soltanto ciò che vuole vedere, tacendo su ciò che ritiene superfluo perché non è funzionale alla propria ricerca o, peggio, perché non è in accordo con la propria visione del mondo (basta pensare a quanto appoggio discipline come l’antropologia e le altre cosiddette «scienze umane» abbiano fornito al razzismo e al sessismo). 
La scienza deve essere oggettiva, ma l’oggettività scientifica può essere fondata o su questa estrema separazione, sulla distanza del soggetto dall’oggetto, o su un atteggiamento di empatia che permette di sviluppare una sensibilità particolare nei confronti di ciò che si vuole conoscere, una sorta di immedesimazione che riconosce al «conosciuto» la dignità di soggetto. Nel primo caso si appiattiscono le differenze esaltando soltanto le somiglianze, si elimina tutto ciò che non è immediatamente normalizzabile, e che quindi viene considerato «irrazionale», in poche parole ciò che è «naturale» come il continuo cambiamento, il mutamento, la diversità (e pensare che i biologi hanno fondato proprio sulla diversità, oltre che sulle somiglianze le teorie evoluzionistiche).
Ma può esserci un’altra possibilità. Come osserva Evelyn Fox Keller, «obiettività è il perseguimento della comprensione massimamente autentica, quindi affidabile del mondo che circonda il soggetto. È operazione dinamica che lega mente e natura».
Agnese sintetizza perfettamente l’intera questione, sottolineando che in quanto umana appartiene alla natura: «Posso essere io insieme oggetto di conoscenza e pensiero conoscente?»

E fa rievocare al proprio io narrante la partecipazione a una tavola rotonda scientifica:
«C’era un ricercatore che parlava che bisognava andare avanti e che le recenti innovazioni tecnologiche avrebbero premesso di fare conferenze a distanza… e io alzai la mano …e chiesi se pensava che quelle innovazioni avrebbero reso meno violenti e più felici gli uomini e che io personalmente non ci credevo e se lui personalmente pensava che sarebbe stato più felice. Mi ricordo che ci fu un certo silenzio e poi dei risolini e nessuno mi rispose come se avessi scherzato. Invece non era uno scherzo».

Può sembrare l’espressione di un pensiero ingenuo, buonista, eppure è una domanda seria, che va assolutamente posta a fianco delle altre mentre conduciamo la nostra indagine scientifica, perché, mentre indaghiamo il mondo e ci prefiggiamo di cambiarlo, dobbiamo anche essere responsabili e confrontare ciò che pensiamo e progettiamo con i limiti che dovremmo porci come specie.

Ciò che forse serve alla scienza moderna occidentale è uno sguardo che sia «distaccato» soltanto per mantenere una visione d’insieme e non riduzionista, uno sguardo capace di distaccarsi non da ciò che osserva ma dalla propria, pur sempre opinabile e limitata, visione scientifica. Uno sguardo che coltivi il senso della limite e della responsabilità e che si confronti sempre con il concetto di rischio. Uno sguardo che non dimentichi che la scienza, ogni scienza è figlia del proprio tempo e come tale non può, per definizione, essere neutrale.
Forse questo sguardo potrebbe essere un contributo di genere. È quanto suggerisce, in un bel testo di alcuni anni fa, I pantaloni di Pitagora, Margareth Wertheim, nota studiosa di fisica:

«Le donne possono contribuire a restituirle [alla scienza] una valenza etica… all’inizio della sua storia, ai tempi di Pitagora, l’uomo matematico era in primo luogo un individuo morale. Una delle ragioni per cui nel tempo è andato perdendo quel carattere è il fatto di essere rimasto senza compagnia femminile tanto a lungo. Con questo non intendo dire che una maggiore rappresentanza femminile possa trasformare la fisica da un giorno all’altro in una scienza ideale. Ma credo che le donne porterebbero un influsso equilibrante, come del resto avviene ovunque vi sia una loro presenza. I migliori obiettivi, di solito, sono quelli che emergono dai sogni comuni di donne e uomini».

Il libro di Agnese Seranis è rivelatore sia per «ciò» che dice, sia per «come» lo dice, accostando liberamente pensieri non gerarchizzati, non costruiti soltanto con modalità razionali. Vorrei citare, in conclusione una frase che ho molto apprezzato:
«Il mio analista mi chiedeva sempre di quando ero piccola perché voleva trovare il trauma ma io non so che cosa voglia dire perché il mio trauma come lo chiamava lui allora è stato tutta la mia vita»

Mi pare molto efficace il confronto tra lo studioso arroccato in una «scienza» definitoria, che cerca di portare alla luce soltanto le somiglianze (di sintomi), e l’«oggetto» studiato, portatore di una «sapienza consapevole» che tiene conto delle differenze.
Quando il trauma è lungo una vita non può più essere un trauma personale.

Un grazie particolare ad Agata Schiera per il suo testo Fare scienza a scuola

Silvia Treves
Www.librinuovi.info
s_3ves@fastwebnet.it

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Wertheim Margaret,  I pantaloni di Pitagora, Dio, le donne e la matematica,  Instar libri, 1996
Donini Elisabetta, La nube e il limite, donne, scienza, percorsi nel tempo, Rosemberg & Sellier 1990
Donini Elisabetta, Conversazioni con Evelyn Fox Keller, una scienziata anomala, Eleuthera 1991
Sesti Sara,  Moro Liliana,  Scienziate nel tempo. 60 biografie. LUD, 2006
Erlicher Luisella, Marpelli Barbara. Immagini di cristallo. Desideri femminili e immaginario scientifico, La tartaruga, 1991
Comunità scientifica femminile Ipazia, Autorità scientifica, autorità femminile, Editori Riuniti, 1992
Schiera Agata, Fare scienza a scuola
Gandini Sara, Un diverso ordine di valori

 

Agnese Seranis,
Smarrirsi in pensieri lunari
Graus Editore, Napoli, 2007

altre letture di
Lea Melandri
Daniela Pastor
Nicoletta Buonapace

5-01-2008

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