Una questione di confine

Liliana Moro


Agnese Piccirillo

Parlerò di una questione di confine tra Scienza e Maternità di cui Agnese Piccirillo si è occupata. Quella che allora, circa 10 anni fa, si chiamava “Fecondazione Artificiale” e oggi è nota come “Procreazione Medicalmente Assistita”. Nel frattempo c'è stato un mutare delle tecniche ma anche uno spostamento lessicale, che pone giustamente al centro l'intero processo procreativo e non solo la fecondazione dell'ovulo, ma d'altro canto nasconde l'artificiosità del tutto.

I nodi che Agnese affronta sono due, a mio parere, e cruciali:

  • il rapporto subalterno delle donne nei confronti della scienza

  • i riflessi della scienza-tecnologia sulle relazioni, sul mondo interiore e le sue implicazioni sociali.

Agnese ha affrontato la questione della Fecondazione artificiale in alcuni articoli: uno su Lapis e due sul sito della Lud.

L'articolo di Lapis n.24 del dicembre 1994 è “La tua violenza sarà anche la mia

Sul sito scrive

'Il futuro della scienza è una nuova razza umana…?' Fermiamoci a riflettere ! nell'autunno 2004

Dove inizia proprio con una questione lessicale, che apprezzo e che cercherò di rispettare anch'io :

“In questi caldi mesi estivi sono stati portati, di nuovo, alla ribalta due nodi che coinvolgono le donne in prima persona: la legge sulla fecondazione assistita e la legge 194 sull'interruzione di gravidanza. Sono le due facce - una opposta all'altra- del processo riproduttivo. Lo chiamo processo riproduttivo perché parlare di maternità significa scivolare facilmente nella retorica, nell'uno e nell'altro caso.”


L'altro intervento che ci ha inviato per il sito è il rifacimento dell'articolo apparso in Lo snodo dell'origine, che riproduceva la “lezione magistrale” che Agnese tenne da noi il 12 marzo 2007. Si intitola

L’utero è mio ma non lo gestisco Io

è questo il testo che seguirò per proporvi il suo pensiero.

In questo lungo scritto Agnese usa lo sguardo “strabico” che ci aveva detto essere necessario a una scienziata durante il corso Discorsi in libertà sulla scienza che aveva tenuto qui nel 2003:

“Noi donne certamente saremmo vincenti, se riuscissimo a intrecciare il particolare –ossia la nostra vita dei sentimenti – con il generale o l’universale della Scienza. Le guerre non sarebbero possibili con questo doppio sguardo, non sarebbe possibile cancellare le singole persone che muoiono: quasi a considerarle senza nome, senza volto, senza identità. Credo che la speranza e la domanda, che anch’io mi faccio, sia questa: quando le donne saranno capaci di guardare alternativamente in basso e in alto senza negare una delle due dimensioni, il transitorio e l’eterno? Forse bisogna avere un’utopia. Il mio dramma è che ormai sono strabica: un occhio su e uno giù.”

Lo chiama “dramma” ma questo 'strabismo' è proprio quello che le ha permesso le sue visioni più originali e preziose per noi. Usando questo tipo di sguardo affronta un tema così complesso che ancora oggi è oggetto di dibattito acceso tra le donne.

Un occhio è rivolto alla maternità. Essere figlia e essere madre. Agnese si porta dentro una grande consapevolezza del rapporto fisico tra madre e figlio/a che esprime in diversi passaggi, prevalentemente dalla posizione di madre, ma in Joelle il punto di vista è quello della figlia.

“Mia madre mi ispirava sentimenti di pietà perché era stata vittima di un destino che altri avevano voluto per lei. Ma non l'amavo. Questa consapevolezza della mancanza d'amore per mia madre mi inquietava. Non riuscivo a perdonarle il suo essere vittima, la sua fatalistica rassegnazione... In certi momenti ne avevo perfino una repulsione fisica al pensiero che ero nata da quel corpo e che, un tempo, lei aveva respirato e mangiato anche per me; quel pensiero a volte mi era intollerabile” (p.137)


L'altro occhio è rivolto alla scienza.
Intanto precisa che la PMA è solo una questione tecnica, l'intera faccenda non riguarda scoperte scientifiche, nuove ipotesi, come del resto accade molto sovente.

"Oggi si è più interessati alle applicazioni tecnologiche, alle potenzialità offerte da ciò che è già stato teorizzato. (...) Se l'interesse e gli investimenti sono rivolti alle applicazioni si è scelto di fare ingegneria, non scienza.” (Discorsi in libertà sulla scienza p.59)

Una precisazione non superflua visto che si confonde spesso il progresso scientifico con l'affinarsi della tecnologia.


Agnese usa un metodo scientifico, di grande precisione e accuratezza : raccoglie documenti e testimonianze di quanto stanno facendo i ricercatori nel mondo.

E cerca di individuare la fantasia che sta dietro le iniziative in questo campo. Lo fa usando i testi di scienziati/scrittori del calibro di Isac Asimov e Aldous Huxley che disegnano un futuro di embrioni in provetta, riproduzioni degli esseri viventi che prescindono dalla gestazione in un corpo di donna. Mondi che realizzano l'antico sogno maschile di generare in proprio, di liberarsi dal potere femminile di dare la vita.

Dopo aver passato in rassegna a lungo le varie tappe delle sperimentazioni che sono storicamente passate dalle tecniche per impedire la nascita, a quelle per favorirla, dalla crioconservazione del seme a quella degli ovociti, alla clonazione... Agnese si domanda:

"Nel riattraversare il percorso degli studi e sperimentazioni relativi al processo procreativo si incontrano quasi unicamente nomi di scienziati di sesso maschile. E le donne?"

