Questo testo è l'esito di uno scambio di e-mail tra Agnese Seranis, Lea Melandri e Liliana Moro
sul libro Lo snodo dell’origine, ed LUD 2007

Lo snodo dell’origine



Artemisia Gentileschi

 

E-mail di Agnese Seranis

Cara Lea, Liliana e Sara,
ho letto Lo snodo dell’origine: tutte le relazioni mi sono sembrate interessanti per qualche aspetto.
Il mio interesse personale, tuttavia, si e’ soffermato in modo specifico su quella di Lea (l’elaborazione di Freud e di Elvio Fachinelli) e sulla mia (che prefigura un futuro di rottura o di radicale cambiamento  rispetto al rapporto madre –figlio).Questo connesso con ciò che Maddalena Gasparini ha scritto: “E  nel corso del tempo si renderà forse evidente che l’origine biologica non è così importante…”
Come si deve interpretare questa frase? Che i mesi della gestazione non sono importanti o più in generale ancora che la fase di gestazione non è importante ai fini dello sviluppo della personalità del futuro essere umano? Che se tutto avvenisse anche con più attori o fuori dal corpo fisico ciò che è importante sono la cura e l’accudimento dopo la nascita?
Io su questo non sono d’accordo, il periodo di gestazione può essere più o meno tranquillo e felice, percezioni positive o negative possono arrivare al feto e così ci possono essere  più madri o padri: tutto questo in qualche modo avrà un peso sul bambino e poi sull’adulto.
Certo, poi sarà molto importante l’amore e l’accudimento dopo la nascita.
Mi sono chiesta se la frase di Maddalena esprima la convinzione, interiorizzata forse ormai da molte, dell’irrilevanza della fase gestatoria (chi e perché la porta avanti), del processo procreativo che è ciò su cui poggia l’evoluzione delle tecniche della fecondazione assistita e della cui irrilevanza vuole convincerci.
E’ sacrosanta la diagnosi pre-impianto e insostenibile riconoscere gli stessi diritti giuridici a madre e figlio (un frutto non maturo staccato dall’albero semplicemente marcisce) ma non si può negare, secondo me, l’importanza in sé della gestazione.
Ho pensato, anche rileggendo il mio intervento, che la nostra autodeterminazione dovrebbe comprendere anche i tempi e i modi di fare i figli, per chi li desidera, nel periodo ottimale biologico. Allora servizi, servizi: asili nidi diffusi anche presso le università e tutto quanto sia  funzionale-necessario alla procreazione. Questa sarebbe o sarebbe stata davvero una rivoluzione radicale! Un modo per piegare la società a rimodellarsi alla nostra biologia, che avrebbe certo prodotto altre conseguenti trasformazioni.
Le donne ora sono senza dubbio “Emancipate”, ossia conformate alle loro regole e inconsciamente convinte che non se ne possa più uscire se non apportando  piccoli cambiamenti a quelle.
Che cosa direbbero oggi Freud e Fachinelli della strada imboccata, delle nuove modalità di fare figli?
L’utero ancora come terra-madre? E la relazione unica madre-figlio?
Penso che noi donne dell’occidente siamo ormai trascinate senza scampo in una direzione decisa dalle innovazioni tecno-biologiche; forse stiamo perdendo pezzi di noi e stiamo cancellando, rimovendo sentimenti che imploderanno (forse già ora nelle madri giovani) nel nostro inconscio con esiti imprevedibili.
Che ne pensate amiche care?
con tutto il mio affetto,
Agnese


Risposta di Lea Melandri

Cara Agnese,
mi fa piacere che tu abbia letto il nostro libro, pieno davvero di modi e contenuti del pensiero che purtroppo si vanno facendo sempre più rari. Almeno stando a quello che ho potuto vedere negli incontri ultimamente con donne più giovani. La civiltà tecnologica, sempre più veloce e mutante divora il tempo che è stato della riflessione, non lascia spazi di solitudine né di lavoro collettivo necessari a dare sfondo, memoria ai ragionamenti, alle emozioni, alla fantasia. Mi  rallegro sempre quando vedo riemergere qualche ripresa di femminismo, ma devo dire con sincerità che il grigiore intellettuale è diffuso.
Sul tema maternità resta ancora molto da dire, mancano soprattutto quei famosi 'racconti di esperienza' che sempre ho sollecitato, alcuni pubblicati su Lapis. Avevo suggerito a una giovane amica di Ravenna, che sembrava interessata, di farne un'antologia, confrontandoli con altri scritti da donne della sua età. Ma anche questo progetto latita.
Non so cosa intendesse Maddalena con la sua frase sul decantarsi dell'origine biologica. Io so che il dato biologico -il potere procreativo delle donne- è stato il presupposto su cui gli uomini hanno costruito il destino femminile, la naturalizzazione del ruolo materno. In questo senso è importante alleggerirne la portata, togliere l'aspetto deterministico, e soprattutto affrontare le conseguenze che ha avuto in quanto divisione sessuale del lavoro.
Io resto dell'idea che non si tratta di spostare la gestazione fuori dal corpo della donna, così come sono convinta che quel passaggio che vede insieme madre e figlio, nella parziale indistinzione su cui ha scritto Fachinelli in "Calustrofilia", sia molto importante per la memoria del corpo, ma, come hai visto dal mio scritto, critico il  fatto che su quella fase iniziale sia calata un' istituzione come la  famiglia patriarcale che fissa la relazione madre-figlio, la dipendenza perenne dell'uomo dalla donna-madre. La forma originaria dell'amore diventa fonte di violenza quando la fusionalità del periodo della gravidanza si protrae nella vita adulta. Io credo che serva un cambiamento drastico sul versante della cura, che deve essere affidata allo stesso modo a donne e uomini fin dagli asili nido. Gli uomini devo familiarizzare col corpo, in tutte le sue 'passioni, nell'infanzia come nella malattia e nella vecchiaia.
Un abbraccio forte. Lea


Risposta di Liliana Moro

cara Agnese,
le tue riflessioni mi hanno un po' spiazzato, nel senso che ancora non avevo sentito una riflessione così profonda su questo libro (nonostante l'incontro di presentazione).
Non so intervenire sul piano teorico, posso solo raccontarvi un po' di esperienza.
La maternità è sempre stata il grosso punto interrogativo della mia vita (da quando sono rimasta incinta, più di trent’anni fa) e ancora riesco a dirne poco, se non l’allibito orrore davanti al tragico stravolgimento che ne viene continuamente fatto e alla violenza con cui si aggredisce il potere generativo (ieri ancora ha tuonato il papa tedesco e l’obesa spia confessa ne vuol fare addirittura un partito).
Vorrei raccontarvi quello che vedo ora nel rapporto tra mia figlia e mia nipote. Intanto il padre è presente e, dopo le vere e proprie paure dei primi mesi a toccare l’esserino urlante, ora ha un rapporto giocoso, di corpo, con la piccola che ne trae grande piacere e sonore risate. Invece il rapporto con "la mamma" mi sembra più di affidamento nei momenti di sconforto-malattia.
Una situazione simile di gestione condivisa vivono i loro amici con figli (certo sono una minoranza di laureati del nord, ma ormai non sono più casi eccezionali). Una giovane amica, mettendo il neonato urlante tra le braccia del padre, mi ha detto: “Io già l’ho fatto, ora se ne occupi lui!”

Alcune questioni molto aperte : - è difficile autorizzarsi a una circolarità di ruoli (perché un uomo non può svolgere una funzione materna, non solo con i figli ma anche nel rapporto di coppia? credo che molti, a tratti e magari negandoselo, lo facciano)
- su queste situazioni, già complesse, si innesta la pressione sociale, per cui -ad esempio- la maternità ostacola la carriera lavorativa. A meno di scaricare sulle tate straniere, possibilità offerta solo alla minoranza delle donne economicamente benestanti e a prezzo di depauperamento affettivo.
I bimbi accuditi dalle tate, che vedo ai giardinetti, mi ricordano sempre più l’arroganza dei piccoli nobili medievali.
Quest'anno al gruppo di Cernusco proporrò proprio questo problema partendo dal caso della maternità di due scienziate e dall’impatto che ha avuto sulla loro vita e sul loro pensiero: Maria
Montessori e  Mileva Maric, la moglie di Einstein: voglio vedere che ne esce.
Un forte abbraccio Liliana

 

13-02-08

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