Non possiamo parlare di assenza di scienziate, nel Novecento e nel Duemila, in un settore, poi, come quello della medicina, dove sono le donne state sempre presenti, fin da Trotula, nel medioevo.
E la risposta che si/ci dà è raggelante:

"Le donne, direi, sono le consumatrici appassionate delle tecnologie che offre loro la scienza; le donne sono le collaboratrici pazienti dei grandi professori"

in quanto assistenti di laboratorio o donatrici di ovuli o disponibili alle sperimentazioni. Ma non sono presenti come soggetti indipendenti e propositivi.

Agnese osserva:

"Quanto lontano! mi appare il 1992 quando, in un incontro a Bologna, il gruppo di Donne e Scienza discusse di bioetica in generale e in particolare della questione della fecondazione assistita ….

E quasi tutte avevamo l’impressione che la tecnologia procreativa non eravamo noi a governarla per soddisfare i nostri bisogni, ma aleggiava seduttiva intorno alle donne, inducendo loro desideri o suggestioni di inadeguatezza nel caso mostrassero incapacità riproduttiva."

Il suo pensiero si sofferma su due aspetti: da un lato che ci sia stato nel sentire stesso delle donne un ritorno all'identificazione tra donna e madre,

"...come se non fossimo in grado o non avessimo, di fatto, la libertà di lasciare alcun segno originale in altri campi dell'agire e del pensare umano"

scriveva già nel 1994 su Lapis

D'altro canto, da parte degli scienziati c'è stata quella che potremmo chiamare una colonizzazione del corpo femminile, affrontando questo settore della medicina all'interno di una visione patriarcale e “industriale” : Agnese usa proprio questo concetto. E' l'organizzazione produttiva che impone alle donne di mettersi in carriera e procrastinare il momento di avere figli.

"La società e la scienza hanno giocato/giocano sporco con le donne: le invitano a emanciparsi ma impongono, insieme, che esse si adeguino ai loro tempi, alle loro regole, riservandosi poi di eventualmente colpevolizzarle o farle sentire inadeguate se non saranno in grado, a 40 anni, di concepire un figlio. "

Infatti le statistiche in suo possesso le davano l'informazione che la maggioranza delle donne che accedono alle tecniche della PMA sono oltre la quarantina.

La questione è anche più profonda, coinvolge strutturalmente il rapporto tra i sessi

"La scienza maschile si dà un gran da fare per ovviare alle storture dell’ organizzazione della sua società offrendo, alle donne, varie Tecniche di Riproduzione Assistita, o la futura clonazione, ma ciò dà anche agli scienziati il pretesto di investire tempo e risorse per avere nelle loro mani, in tempi non lontani, il totale governo del processo procreativo."

Negli scritti di Agnese la maternità appare come la specificità femminile irriducibile, che pone la donna dalla parte della vita e perciò la rende potente e in sintonia con il fluire dell'universo. Da Smarrirsi a Clarissa questo tema ritorna, è un punto sensibile della sua riflessione e anche della sua esperienza di scienziata-madre. Teme che alle donne venga sottratto quello che non è più un destino ineludibile, dopo la 194, non è più una schiavitù, ma siamo veramente libere su questo terreno? Non parliamo di maternità, proponeva Agnese all'inizio di questo nostro discorso, per non cadere nella retorica. Ma dobbiamo sapere che ci stiamo muovendo su un terreno scivoloso.

Agnese tiene presente il contesto sociale ed economico in cui si sviluppa la ricerca, le è chiaro che la possibilità di avere un figlio nonostante ostacoli biologici di uno o entrambi i partner dipende dal livello di reddito di cui si dispone, così come nel caso degli uteri in affitto è facile immaginare da quali classi sociali vengano le donne disponibili e perché.

Ma ha anche una visione più ampia delle ricadute di tutto questo.

"Le relazioni della famiglia biologica si vanno sempre più diversificando e i suoi confini, un tempo rigidi, si vanno dissolvendo. La nascita di un bambino non è più il risultato di un rapporto sessuale associato a un amore, più o meno sbagliato o più o meno breve, ma qualcosa che sempre di più assomiglia a un desiderio di maternità che si muove in una dimensione altra dal rapporto con il proprio marito o compagno. "

E più oltre

"La famiglia tradizionale biologica è destinata, in un orizzonte più o meno lontano, a diventare un’opzione sempre meno praticata. Io non ci piango sopra (e sappiamo da Joelle quanto, quanto lei fosse estranea alla sua famiglia biologica) ma vorrei salvare il rapporto genitore/trice –figlio/a da una artificialità eccessiva che temo contenga le cause di future serie nevrosi. La procreazione sta diventando sempre di più un atto separato dalla sessualità e dalla affettività di una coppia (etero o omo) e, asintoticamente, a realizzare le fantasie maschili di un processo controllato da chi governerà, un domani, la Comunità Civile."

Il titolo dell'articolo, ricordo, riprende il famoso slogan degli anni 70 “L'utero è mio e lo gestisco io”. Da allora è passato molto tempo e in questi anni, osserva Agnese

"Qualcosa è sfuggito alle donne. La comunità scientifica e sociale – governata ancora dagli uomini – le ha condotte ad accettare, quando non a subire, scelte di cui non sono state/sono co-protagoniste attive ma semplici consumatrici, più o meno avvertite."

Una visione che offro alla vostra riflessione.

 


21 febbraio 2015

 

home